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giovedì 31 ottobre 2019

Itinerari. L'eremo di San Colombano (Trambileno, Rovereto)

(foto Daniela Durissini)
Lo si vede da lontano, incastonato nella roccia a strapiombo sul torrente Leno che, invece, si indovina sul fondo della forra. Avvicinandosi non delude, anche se è poco probabile che lo si trovi aperto, considerando che viene gestito da volontari, i quali garantiscono le visite nel fine settimana e solo fino alla fine di ottobre. Tuttavia, anche se, scendendo la stradicciola che si diparte da quella principale diretta al fondovalle, appena superato un ponte, ci si trova di fronte al cancello chiuso, il luogo è talmente bello che ci si sentirà comunque appagati, anche senza poter salire i 105 gradini che portano all'edificio.

Il torrente (foto D. Durissini)
Il torrente scorre veloce ed alimenta una centrale, poco più in basso. Qui le rive sono coperte di vegetazione, ma si tratta di una breve fascia verde prima dell'impennarsi delle rocce. La leggenda vuole che San Colombano avesse vinto un drago che uccideva i bimbi battezzati nelle acque del torrente, avvelenandone le acque con il suo soffio. L'eremo, allora semplice riparo sottoroccia, fu frequentato lungamente, a partire, sembra, dalla seconda metà del secolo VIII. La piccola chiesa ed il romitorio, invece, furono costruiti tra il X e l'XI secolo e successivamente rimaneggiati. Il restauro più recente, effettuato a cura del comune di Roevreto, risale al 1996. Alcuni documenti risalenti al XIV e XV secolo nominano la chiesa. L'eremo venne utilizzato dai monaci eremiti (la regola colombaniana prescriveva il romitaggio in tempo di Quaresima) fino a quando questa consuetudine fu abolita, sotto Giuseppe II (1782). 

Cappella (foto D. Durissini)
Nella cappella, dietro all'altare, vi è un affresco raffigurante la Madonna tra San Colombano e San Mauro, patrono di Trambileno, il comune in cui sitrova l'eremo. Si notano anche diversi graffiti, databili dal 1505, lasciati come ex voto dai fedeli giunti fin quassù. Dietro alla cappella vi è la Grotta degli eremiti, luogo di romitaggio dei primi monaci. Sulla parete si vedono i resti di un affresco raffigurante il drago ucciso da San Colombano. 

⇒(click) Per approfondire: Vallarsa. Eremo di San Colombano

mercoledì 23 ottobre 2019

Itinerari. Il fascino discreto di Rovereto



Al centro della Val d'Adige, non lontana da Trento, Rovereto è uno scrigno di storia ed arte, da visitare in tutte le stagioni dell'anno. Le dimensioni ridotte della città ed il centro storico raccolto e per buona parte pedonalizzato, consentono di girare piacevolmente a piedi, alla ricerca degli angoli più pittoreschi. 




Le strade strette, l'edificato compatto, i passaggi a volta, sono il ricordo del periodo medievale e della successiva dominazione veneta, mentre i bellissimi palazzi settecenteschi rimandano alla città manifatturiera in cui si lavorava la seta, divenuta uno dei centri commerciali più importanti dell'intera vallata.




Il castello, che domina la città, fu edificato dalla famiglia Castelbarco nel XIV secolo, su una precedente fortificazione risalente al XII secolo, ma furono i veneziani, nel corso del XV secolo, a trasformarlo in una fortezza militare e ad aggiungervi i quattro bastioni. 




Il palazzo pretorio, oggi sede del municipio ed oggetto di un recente restauro, fu costruito nel 1417, anno in cui i veneziani si impossessarono della città, per ordine del pretore Andrea Valier.
Nella parte opposta del centro, la piazza Rosmini, realizzata a metà dell''800, è caratterizzata da una grande fontana, simbolo della ricchezza d'acqua di Rovereto, ed abbellita dal palazzo rinascimentale Del Ben-Conti d'Arco, rimaneggiato nel XX secolo, già sede dell'Accademia degli Agiati. 
Un'altra bella fontana è quella del Nettuno, opera del 1736 dello scultore Domenico Molin, che si trova in una piccola piazza non lontana da piazza Rosmini. 



Salendo verso la parte superiore della città, addossata ai colli, si può raggiungere il Bosco della città, dove sono stati tracciati diversi comodi sentieri per poter godere di questo angolo di frescura, tra maestosi alberi e radure silenziose. In una di queste è stata realizzata, interamente in legno, un'aula didattica all'aperto.


Ciò che tuttavia attrae la maggior parte dei visitatori a Rovereto sono i suoi famosi musei. 
Il Mart, museo d'arte moderna e contemporanea, progettato dall'architetto ticinese Mario Botta e realizzato nel 1987, ospita una collezione permanente composta da circa 15000 opere, tra le quali spiccano quelle delle avanguardie del Novecento. Inoltre vengono realizzate annualmente delle mostre di ottimo livello. 



La Casa Futurista Depero, dipende dal Mart. E' stata pensata dallo stesso Depero e completata dopo la sua morte dall'architetto milanese Renato Rizzi nel 2009. Ospita la maggior parte delle opere di Depero. 



Il Museo Storico italiano della guerra, ha sede nel castello; fondato nel 1921, espone una serie di interessantissime collezioni, implementate nel tempo, di oggetti riferiti alla guerra, dalle uniformi alle armi, dai manifesti ai diari dei soldati, alle lettere, ai cimeli della guerra 1915-18, che vide la città gravemente danneggiata e l'arrivo delle truppe italiane nel novembre del 1918. 



Infine le chiese, quella barocca di San Marco e quella di San Giovanni Battista, consacrata nel 1240, ed ampliata nel XVi e nel XVII secolo, nonché il bel chiostro di Santa Maria del Carmine. 

















(foto Daniela Durissini)


martedì 22 ottobre 2019

I protagonisti. L'architettura di Luisa Morassi Bernardis

Luisa Morassi Bernardis

Elvira Luisa Morassi, sposata Bernardis, nata a Gorizia nel 1903, è stata la prima donna a laurearsi in architettura al Politecnico di Milano, nel 1928.
Ancor prima di conseguire la laurea aveva iniziato a lavorare nello studio dell'architetto Piero Portaluppi (1888-1967), suo docente all'università e, in seguito, collaborò per diverso tempo con l'architetto Gio Ponti, che le affidava soprattutto la progettazione di arredamento di interni, ma del quale lei, pur attenendovisi, non condivideva lo stile, considerandolo molto personale. 
Trasferitasi per un periodo a Parigi, venne a contatto con un ambiente culturale molto vivace, dove incontrò diversi corregionali, tra cui il pittore e fotografo Veno Pillon, e dove poté conoscere le ultime tendenze dell'arte e dell'architettura. Rientrata a Gorizia le venne affidata dall'associazione delle Piccole Industrie la gestione della Bottega d'Arte, un locale sito in centro città in cui, periodicamente, si organizzavano delle mostre di artigianato locale. Questo lavoro le diede molte soddisfazioni e le procurò diversi riconoscimenti. I primi anni '30 furono per lei molto proficui. Nella sua città incontrò e si confrontò con l'architetto Max Fabiani ed il pittore e poeta Sofronio Pocarini, espose i suoi lavori in diverse occasioni, ottenendo un buon successo e, nel 1933, ricevette a Bruxelles la medaglia d'oro come miglior progettista europea d'arredamento ed interni. Partecipò alla V Triennale milanese (Arti decorative ed industriali e architettura moderna) con l'arredamento della "Casa media" ed in quell'occasione ricevette la medaglia d'argento. 
Dopo sposata ed a seguito della nascita di due figli, ridusse la propria attività lavorativa, senza tuttavia abbandonarla. Al contrario, progettò gli arredamenti della Cappella mortuaria del cimitero di Gorizia, quelli della Biblioteca dell'Ospedale psichiatrico, curò la sistemazione di una salone della Provincia e di una sala della Camera di Commercio. Nel frattempo fu nominata responsabile dei laboratori del legno della Scuola d'Arte (1944), incarico che mantenne fino agli anni '70. 
Morì a Gorizia, quasi centenaria, nel 2002. 






martedì 8 ottobre 2019

Fotografare l'arte. Fortunato Depero

Fortunato Depero
Il corteo della gran bambola (1920)
Tarsia in panni (334,5x233)

Rovereto
Rovereto. Casa futurista Depero (foto Daniela Durissini)


giovedì 3 ottobre 2019

Archeologia. La città romana di Nesazio (Istria, Pola)

I templi di Nesazio (foto Daniela Durissini)
Sulla collina Glavica, nella parte meridionale dell'Istria, sorgeva anticamente un castelliere, abitato dagli Histri e, prima ancora, da tribù protoilliriche e venetiche, come hanno dimostrato recenti campagne di scavo. 
Nel 177 a.C. venne conquistato dai romani, a seguito di un lungo assedio. La morte per suicidio di molti dei difensori e la deportazione della popolazione furono narrati da alcuni autori romani dell'epoca, tra cui Tito Livio, che inserì la vicenda nel suo Ab urbe condita (o Historiae).

(foto Daniela Durissini)
I romani vi costruirono un centro fortificato e poi una città di una certa importanza, poiché posta lungo la via Flavia che da Pola conduceva verso la Dalmazia. Certo oscurata dal fiorire della vicina Pola, Nesactium divenne però municipio e sul colle venne eretto un foro con tre templi, accanto al quale sorsero le terme e diverse abitazioni.

(foto Daniela Durissini)
La continuità abitativa del luogo è testimoniata dal sorgere, in epoca successiva, di due basiliche paleocristiane. 

(foto Daniela Durissini)
La città seppe resistere alle prime invasioni barbariche ed alla caduta dell'impero romano, ma fu distrutta dalle successive incursioni dei barbari nel VII sec. e abbandonata definitivamente. 
Oggi il sito rientra in un progetto per la promozione degli itinerari bizantini e romani che coinvolge Italia, Serbia, Croazia e Slovenia. 

⇒(click) Per saperne di più: K. Dzin, Le fonti per la storia antica di Nesazio