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mercoledì 27 maggio 2020

Culture. Il riuso dell'antico in una vasca battesimale

Pirano. Battistero di  S.Giovanni. Fonte battesimale (foto Daniela Durissini)
Nel battistero di San Giovanni a Pirano (Slovenia), edificato nel XVII secolo, fu collocata una vasca battesimale realizzata grazie al riuso di materiali di epoca romana. Un'operazione di questo tipo non era affatto rara e qui vide l'utilizzo di una lastra in pietra calcarea sulla quale è scolpito un putto alato che cavalca un delfino, immagine che tradizionalmente alludeva ad un cambiamento di stato. L'opera originale, databile al I sec. e ricavata da un'ara sepolcrale, rappresenterebbe infatti il passaggio al regno dei morti e, probabilmente, è stata a sua volta ricavata dall'antica fonte battesimale appartenente al battistero precedente, trecentesco, collocato di fronte al duomo. A questo proposito non bisogna dimenticare che il delfino, nella mitologia greca, era l'animale sacro ad Afrodite e simbolo di fecondità, mentre era legato anche al mito di Poseidone, rappresentando la forza delle acque, il che giustificherebbe il riutilizzo della lastra nella fonte battesimale. 

Qui la stessa foto contrastata per mettere in evidenza le figure

Pirano. Battistero di S.Giovanni. Fonte Battesimale
(foto Daniela Durissini)



martedì 19 maggio 2020

Ambiente e territori. Carso triestino. Le casite

Trebiciano. Casita (foto Daniela Durissini)

Anticamente il carso triestino era ricoperto di boschi fitti di cedui; la caccia costituiva la principale fonte di sostentamento, assieme allo sfruttamento del legname ricavato dai tagli degli alberi ed alla raccolta delle bacche. Quando, nel corso del medioevo, la popolazione iniziò ad aumentare e si formarono i primi paesi, la necessità di avere a disposizione terre da coltivare e da destinare al pascolo fece sì che i boschi subissero una riduzione drastica. L'allevamento, sia di bovini che di ovini, costituiva un'attività piuttosto redditizia e ben presto i pastori, che conducevano sovente una vita sostanzialmente nomade, seguendo gli spostamenti degli animali, vennero in conflitto con la popolazione stanziale, che si dedicava prevalentemente all'agricoltura e che vedeva i terreni devastati dalla presenza degli animali. Tuttavia si trattava non di rado anche di un conflitto etnico, dato che molti pastori provenivano dalla penisola balcanica, ed erano stati spinti sempre più a nord dal movimento dell'esercito turco che avanzava sempre di più e sempre con maggior decisione.

Trebiciano. Casita (foto Daniela Durissini)

In relazione a questo tipo di attività si diffuse sul Carso triestino un tipo di edificio, di dimensioni molto ridotte, generalmente monocellulare, costruito interamente in pietra calcarea, la cui disponibilità in loco ne rendeva semplice e veloce la realizzazione, adatto a riparare i pastori dalle intemperie o dal sole estivo, ed a svolgervi, nei pressi, le elementari operazioni di mungitura. La cosiddetta casita serviva peraltro anche a coloro che possedevano dei terreni lontani dalla propria abitazione, che venivano recintati per mezzo dei muretti a secco, anch'essi realizzati in pietra. In questo caso il piccolo edificio serviva anche da deposito degli attrezzi agricoli. 
Analoghe casite sono diffusissime anche in tutto il territorio istriano ed in Dalamazia. 

Daniela Durissini, “Inutiles omnino sunt et non arant”. L’insediamento di nuove genti sul Carso Triestino nel XV secolo “, in "Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria", CXVI (=LXIV) (2016), pp. 151-178 (PDF)

giovedì 7 maggio 2020

Letture. Henry Miller. Le colosse de Maroussi (The Colossus of Maroussi; Il colosso di Marussi)



Da un lungo viaggio in Grecia, compiuto alla vigilia della seconda guerra mondiale, Henry Miller ha tratto un racconto, The Colossus of Maroussi, pubblicato poco tempo dopo aver fatto ritorno negli Stati Uniti. L'ho letto nella traduzione francese di Georges Belmont, che l'autore approvò, nel 1972, ed affermò essere la più vicina all'opera originale. Il libro è disponibile anche in italiano, nella traduzione di F. Salvatorelli. 
E' un libro difficile ed affascinante, questo di Henry Miller, che qui, come in altre sue opere, adopera una tecnica di scrittura particolare, lasciando a tratti fluire il pensiero al di là ed al di fuori degli schemi e dei temi trattati. Non può dirsi strettamente la relazione di un viaggio in  Grecia, infatti, in quanto contiene molte, essenziali, riflessioni sulla vita e sul presente (e futuro) di un mondo in equilibrio sull'orlo dell'abisso della guerra. 
Miller, scrittore americano dalle molte relazioni amorose e dai molti eccessi, è vissuto per diversi anni a Parigi quando accetta, nel 1939, di recarsi a Corfù, ospite dell'amico scrittore Lawrence Durrell, che vive lì con la moglie Nancy e lascerà la Grecia, dopo avervi vagabondato per sei mesi, alla vigilia della seconda guerra mondiale. 
Proponendosi di non scrivere una relazione precisa del viaggio, ma di esprimere le proprie impressioni sul paese e sulle persone che ha incontrato, Miller porta a termine il suo libro al ritorno negli Stati Uniti, quando si è ormai stabilito in California. Il paese che emerge da questo scritto così particolare, in cui convergono le esperienze sul campo ed i pensieri che queste esperienze producono, è affascinante ed inconsueto, poiché con la sua spontaneità Miller centra appieno ciò che della Grecia non si vede ma si sente, afferra incredibilmente l'essenza e lo spirito di alcuni luoghi (magistrale in questo senso ciò che racconta di Epidauro, di Delfi e di Eleusi). Dico incredibilmente perché Miller dimostra di non conoscere alcuni passi fondamentali della storia greca, per non dire dell'arte e della letteratura. Però, forse proprio per questo motivo, per il fatto di vivere con immediatezza e spontaneità i celebri luoghi del passato, ne percepisce il genius loci, invano cercato e sovente inventato da altri. Scrive così alcune pagine potenti ed indimenticabili sullo sconvolgimento che prova a ripercorrere la strada per Eleusi, sulla "magia" di Epidauro, riconosciuta dagli antichi ed ormai scomparsa, sulla meravigliosa piana che precede le alture di Delfi e su Delfi stessa, che vede ancora in totale rovina, ma di cui indovina il potere attrattivo di un tempo. 
In questo suo peregrinare, che lo porterà anche a Creta, a vedere la tanto sognata Cnosso, già ampiamente reinterpretata da Evans, e la più autentica Festo, è spesso accompagnato dall'amico Georgios Katsimbalis, narratore instancabile e poeta, che influenzerà anche Patrick Leigh Fermor. E' lui il colosso di Marussi del titolo, ed è lui che apre gli occhi a Miller alla vera conoscenza del popolo greco, alle sue storie fantastiche, ai suoi miti ed alle tradizioni. Senza il filtro di questo personaggio memorabile non avremmo un'opera tanto particolare ed autentica come questa che Miller ci ha offerto, accompagnata dalle sue riflessioni, tristemente attuali, sulla direzione che il mondo allora, come di questi tempi, stava prendendo. 
Una nota di particolare merito va ai traduttori di questo difficile testo. 


⇒(click) Il libro: Henry Miller, Il colosso di Marussi, Milano, Feltrinelli, 2016, trad. di F. Salvatorelli

mercoledì 6 maggio 2020

Ambiente e territori. Il Teide (Tenerife) dal medioevo ad oggi


Il Teide (📷 Daniela Durissini)
Il Teide (m. 3718), splendida vetta vulcanica dell'isola di Tenerife, è la cima più elevata della Spagna, delle isole Canarie e di tutte le isole che si trovano nell'Oceano Atlantico. Oggi tutti possono salire facilmente fino al rifugio Altavista (m. 3555), mediante una funivia (lunghissime attese per accedervi), mentre gli ultimi 200 metri sono percorribili soltanto da coloro che abbiano ottenuto il permesso (da richiedere con larghissimo anticipo dato che sono concesse solo 150 visite al giorno) richiedendolo alla direzione del Parque Nacional del Teide. 
Conosciuta nel medioevo, la grande montagna che appariva ai marinai che solcavano le acque dell'Oceano fu descritta anche da Giovanni Boccaccio, verso la metà del XIV secolo, nella sua opera poco conosciuta 

👉 Della Canaria e delle altre isole oltre Ispania nell'Oceano nuovamente ritrovate Trovorno anche un'altra isola, dove non vollero calare, perchè agli occhj di loro apparve una certa maraviglia. Dicono che vi è uno monte altissimo, a stima XXX miglia, et anco di più, che vedesi molto di lungi, et sulla vetta vi appare un certo biancore; e tutto il monte è sassoso; quello biancore ha sembianza d'una rocca, nè è rocca: ma lo credono un sasso acutissimo, di cui sulla vetta sia un albero della grandezza dell'albero di qualche nave, cui stia appesa un'antenna con vela di grande nave latina a simile d'uno scudo spianata, che tratta in aria per li venti distendesi molto; e quindi sembra poco a poco ribassarsi, e poi di nuovo rialzarsi l'albero simigliante a quello di una grossa nave, et così continuamente di nuovo.

Tra l'altro il Boccaccio sottolinea come tutte le isole fossero abitate e ben coltivate, e come gli edifici presentassero un'ottima e solida fattura. 

Da Cristoforo Colombo in poi molti esploratori e studiosi sbarcarono sulle isole, avvicinarono i Guanci, la popolazione nativa, alcuni salirono verso la cima, e ne riportarono relazioni interessanti ed utili allo studio del fenomeno vulcanico; tra questi va annoverato Alexander von Humboldt, che vi sostò nel 1779 durante il suo viaggio verso le Americhe. 


Ascensione al Teide
(📷 tratta dallo spiegone del Parque Nacional del Teide)
Ma fu tra la fine del secolo XIX e gli inizi di quello successivo che iniziarono le prime salite turistiche alla cima, condotte da guide del posto, che conoscevano i sentieri ed erano in grado di preparare le spedizioni, di più giorni, verso la vetta.
Alcune di queste guide divennero assai note, per la loro capacità di condurre i turisti lungo i sentieri impervi e sino ad una quota elevata e per la perfetta organizzazione delle vettovaglie, trasportate dagli animali da soma, che fornivano quel minimo di comodità in grado di rendere meno difficoltosa e più piacevole l'ascesa. Tra queste, Ignacio Dorta Gomez, ebbe l'onore di essere citato da Jules Verne, nel suo romanzo L'agence Thompson & C (1907), in cui descrisse, tra l'altro, la complicata ascesa al Teide di alcuni personaggi protagonisti del lungo racconto. 

⇒(click) Il libro: Jules Verne, L'agence Thompson&C, (1907)