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venerdì 4 agosto 2017

La memoria dei popoli



Nimrud. Porta con guardiano, oggi distrutta (foto M. Chohan)

Attaccare e distruggere siti e simboli culturali e religiosi delle comunità è un attacco alla loro storia. A nessuna persona che distrugge ciò che incarna l'anima e le radici di un popolo dovrebbe essere consentito di sfuggire alla giustizia” (Fatou Bensouda, procuratore al processo dell'Aja del 2016, per la distruzione degli antichi mausolei e di una moschea a Timbuktu, Mali)


Ospite dell'Aquileia Film Festival, Tim Slade, autore del documentario “The destruction of memory”, ha commentato il suo lavoro, di cui è anche produttore, proiettato, fuori concorso, nell'affollata serata finale.
Il regista australiano ha iniziato a lavorare nel 2010 sul tema della distruzione delle opere d'arte legate alla sfera del sacro ed all'identità delle popolazioni, come atto di guerra mirato a distruggere la memoria stessa delle comunità sotto attacco.
Quello che poteva sembrare un atto casuale, e forse un errore di puntamento delle armi usate per la distruzione, è stato riconosciuto, anche se ci è voluto molto tempo, come una tattica ben precisa, usata da sempre e volta ad annientare il nemico, eliminando tutti i simboli della sua appartenenza.
Il documentario inizia con la testimonianza della distruzione delle pietre tombali armene, di epoca medievale, nel periodo in cui fu compiuto un vero e proprio genocidio di questo popolo, riconosciuto assai tardivamente dal mondo intero e peraltro mai ammesso dalla Turchia (1915).
Il racconto prosegue attraverso la distruzione di Dresda, completamente rasa al suolo nel 1945, nel corso dei bombardamenti alleati, per approdare all'assedio di Sarajevo, tristemente noto come il più lungo assedio della storia contemporanea (1992-1996), con l'incendio della splendida biblioteca, culla della memoria, ed alla distruzione del ponte ottomano di Mostar, già simbolo di convivenza pacifica (9 novembre 1993).


Sito in cui si trovava uno dei Buddha di Bamiyan (foto Didier Vanden Berghe)


Ed il nuovo secolo ha portato ancora distruzioni: nel marzo del 2001 i talebani hanno fatto saltare con potenti cariche esplosive i magnifici Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, mentre l'11 settembre dello stesso anno il mondo ha assistito impietrito al crollo delle torri gemelle a New York, a seguito di un attacco terroristico, mentre altri crimini di minor rilevanza mediatica venivano commessi nel frattempo in varie parti del mondo.
Mentre l'ungherese Andras Riedlmayer, testimoniava al processo contro l'ex presidente serbo Slobodan Milosevic, incriminato dal tribunale dell' Aja per genocidio, perpetrato nei confronti delle popolazioni non serbe nel corso della guerra dei Balcani, portando la documentazione dell'avvenuta distruzione del patrimonio culturale di queste genti, venivano ripetutamente proposte all'assemblea delle Nazioni Unite delle risoluzioni che condannassero quali crimini di guerra gli attacchi al patrimonio culturale, senza trovare l'unanimità a causa della preoccupazione, di molti stati membri, di poter essere oggetto di condanna a causa dei propri comportamenti passati.
Tuttavia quando, nel 2012, gli jihadisti di Ahmad Al Faqi Al Mahdi distussero gli antichi mausolei ed una moschea di Timbuktu, in Mali, il colpevole venne imprigionato e, per la prima volta, la corte penale internazionale lo giudicò colpevole per gli attacchi al patrimonio culturale. Era il segnale che ci si attendeva da tempo e da allora fu chiaro che questo sarebbe stato riconosciuto definitivamente come un crimine. 


L'antica Timbuktu (H. Barth, 1848)

L'UNESCO fino ad allora aveva lavorato molto in questa direzione, riuscendo ad ottenere solo risoluzioni parziali. La risoluzione dell' ONU 2347 del marzo 2017, portata avanti da Italia e Francia, ha siglato definitivamente questa linea di indirizzo ed ha stabilito la protezione del patrimonio culturale a rischio nei paesi in conflitto.
Risoluzione quanto mai opportuna, considerato che, negli ultimi anni, con la destabilizzazione generale del Vicino Oriente e lo scoppio della guerra in Siria, le distruzioni del patrimonio culturale non si contano. Innanzitutto ad Aleppo, città martire siriana, che più di altre ha sofferto i lunghi anni di conflitto, ma anche a Palmira, Homs ed a Doura Europos; in Iraq a Mosul, l'antica Ninive, dove è stata polverizzata la tomba di Giona, sono state gravemente danneggiate le antiche mura, è stata distrutta la moschea di al-Nuri, ed è stato devastato il museo, a Nimrud, quasi del tutto cancellata, ad Hatra. In Siria hanno subito danni anche il possente castello medievale noto come Krak dei Cavalieri e molti altri siti, dove sono andate letteralmente in frantumi le testimonianze storiche ed artistiche che avevano resistito per centinaia e, in molti casi, per alcune migliaia di anni. Questi sono solo i siti più noti, ma le distruzioni sono state innumerevoli, un po' dovunque, e solo quando la situazione sarà tale da consentire un'ispezione accurata si potrà redigere un elenco preciso. Ed è ciò che stanno facendo gli archeologi italiani dell'Università di Udine, guidati da Daniele Morandi Bonacossi che, nel nord dell'Iraq, stanno catalogando il patrimonio culturale a rischio per consentirne la difesa.
L'archeologo, intervenuto a margine dell'evento, ed in partenza per la missione che durerà circa due mesi, ha parlato dell'accurato lavoro svolto dal suo team per rilevare tutti i siti di interesse culturale nella zona e redigerne una mappa precisa, al fine di conoscere l'entità dello stesso e poterlo così difendere e, nei casi in cui sia stato già danneggiato, poter pensare ad un recupero.
Con gli attuali mezzi tecnici a disposizione inoltre, si possono istruire degli archeologi sul posto e ricevere da essi, on line, le immagini dettagliate del patrimonio a rischio. Nel film veniva portato l'esempio della Ziggurat di Ur (Iraq), la cui scansione veniva, di fatto, diretta dall'estero da un'équipe specializzata e realizzata sul posto da tecnici locali.


Ziggurat di Ur. Ricostruzione digitale

Il 16 febbraio 2016, su iniziativa italiana, è stato siglato l'accordo con l'Unesco per la nascita di una task force, i “caschi blu della cultura”, per la tutela del patrimonio culturale mondiale, con un centro di formazione a Torino. La struttura mette a frutto anche l'esperienza maturata in questi anni dai Carabinieri i quali stanno già addestrando del personale in Iraq.
Anche Morandi Bonacossi, come già alcune sere prima Matthiae, si è detto fiducioso sulla possibilità di ricostruire quanto distrutto, pur sottolineando il fatto che ciò avverrà tra molto tempo e non riguarderà certamente l'attuale generazione di studiosi, impegnati invece nell'accertare le conseguenze dei conflitti che hanno insanguinato il Vicino Oriente distruggendone il patrimonio culturale e con esso il tessuto economico e sociale.
L'avvenuta ricostruzione di Dresda, del ponte di Mostar e della Biblioteca di Sarajevo, consentono di sperare in un recupero, almeno parziale, di ciò che è andato perduto e, nel contempo, nella ricostituzione di una società pacificata che sappia riappropriarsi dei suoi simboli di riferimento.



⇒(click) Il progetto di Tim Slade



Una breve selezione di altri video concernenti la distruzione, ed in alcuni casi anche la ricostruzione del patrimonio culturale