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lunedì 30 aprile 2018

Foto in viaggio. Krk. La porta orientale

L'effige di San Quirino presso la porta orientale


(foto Daniela Durissini)


La porta orientale  che si apriva nelle mura di Krk è menzionata già nello Statuto del XIII secolo in relazione alla punizione inflitta ai traditori. Questi infatti venivano legati alla coda di un asino e trascinati lungo tutto il decumano da qui fino alla porta maggiore, che si trovava dalla parte opposta dell'abitato.



Foto in viaggio. Le mura di Krk

La città fortificata di Krk

(foto Daniela Durissini)
La cittadina di Krk (Veglia) fu circondata da mura a partire dal periodo illirico. Da allora, come crebbe l'abitato si assistette anche ad un'espansione della cerchia murata che raggiunse la sua massima espansione nel medioevo, e precisamente nel secolo XV. Allora fu dotata anche di torri. Una parte delle mura è tuttora visibile. 

domenica 29 aprile 2018

venerdì 27 aprile 2018

Geometrie naturali

Podljubelj (Slovenia)

(foto Daniela Durissini)

Abbazia di Novacella. La fontana delle meraviglie


Abbazia di Novacella. Fontana. Nikolaus Schiel, Abbazia di Novacella (foto Daniela Durissini)

L'abbazia di Novacella è il più grande complesso conventuale del Tirolo ed uno dei più antichi, essendo stata fondata nel 1142 dal vescovo di Bressanone, Hartmann. La scuola dell'abbazia fece di questa uno dei centri culturali più vivaci e rinomati del periodo, e la posizione, lungo la strada che portava i pellegrini dal centro e nord Europa verso Roma, fece sì che se ne diffondesse la fama. La collegiata romanica venne completamente modificata in epoca barocca, quando vennero eseguiti diversi lavori di restauro degli edifici.


Fontana. Iscrizione cinquecentesca (foto D. Durissini)




A questo proposito vale la pena ricordare uno dei manufatti più significativi del complesso, la cosiddetta "fontana delle meraviglie".

Fontana (foto Daniela Durissini)





Al centro dell'ampio cortile che precede l'ingresso vero e proprio al complesso abbaziale, la fontana, costruita nel 1508 per il rifornimento idrico del complesso, venne modificata nella seconda metà del 1600 quando fu sormontata da un'edicola ottagonale.  
Fontana. Mausoleo di Alicarnasso (foto D.Durissini)




Nei timpani il pittore Nikolaus Schiel dipinse, tra il 1669 ed il 1673, le sette meraviglie del mondo più la stessa abbazia. 








Fontana. Piramidi (foto D. Durissini)






Le raffigurazioni sono piuttosto ingenue ma indubbiamente il fine non era quello dell'adesione alla realtà, bensì quello della comparazione del complesso abbaziale alle costruzioni più ammirate nel mondo e quindi la glorificazione dello stesso. 

Seno de Ultima Esperanza (Patagonia Cilena)


Navigando lungo il Seno de Ultima Esperanza in vista dei ghiacciai Balmaceda e Serrano

Viaggio in Patagonia 2015 (foto Daniela Durissini)
Dalla cittadina di Puerto Natales un servizio regolare di imbarcazioni permette di vedere da vicino i ghiacciai Balmaceda e Serrano, in fondo al Seno de Ultima Esperanza e di compiere una breve escursione nel Parco Nazionale Bernardo O'Higgins.






La navigazione è lunga ma molto suggestiva, specialmente quando il braccio di mare si restringe e si fiancheggiano pareti strapiombanti, sulle quali nidificano i cormorani e, naturalmente, quando si arriva proprio sotto la cima del Monte Balmaceda dalla quale scende l'omonimo ghiacciaio. 









Un sentiero straordinariamente bello e panoramico porta poi ai piedi del ghiacciaio Serrano.


(foto Daniela Durissini)



giovedì 26 aprile 2018

L'oriente di Delacroix

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Il 26 aprile 1798 nasceva a Charenton-Saint-Maurice
Eugène Delacroix
pittore 
principale esponente del romanticismo francese

E. Delacroix. Alcove Mauresque (1832)

Eugène Delacroix, pittore romantico, affascinato dall'oriente mediterraneo, seguì, nel 1832, il conte de Mornay, diplomatico francese che si recava in Africa settentrionale. Passarono per la Spagna, per poi sostare in Marocco ed in Algeria. In questi paesi l'artista rimase affascinato dalla vita della popolazione, che giudicava semplice e vera e che gli ricordava da vicino quella degli antichi Greci e dei Romani, e da ciò che vide nelle strade di Meknes e poi di Algeri. Riportò le sue osservazioni quotidiane in diversi taccuini di appunti, dove raccolse schizzi ed acquerelli che raffiguravano un mondo che lo entusiasmava e che, sebbene privi di intenti artistici, riescono a restituire nel modo più vivo ed efficace le sue impressioni. 

E. Delacroix. Donne di Algeri nelle loro stanze (1834)

Un elemento che lo colpì profondamente fu la luce particolare di quei luoghi, intensa, nitida, forte, che riusciva ad evidenziare e ad esaltare ogni cosa. 
Al suo rientro in Francia dipinse il famoso quadro Donne di Algeri nelle loro stanze, esposto al Salon nel 1834 ed acquistato dal re Luigi Filippo. Il dipinto, accolto con molto favore, ebbe una notevole influenza sulla pittura dell'epoca e sul gusto per l'esotico. Oggi si trova al Museo del Louvre. 

martedì 24 aprile 2018

L'albero di tulipano del conte Coronini


Tolmin. Liriodendron tulipifera (foto Daniela Durissini)

Nel centro di Tolmin (Tolmino), poco distante dalla piazza principale, su uno spiazzo sterrato adibito a parcheggio, si trova un albero eccezionale, tanto nelle dimensioni quanto nel tipo di pianta, del tutto inusuale in questi luoghi. Si tratta di un esemplare di Liriodendron tulipifera, altrimenti noto come albero di tulipano, per i suoi grandi fiori, che ricordano quelli del tulipano, o anche come pioppo di tulipano o pioppo giallo. In greco la parola  Liriodendron, è composta dai termini léirion (giglio) e déndron (albero), quindi ai primi classificatori i suoi fiori sono apparsi piuttosto come gigli, mentre la specificazione tulipifera, questa volta di origine latina, fa riferimento proprio ai tulipani.  Gli indiani americani lo conoscevano anche come albero delle canoe, poiché da un unico tronco si riusciva a ricavare un'imbarcazione costituita da ottimo legno, particolarmente resistente.

Base dell'albero (foto D.Durissini)

 


Comunque sia questa pianta, che può raggiungere un'altezza di più di 40 metri, e che qui a Tolmino ne misura 31, per una circonferenza di più di 5 metri, originaria della parte orientale dell'America settentrionale, fu portata in Europa, probabilmente attorno al XVII secolo, e trovò impiego nella realizzazione di parchi e giardini, apprezzata proprio per la sua magnifica fioritura, oltre che per il suo imponente sviluppo. 
Questo esemplare faceva parte della proprietà della famiglia del conte Coronini, che lo aveva piantato, probabilmente attorno al 1700, nella sua Brajda, cioè nella campagna che si trovava nei pressi del suo castello. L'albero è tutto ciò che resta del parco realizzato su quel terreno. 

lunedì 23 aprile 2018

Due anniversari: William Shakespeare e Miguel de Cervantes

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Londra. National Gallery. W. Shakespeare. Ritratto di Chandos. 

Il 23 aprile è un giorno poco fortunato per la letteratura, muoiono infatti, nel 1616, sia William Shakespeare, che Miguel de Cervantes, i due più grandi autori vissuti a cavallo dei due secoli XVI e XVII. A dire il vero la data del 23 aprile per la morte di Shakespeare, è calcolata secondo il calendario giuliano, allora in uso in Inghilterra, corrispondente al 3 maggio del calendario gregoriano. Comunque una curiosa coincidenza, che vede spegnersi due menti così acute, entrambi osservatori attenti della società contemporanea, che rappresentano nelle loro opere facendo della commedia il veicolo privilegiato di una critica che ancor oggi non ha perduto di attualità. Per Shakespeare una coincidenza in più: era nato infatti il 23 aprile, del 1564; anche qui però occorre fare una precisazione, poiché non conoscendo la data esatta della nascita ma quella del 26 aprile per il battesimo, si è adottata quella del 23 come data supposta (ed ancor oggi dibattuta). 
Per ricordare queste due immense figure riporto qui due brevissimi brani tratti da due opere che mi sembrano assai significative. Quella di Shakespeare non è tra le più conosciute e rappresentate, si tratta infatti del Riccardo II. Vi si parla di esilio e di lontananza, e quella riportata è una piccola parte del dialogo tra Giovanni di Gaunt, duca di Lancaster, zio del re Riccardo Ii ed il figlio Enrico detto Bolingbroke, duca di Hereford, condannato all'esilio, che poi diventerà re con il nome di Enrico IV. 
Gaunt, si rivolge al figlio ribaltando, come in un gioco di specchi, la realtà della forzata lontananza e dell'abbandono:

 "Tutti i luoghi visitati dalla luce del cielo sono porti e rade felici per l'uomo saggio. Impara dalla necessità a ragionare così: che la più gran virtù è la necessità. Non pensare che il re ti abbia esiliato, ma che tu hai esiliato il re. Il dolore pesa di più là dove trova più debole resistenza. Va'! dì a te stesso che ti ho mandato io ad acquistarti gloria, e non che ti manda in esilio il re...".

(da W. Shakespeare, Riccardo II, atto primo, terza scena)


Real Academia de la Historia. Ritratto di Miguel de Cervantes y Saavedra

Per quanto riguarda Cervantes, il brano è tratto dal Don Chisciotte ma non è neppure questo uno dei più conosciuti. Si tratta del dialogo tra il protagonista, Sancio Panza ed il bacelliere Sansone Carrasco, che a Salamanca, dove ha studiato, è venuto a conoscenza del libro Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancia, pubblicato, a quanto sembra, da un moro. La questione verte sulle bastonate prese da don Chisciotte (e da Sancio Panza), descritte nel libro in questione che, secondo alcuni lettori, ed anche secondo il protagonista, si sarebbero potute tralasciare: 

"Avrebbero anche potuto tacerle per equità - disse don Chisciotte -, perché i fatti che non mutano né modificano la verità della storia, non c'è ragione di scriverli, se devono tornare a discredito del protagonista della storia. E invero non fu così pietoso Enea come Virgilio ce lo dipinge, né Ulisse così prudente come lo descrive Omero. 
E' così - replicò Sansone -; ma una cosa è scrivere da poeta e un'altra scrivere da storico; il poeta può raccontare o cantare le cose non come furono, ma come dovevano essere; e lo storico deve scriverle, non come dovevano essere, ma come furono, senza togliere o aggiungere nulla alla verità".

(da Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, parte seconda, cap. III)



⇒(click) I libri: W. Shakespeare, Riccardo II (testo inglese a fronte)

M. de Cervantes, Don Chisciotte  (Amazon kindle)


venerdì 20 aprile 2018

Trieste. Una passeggiata col Valvasor / Trieste. A walk with Valvasor

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J.V. Valvasor. Die Ehre des Hertzogthums Crain. Trieste (1689)

Così Janez Vajkard Valvasor rappresentava Trieste alla fine del XVII secolo, vista dall'ampia spianata delle saline, che si estendevano fuori dalle mura, ad ovest della città, dove oggi si trova il borgo Teresiano, compresa l'area del Ponterosso con il canale che entra nel tessuto urbano, al quale fa da sfondo la chiesa di Sant'Antonio. 

Chiesa di Sant'Antonio e canale (foto Daniela Durissini)

Vediamo nei particolari che cosa avrebbe incontrato un ipotetico visitatore addentrandosi tra le vie della città, a partire dal colle di San Giusto e che cosa vi trova un visitatore odierno: 

Castello nuovo

Castello di San Giusto (foto Daniela Durissini)









Chiesa di San Giusto



Chiesa di S. Giusto (foto Daniela Durissini)
Chiesa di Santa Maria Maggiore 


Chiesa di Santa Maria Maggiore (foto Daniela Durissini)

Municipio
Municipio e piazza dell'Unità (foto Daniela Durissini) 

giovedì 19 aprile 2018

Fotografare l'architettura. Cividale

Cividale. Sul Natisone, con il monastero di Santa Maria in Valle

Cividale (foto Daniela Durissini)

Predjama. Il castello nella roccia


Predjama (foto Daniela Durissini)
Dalla località slovena di Postojna (Postumia), celebre per le sue grotte, visitate tutti gli anni da migliaia di persone, si stacca una stradicciola tra i campi che, dopo aver attraversato idilliaci paesetti, adagiati tra i modesti colli che si elevano dalla piana umida dei dintorni, giunge a Predjama. 
Predjama. Stemma (foto Daniela Durissini)
Il toponimo significa fuori, davanti alla grotta, ed in effetti ciò che si presenta agli occhi stupiti del visitatore è un castello accostato alla roccia di un'enorme cavità, che sembra quasi generato dalla stessa. Si tratta di uno dei manieri più belli della Slovenia e non solo. La sua posizione particolare è indubbiamente affascinante e valse ad uno dei suoi più noti e controversi proprietari, Erasmo Luogar, vissuto nella seconda metà del XV secolo, la fama di imprendibile. In effetti Erasmo, sposato ad una donna triestina, esponente di una delle famiglie più in vista della città, era un personaggio di una certa importanza, ma quando, alla testa di truppe ungheresi, tradì la città, tentando di espugnare Moncolano, uno dei castelli del Carso che difendevano Trieste, venne sopraffatto ed inseguito dalle truppe triestine, e non gli rimase che tentare una strenua resistenza, rinchiudendosi nel suo imprendibile rifugio, castel Lueg (Predjama), appunto, dove poté resistere ad un lungo assedio. 

Ingresso grotta inferiore (foto Daniela Durissini)

Secondo la leggenda fu tradito da un servo che conosceva il passaggio segreto per uscire dalla fortezza senza essere notati, e che sfruttava l'ampio e ramificato sistema carsico di gallerie che si dipartiva dalla grotta e che usciva sull'altipiano soprastante il castello. 
Nella grotta che si trova ai piedi della costruzione, dove entra il torrente, sono state ritrovate tracce di frequentazione di epoca preistorica. Il luogo infatti fu ideale rifugio da sempre, data la disponibilità di acqua e la possibilità di riparo. 
Oggi chi arriva a Predjama può visitare il castello, che non è quello ove visse Erasmo, quasi totalmente distrutto dopo l'assedio e molto meno sviluppato; la struttura attuale venne eretta ben dopo la morte del suo proprietario più famoso. All'interno una mostra di armi di epoca medievale. 

mercoledì 18 aprile 2018

Arte a Drežnica. Dove la natura ha cancellato gli orrori della guerra


Drežnica.Pot miru (foto Daniela Durissini)

Drežnica è un piccolo paese situato sulla riva sinistra dell'Isonzo, sopra Kobarid (Caporetto). Quest'ultima località, teatro della sconfitta italiana più dolorosa del primo conflitto mondiale, ma anche della lunga e logorante serie di combattimenti che la precedettero, ed assurto a simbolo, per l'Italia, del tracollo dell'esercito (e di molti ideali), ha raccolto nel bel Museo della guerra, le testimonianze dell'epoca: fotografie, cimeli, mappe, offrendo anche una ricostruzione fedele della nota 12a battaglia dell'Isonzo, quella appunto che, nell'ottobre del 1917, portò alla ritirata italiana verso il Piave. 

Kobarid. Cannone italiano (foto Daniela Durissini)
Qui, come in molte delle località dove si combatterono battaglie sanguinose, il tempo e la storia non sono riusciti a cancellare del tutto la malinconia che rimane in luoghi ai quali il destino ha assegnato un ruolo negativo, anche se oggi la località è meta turistica privilegiata, grazie alla presenza del fiume, dalle acque smeraldine, che attira molti appassionati canoisti e dei molti sentieri tematici che portano l'escursionista sui bellissimi monti dei dintorni e, appunto sugli scenari della guerra, dove ancora si possono vedere i resti, recentemente restaurati, delle trincee e dei camminamenti. 


Opere straordinarie, certo, per una guerra durissima, che vide gli eserciti contrapposti affrontare sacrifici terribili per portare la guerra in montagna, in ambienti complessi ed ostili, vengono oggi visitate da centinaia di persone e costituiscono, appunto, specialmente in questi anni in cui ricorre il centenario del conflitto, un'attrazione in più. E lo spirito giusto, a mio avviso, con il quale affrontare ricordi così impattanti, è quello con il quale è stato realizzato il museo di Kobarid (Caporetto), in cui non si distingue tra gli uomini appartenenti ad un esercito o a quello contrapposto, ma si ferma l'attenzione del visitatore sulla dura vita di trincea, sulla vita condotta tra i monti in condizioni avverse, sul sacrificio di tutti. 




Salendo a Drežnica, sulla strada per il monte Nero, anch'esso teatro di guerra, montagna bellissima e panoramicissima, ci si trova in un luogo tutto diverso. Qui la natura magnifica ha fatto il miracolo ed è riuscita a cancellare la tristezza del ricordo come un velo leggero, che si sia posato sul passato, non per nasconderlo, ma per mascherarlo ed esorcizzarlo. Drežnica è una località soleggiata e ridente.






Al centro, la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, costruita subito prima della guerra e sopravvissuta ad essa, assurta quasi a simbolo di una volontà di pace insopprimibile, intorno i campi coltivati o destinati allo sfalcio, dato che qui si pratica l'allevamento di ovini e bovini. Le case, alcune delle quali conservano qualche parte molto vecchia, sono esposte al sole e sono ben curate. 









Per il paese passa il Pot miru (Sentiero della pace), lunga traversata che percorre tutto il fronte dell'Isonzo, e che qui conduce proprio verso il Krn e la cappella militare sulla collina Planica. 

Percorrendone il breve tratto che va da Drežnica a Kosec, si vedono, a lato della strada, delle interessanti opere d'arte che alcuni artisti locali hanno dedicato al ricordo della guerra.



Nella maggior parte di esse viene accentuata la drammaticità, anche con il reimpiego di materiali bellici, ma qui e là vi è invece un accenno di speranza e di serenità, peraltro sostenuta da un ambiente naturale integro e solare, che favorisce una camminata tranquilla sulle tracce lasciate dalle carrarecce costruite allora dai militari ed ora adoperate per le attività agricole e forestali.




Forma Viva (foto Daniela Durissini)


 















Passi di pace e di laboriosità si sovrappongono ai passi ostili e, su tutto, troneggia il Krn, con il suo grande fianco inclinato e con il suo spigolo che svetta sopra il paese, possente ed elegante, prima sentinella del Parco Nazionale del Triglav, che ha inizio proprio alle spalle dell'abitato. 



lunedì 16 aprile 2018

Francisco Goya e la rivolta spagnola



Il 16 aprile del 1828 moriva a Bordeaux 
Francisco Goya
Pittore

Francisco Goya. El tres de mayo (1814) Museo del Prado
Il 2 maggio del 1808, mentre una corte spagnola debole ed inetta si trasferiva in Francia ed il fratello di Napoleone prendeva il posto di Carlo IV, che aveva appena abdicato in suo favore, a Madrid scoppiava la rivolta tra la popolazione. La reazione del maresciallo Murat fu immediata e venne dato l'ordine di reprime la sollevazione e di passare per le armi i rivoltosi che sarebbero stati catturati. 
Il 3 maggio, a seguito degli ordini impartiti, molti spagnoli furono effettivamente fucilati. Ciò nonostante la rivolta non si fermò ed anzi, diede inizio alla guerra di indipendenza che durò fino al 1814, combattuta da un lato dalle truppe napoleoniche, dall'altro dagli eserciti di Spagna, Portogallo ed Inghilterra, ai quali si affiancarono le truppe irregolari spagnole che praticarono un'efficace azione di guerriglia.
Dopo quasi sei anni di guerra i francesi abbandonarono la Spagna. 
Francisco Goya, su incarico del Consiglio della Reggenza, rappresentò in due dipinti gli episodi iniziali di questo conflitto.
F. Goya. Dos de mayo 1808 (1814) Museo del Prado
Nel primo, intitolato 2 maggio 1808 sono raffigurati i soldati francesi che attaccano i rivoltosi nella piazza madrilena della Puerta de Sol, nel secondo, assai più noto, intitolato 3 maggio 1808, compaiono gli uomini destinati alla fucilazione, ripresi pochi attimi prima che questa avvenisse. 
Per ovvi motivi le due opere, portate a termine nel 1814, non piacquero ai Borboni che, una volta rientrati in Spagna, non vollero fossero mostrati al pubblico. Solo molti anni più tardi furono recuperati ed alla fine esposti al Museo del Prado. 
Il 3 maggio 1808, molto criticato in quanto si scostava decisamente dal neoclassicismo per assumere un carattere di immediatezza ed una forza che consentirono al pittore di superare anche il concetto di prospettiva, fu invece esempio per molti artisti successivi, perché ricco di una simbologia che va ricercata nella composizione delle figure e negli atteggiamenti delle stesse, tanto dalla parte dei condannati che da quella degli esecutori, nell'abbigliamento dell'uomo con la camicia bianca, nella sua posizione e nella sua espressione, così come nell'uso del colore, e nel gioco delle luci e delle ombre, che contribuiscono a drammatizzare la scena, tutti elementi che fanno di questo dipinto il veicolo ideale di un messaggio politico.

giovedì 12 aprile 2018

Antonio da Sangallo il Giovane e palazzo Farnese


Il 12 aprile del 1484 nasceva a Firenze 
Antonio Cordini noto come 
Antonio da Sangallo il Giovane
architetto

Roma. Palazzo Farnese (foto Daniela Durissini)

La realizzazione di quello che fu considerato uno dei palazzi più belli ed importanti della Roma rinascimentale ebbe una gestazione travagliata e lunghissima poiché dal progetto al completamento dell'edificio passarono quasi cent'anni.
Il cardinale Alessandro Farnese, che tra la fine del Quattrocento e gli inizi del secolo successivo aveva acquistato palazzo Ferriz ed alcuni fondi edificabili nella stessa zona, incaricò Antonio da Sangallo il Giovane di progettare un palazzo da destinarsi a residenza della sua famiglia. I lavori, iniziati nel 1514, si protrassero per diversi anni. Interrotti nel corso del sacco di Roma del 1527, furono ripresi nel 1541, dopo che il cardinal Farnese era salito al soglio pontificio con il nome di Paolo III. Allora lo stesso Sangallo, ormai nella sua piena maturità artistica, apportò delle importanti modifiche al progetto originale, creando nell'occasione, anche la piazza antistante, ornata da due fontane per la realizzazione delle quali furono reimpiegate due vasche provenienti dalla Terme di Caracalla. 

Piazza Farnese. Fontana (foto Daniela Durissini)


L'edificio, non ancora ultimato alla  morte dell'architetto, venne modificato ulteriormente da Michelangelo, che ne diresse i lavori, interrotti nuovamente in occasione della morte del papa, avvenuta nel 1549. 
Gli eredi incaricarono il Vignola di proseguire l'opera,  tra il 1565 ed il 1575, ma neppure questa volta si giunse al completamento dell'edificio, e si dovette attendere il 1589, quando  infine Giacomo della Porta realizzò la facciata  postica, verso il Tevere.