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mercoledì 24 aprile 2019

Culture. I portali carsici

Dane Carso sloveno
Carso sloveno. Portale carsico a Dane (foto Daniela Durissini)
Le case carsiche, edificate anticamente in pietra, per ovvie ragioni di disponibilità del materiale, erano abitazioni rurali, distribuite su due piani, di cui quello superiore presentava un ballatoio in legno. Generalmente questi edifici si affacciavano su un cortile, sul quale insistevano anche stalle e magazzini. Il complesso era cinto da un muro in pietra, interrotto da un grande portale, attraverso il quale dovevano poter passare i carri agricoli. Molto spesso questi notevoli accessi, il cui architrave portava scolpita la data di realizzazione, il nome dei proprietari e, generalmente, un simbolo sacro, sono gli unici elementi sopravvissuti alla distruzione dell'insieme. Infatti, perdute le funzioni prettamente agricole del complesso, le case sono andate distrutte o sono state radicalmente trasformate, i magazzini sono stati destinati ad altra funzione o sono scomparsi, così come le stalle, mentre lo spazio cortile, è tuttora delimitato dal muro in pietra e l'accesso è rimasto per lo più inalterato. 
Alcuni di questi portali sono delle vere e proprie opere d'arte, soprattutto per la raffinatezza delle decorazioni degli architravi e sono visibili soprattutto sul Carso sloveno, che ha mantenuto per più tempo l'impronta agricola, rispetto a quello triestino. Alcuni esempi, tutti realizzati dagli anni attorno alla metà del XIX secolo.

Volto d'uomo su portale carsico
Dane (foto Daniela Durissini)
Volto di donna su portale carsico
Dane (foto Daniela Durissini)


Magnifico il portale d'accesso al numero 17 di Dane pri Divači, datato 1857, con un grande architrave a timpano sorretto da due pilastri in pietra e riccamente decorato. Vi trovano posto i volti della coppia di proprietari, due palmette, ai due lati della scultura centrale, composta da due angeli che sorreggono un cartiglio con l'invocazione divina. La data è scolpita sui due lati del cartiglio, assieme alle iniziali dei nomi dei proprietari "M" ed "F".

Portale carsico
Dane (foto Daniela Durissini)
Un altro splendido esempio di architettura spontanea è il portale a Tupelče (Kobjeglava), situato al numero 3. Questa struttura, di notevoli dimensioni, è stata fortemente rimaneggiata ma rimangono l'arco d'accesso con la chiave di volta, il tettuccio in pietra e le due nicchie per la collocazione delle immagini votive. 


Portale carsico Tupelce
Carso sloveno. Tupelce (foto Daniela Durissini)
A Gropada, sul Carso Triestino, due esempi interessanti di portali, molto rovinati, presentano la classica invocazione divina al centro ed uno di essi porta una semplice decorazione floreale, oggi poco visibile.


Portale carsico Gropada
Portale carsico Gropada
Carso triestino. Gropada (foto Daniela Durissini)
Portale carsico particolare
Carso triestino. Portale a Gropada. Particolare (foto Daniela Durissini)
Ancora sul Carso triestino, a Repen (Monrupino), un bel portale, restaurato, è quello della Casa carsica, oggi museo. Presenta un ampio arco con chiave di volta su cui poggia la mensola che sorregge il tettuccio in pietra. Sui piedritti decorazioni floreali.


Casa carsica museo
Carso triestino. Repen (foto Daniela Durissini)
Nella stessa località altri portali, di un certo interesse, ma di modesta fattura, presentano le medesime caratteristiche costruttive e, su di un lato, la nicchia per la collocazione delle immagini sacre. 


Carso triestino. Repen (foto Daniela Durissini)

martedì 23 aprile 2019

Pensieri d'autore. Federico Garcia Lorca. Narciso

Narciso (foto Daniela Durissini)

Narciso
Tu olor. 
Y el fondo del río.
Quiero quedarme a tu vera. 
Flor del amor. 
Narciso. 
Por tus blancos ojos cruzan 
ondas y peces dormidos. 
Pájaros y mariposas 
japonizan en los míos. 
Tú diminuto y yo grande. 
Flor del amor. 
Narciso. 
Las ranas, ¡qué listas son! 
Pero no dejan tranquilo 
el espejo en que se miran 
tu delirio y mi delirio. 
Narciso. 
Mi dolor. 
Y mi dolor mismo


Federico Garcia Lorca, Canciones (1921-1924)

Narciso
Il tuo odore 
E il fondo del fiume
Voglio restare al tuo fianco
Fiore dell'amore
Narciso
Nei tuoi bianchi occhi passano
Onde e pesci addormentati
Uccelli e farfalle 
nipponizzano nei miei
Tu minuto e io grande
Fiore dell'amore
Narciso
Le rane, che sveglie sono!
Ma non lasciano tranquillo
Lo specchio in cui si guardano
Il tuo delirio e il mio delirio
Narciso
Il mio dolore
E il mio stesso dolore





mercoledì 17 aprile 2019

Flavio Ghio, Lucio Fabi, "Dai diari di Dougan. L'alpinista - Il soldato"



Vladimiro Dougan è stato un grande alpinista triestino, amico di Julius Kugy, che vide in lui la persona adatta a proseguire l'esplorazione delle Alpi Giulie, ed a portare a termine alcune salite che lui stesso non era riuscito a completare. 
Dimenticato dalla sua stessa società, l'Alpina delle Giulie, di cui aveva contribuito a fondare il GARS (Gruppo Alpinisti Esploratori Sciatori), è stato recentemente "riscoperto" e rivalutato grazie all'interesse dell'attuale dirigenza e di alcuni soci. Ad un anno dalla realizzazione del film "Domandando di Dougan" di Flavio Ghio e Giorgio Gregorio, vincitore del premio Scabiosa Trenta, Alpi GIulie Cinema 2018, la casa torinese Bolaffi ha messo all'asta cinque diari e taccuini appartenuti all'alpinista ed alcuni album fotografici, acquisiti dalla SAG. 
Questo materiale ha consentito di far ulteriore luce sulla figura del Dougan e di comprendere molto meglio alcuni aspetti del suo alpinismo. 
Vi si è dedicato, con grande passione e costanza, Flavio Ghio, filosofo ed alpinista, il quale ha analizzato i diari ed ha pubblicato nel volume 2/2018 di Alpi Giulie, molti interessanti brani tratti dalle annotazioni di Dougan, che finalmente mettono in chiaro alcuni punti, rimasti oscuri, della sua attività.
Ripercorriamo così i momenti salienti di un alpinismo esplorativo che negli anni venti del 1900, stava ormai lasciando il passo a qualcosa di diverso, alla prestazione sportiva, che nulla aveva a che fare con la concezione romantica della montagna che aveva animato fino a quel momento coloro che ne avevano salito le cime, spesso ancora inviolate. E fu questo, probabilmente, uno dei motivi, per cui la figura di Dougan venne messa da parte e dimenticata, nel periodo in cui nasceva l'astro di Emilio Comici ed il superamento delle difficoltà estreme diventava lo scopo principale delle salite. Ma certamente non fu solo questo. Vladimiro Dougan era sloveno, ed inoltre aveva combattuto, durante la prima guerra mondiale, dalla parte "sbagliata", quella dell'esercito austro-ungarico, quella che, con i tedeschi, aveva vinto a Caporetto, umiliando l'esercito italiano, mentre dalla parte opposta stavano gli altri alpinisti, irredentisti. 
Un insieme di circostanze quindi, aveva fatto di Dougan un personaggio scomodo e marginale ma egli aveva continuato a praticare il suo alpinismo, accompagnato da pochi amici e dalla moglie, Lea, fortissima compagna di cordata. 
Ghio mette in risalto, nella scelta dei brani da pubblicare, alcune delle più belle ed interessanti salite dell'alpinista, tra cui quella, ricercata testardamente e poi compiuta dall'alto della Nord del Cimone, o quella della Nord del Foronon del Buinz, mentre mi piace ricordare quella del Natale del 1927 al Sernio, compiuta con Lea, Olga Bois de Chesne e Riccardo Deffar, che segnava la prima salita invernale e la prima invernale femminile alla cima, toccata per la prima volta da un'altra cordata femminile, quella delle sorelle Grassi, nell'estate del 1879.
E poi non bisogna dimenticare che Dougan fu colui che riuscì a passare per primo il famoso masso che ostruiva un punto della Cengia degli Dei, il magnifico itinerario alpinistico, concepito da Kugy, che gira attorno al gruppo dello Jof Fuart. 
Infine le spedizioni, in Caucaso, sull'Atlante ed in Lapponia, anch'esse passate in secondo piano, di fronte alle conquiste alpinistiche di quegli anni, quando Comici con i fratelli Dimai riuscirono a salire la Nord ella Cima Grande di Lavaredo. 
Che cosa aveva in comune con questo tipo di alpinismo colui che, ricordando nei suoi diari una salita al modesto Golak, nella Selva di Tarnova, a pochi chilometri da Trieste, aveva scritto: Da una indescrivibile bellezza era il bosco nel ultimo tratto verso la cima. Ogni alberello o cespuglio era completamente coperto di uno stratto di neve che brillava al sole. Tutto ciò che ci circondava era così candido, allegro e solenne che solamente in paradiso può essere così. Realmente quando oggi giorno voglio raffigurarmi il paradiso penso a quel candido boschetto...Volentieri, con piacere spesso ricordo a questa bella salita. Ciò mi dimostra che anche la piccola montagna può offrire grandi cose.
Il volume, nella seconda parte, accoglie anche l'intervento dello storico Lucio Fabi, che si occupa del Dougan soldato "riluttante", come lo definisce giustamente, poiché, dopo aver tentato in tutti i modi di evitare la chiamata alle armi, s'era infine adattato ad una guerra combattuta a suo modo, e mai contro gli amici. 
Una breve nota della grafologa Marcella Meng analizza la scrittura di Dougan.
Il volume è corredato da molte, interessanti, fotografie dell'epoca.


⇒(click) Il libro: Flavio Ghio, Lucio Fabi, Dai diari di Dougan. L'alpinista - Il soldato, in "Alpi Giulie", anno 112, n. 2/2018

martedì 16 aprile 2019

I protagonisti. Chi era E.E. Viollet-le-Duc, l'architetto di Notre Dame

E. Viollet-le-Duc

Eugène Emmanuel Viollet-le -Duc (1814-1879) architetto e storico dell'arte francese, è noto per essere stato il progettista del restauro, ovvero della reinvenzione, di diversi edifici medievali, il più noto dei quali è, senza dubbio, la cattedrale di Notre Dame de Paris. 
Autodidatta, si vantava di non appartenere ad alcuna scuola, ma di elaborare una propria teoria sul restauro basata sì su uno studio attento dei particolari (fu disegnatore eccezionale ed autore di un vero e proprio catalogo dell'architettura francese dei secoli compresi tral'XI ed il XVI), ma anche sulla disinvolta interpretazione di quelle che erano state le intenzioni dei primi costruttori degli edifici che venivano sottoposti a restauro. Pretese insomma di interpretare il monumento e di ottenere, alla fine dei lavori, l'aspetto che questo avrebbe dovuto avere originariamente, anche se era perfettamente conscio del fatto che tale aspetto si discostava, generalmente parecchio, da quello reale, così come realizzato dai costruttori. 
Ottenne così, nelle cattedrali di Vezelay. di Chartres, di Notre Dame, e nella Sainte Chapelle parigina, per non citare che gli esempi più noti, di proporre uno stile gotico francese, che era in realtà una reinterpretazione integrale delle forme originali, ma ebbe il merito di salvare questi monumenti che, in altro caso, sarebbero andati in rovina molto rapidamente. 
Clamoroso il caso del castello di Pierrefonds, ormai in rovina, "restaurato" secondo quelli che erano i modelli dei manoscritti miniati medievali, che già idealizzavano le forme di queste costruzioni. Altrettanto clamoroso il caso di Carcassonne, dove pinnacoli e guglie svettanti ricreano un medioevo inesistente ma pittoresco, che ha contribuito a salvare la località dalla rovina e ad attrarre visitatori da tutto il mondo. 
Peccato però che spesso non ci si renda conto del falso, che viene scambiato per autentico, fornendo così un'informazione non solo errata, ma fuorviante, sull'architettura medievale. 
Al tempo di Viollet-le-Duc infatti, non si usava, e del resto non sarebbe stato nelle corde dell'architetto, rendere conoscibili gli interventi di restauro, cosicché tutto sembra autentico o, al contrario, tutto sembra falso.
A Parigi, dopo la campagna promossa da Victor Hugo, per salvare la cattedrale di Notre Dame, Viollet-le -Duc propose un progetto molto ardito, che prevedeva di innalzare i due torrioni della facciata, aggiungendovi due guglie molto alte, in modo da renderla più slanciata e più aderente ai canoni gotici. L'intervento non fu completato solo per l'esorbitante cifra che avrebbe richiesto e ci si limitò alla realizzazione della piccola guglia centrale, crollata nell'incendio del 15 aprile 2019.

Progetto per Notre Dame de Paris
Viollet-le-Duc fu molto criticato per i suoi interventi, completamenti opposti a quelli concepiti del contemporaneo John Ruskin, che invece riteneva un falso tout court ogni restauro che in qualche modo proponesse una copia dell'originale.
Ma Viollet-le-Duc fu un innovatore dal punto di vista tecnico ed un profondo conoscitore degli elementi architettonici, che disegnò e riprodusse nel suo Dizionario ragionato dell'architettura francese dall'XI al XVI secolo. Per poter realizzare i suoi restauri concepì nuove forme ed utilizzò nuovi materiali, come la ghisa ed il ferro, arrivando ad influenzare l'Art Nouveau ed alcuni architetti americani. 



Notre Dame de Paris nei secoli


Facciata nel 1699 con il battistero sulla sinistra

Progetto di E. Viollet-le-Duc (metà XVIII secolo).
Delle tre guglie previste venne realizzata solo quella centrale


Facciata intorno al1841, prima dei restauri
Pianta originale

Pianta attuale

giovedì 11 aprile 2019

Letture. Gabriel Garcia Marquez, El otoño del patriarca (L'autunno del patriarca)



Ho letto El otoño del patriarca, il libro-capolavoro di Gabriel Garcia Marquez e ne sono rimasta folgorata. Ho la fortuna di poterlo leggere in lingua originale e credo che la migliore traduzione, non riesca a cogliere appieno la potenza di una simile scrittura. Il racconto si svolge su più piani e con continui cambi di scena, creando una sovrapposizione prospettica che sola riesce a rendere appieno l'atmosfera della decandenza del regime totalitario, simbolo qui dei molti che si susseguirono nei diversi paesi dell'America Latina. Non si parla di un dittatore in particolare, anche se alcuni indizi riportano ora all'uno ed ora all'altro dei diversi uomini forti che tennero in pugno quei paesi, ma di un solo personaggio, che viene colto all'inizio, nel momento in cui il popolo, finalmente libero, penetra nella vecchia casa del generale e ne trova il cadavere, per ripercorrerne poi la storia, dal momento della presa di potere, alla lunga decandenza ed alla fine, alla quale nessuno crede, specialmente dopo averlo visto resuscitare da una precedente morte causata da un avvelenamento di cui in realtà era rimasto vittima un pover'uomo, assunto come controfigura e modificato con ostinata crudeltà per poter somigliare in tutto e per tutto al vero dittatore. 
Ed era stato proprio quest'uomo, in punto di morte, a far comprendere appieno, per la prima volta, al generale, lo spessore assoluto della sua solitudine e l'inevitabile destino, al quale non lo aveva sottratto né la presenza della madre, rimasta sempre legata alle sue umili origini e suo unico conforto, né tantomeno quella di Leticia Nazareno, la novizia espulsa con tutti i religiosi dal paese e fatta poi rapire per poter soddisfare i suoi desideri sessuali. 
Leticia, anzi, s'era rivelata più astuta e crudele di lui e, adattatatsi al ruolo di amante, era rimasta incinta ed era riuscita a farsi sposare dal vecchio dittatore, eclissandone la figura e riuscendo non solo a far rientrare tutti i religiosi, ma a conquistarsi una fetta importante di quel potere fino ad allora non condiviso realmente con nessuno. 


Ma anche Leticia, odiata dal popolo e dai collaboratori del marito per i suoi atteggiamenti e per lo sperpero del denaro dello stato, ed il figlio nato da quella relazione, erano stati uccisi ed il vecchio patriarca, rimasto davvero solo, era diventato una figura sempre più patetica. 
La descrizione degli ultimi anni, alcuni dei quali in balia di un astuto e spietato personaggio che prende saldamente in mano le redini del potere, esercitandolo con crudeltà estrema  e con la complicità dei servizi segreti di stati esteri, fino alla morte, decisa dallo stesso dittatore, per salvaguardare l'autonomia propria e dello stato, suscita quasi compassione. 
Il vecchio, ormai solo e forse meno spietato che in passato, si aggira, sordo e con grandi vuoti di memoria, per la casa che cade a pezzi, come il suo regime. Scrive quello che ricorda in piccoli fogli che arrotola ed inserisce nelle crepe dei muri, per poterli ritrovare e riappropriarsi del suo passato e, dopo anni di resistenza tenace, è costretto a cedere ad uno stato estero l'ultimo bene che è rimasto al paese, spogliato ormai di tutte le risorse ed in bancarotta, cioè il mare. 
Credo che l'immagine del mare che sparisce sia una delle più belle e toccanti invenzioni della letteratura di tutti i tempi. 
Il lungo racconto è frutto di un esperimento effettuato da Marquez, che voleva trovare un nuovo metodo di scrittura e che sperava di essere ricordato più per questa sua opera che per quel Cien años de soledad, che gli era valso la notorietà. Non vi sono praticamente interpunzioni e muta di continuo il soggetto del racconto, a creare un coro di voci contrastanti, efficacissimo nel rendere lo smarrimento dei tempi narrati. Indubbiamente occorre entrare in sintonia con una simile operazione ma effettivamente è ben difficile trovare altrove una scrittura così ricca, efficace e di tale impatto, che affonda le radici nel fantastico e nel sogno e che rappresenta appieno l'anima latino americana.


⇒(click) Il libro: Gabriel Garcia Marquez, El otoño del patriarca (Anche formato Kindle)

⇒(click) Il libro: Gabriel Garcia Marquez, L'autunno del patriarca (Milano, Mondadori, 2010) Anche formato Kindle


mercoledì 10 aprile 2019

Le sequoie della regina (Rimske Toplice, Slovenia) ed un bel libro di Andrea Wulf

Rimske Toplice. Sequoie (foto Daniela Durissini)

Era il 1879 quando la regina Vittoria si recò, per una breve vacanza, alle terme romane (Rimske Toplice) vicino a Celje. I bagni erano stati aperti al pubblico nel 1847, ed erano assai rinomati. In quell'occasione furono regalate, per essere piantate nel parco dello stabilimento, diverse piccole sequoie, provenienti dalle serre del Kew Garden. Alcuni altri frequentatori abituali, grati per i benefici effetti delle acque, seguirono l'esempio della sovrana e donarono alberi provenienti dai loro paesi di origine, arricchendo così il parco. Oggi le sequoie sono cresciute e attirano l'attenzione dei visitatori lungo la cosiddetta "passeggiata Vittoria", rendendo l'ambiente davvero unico. 

Rimske Toplice. Sequoie (foto Daniela Durissini)

Tuttavia, ciò che rende ancor più interessante questa vicenda, è la storia che sta alle spalle di questo dono inusuale. Infatti il Kew Garden era stato arricchito e reso un luogo unico e meraviglioso dal naturalista e botanico Joseph Banks, il quale, grazie alla propria disponibilità economica, era riuscito ad assicurarsi un passaggio sull'Endeavour del capitano Cook, viaggiando fino all'Oceano Pacifico (1768-1771). Al rientro, Banks portava con sé molti esemplari di piante, allora sconosciute in Inghilterra ma, soprattutto, aveva rafforzato il proprio interesse verso le nuove specie botaniche da introdurre in Europa attraverso i diversi contatti intrattenuti da lui stesso e da alcuni membri della Royal Society con esperti ed appassionati di tutto il mondo.

Rimske Toplice. Parco (foto Daniela Durissini)

Invero tali rapporti erano stati intrecciati fin dalla prima metà del secolo ma Banks, con il suo viaggio, era divenuto molto famoso e la sua appassionata ricerca di piante sempre nuove contribuì decisamente alla nascita ed alla diffusione di una vera e propria mania per il giardinaggio e la cura degli spazi verdi e dei parchi, che vide coinvolti personaggi di spicco e semplici cittadini, e che troviamo delineata con stile piacevole, sulla base di una ricerca seria e rigorosa, nel bellissimo libro di Andrea Wulf, La confraternita dei giardinieri.
Contagiata dalla piacevole mania per il giardinaggio, che l'ha indotta ad iniziare la ricerca delle origini di questa "ossessione" comune a molti inglesi e non solo, scrive la Wulf: "Presto anch'io divenni succube di un'ossessione. Mi resi conto che le lettere tra Collinson e Bartram ma anche quelle tra famosi illuministi del calibro di Linneo, Hans Sloane, Benjamin Franklin e Jospeh Banks, avevano promosso la nascita di una comunità internazionale al cui interno ci si potevano scambiare piante ed idee sfidando la vastità delle distanze. Verso la metà del diciottesimo secolo, gli alberi provenienti dall'America avevano invaso l'Inghilterra mutandone il paesaggio per sempre, ed entro la fine del secolo Banks introdusse migliaia di piante dall'Africa, dall'Australia e dall'Estremo Oriente.
La Wulf intesse così una storia interessante ed avvincente di contatti e di relazioni scientifiche, di qualche dispetto di troppo, di qualche sgambetto tra uomini di cultura e scienziati, tesi comunque a conquistare non solo nuove specie botaniche, ma anche un posto nella storia del proprio paese.