Translate

venerdì 31 maggio 2019

Fotografare l'architettura. Un'antica casa contadina


Un'antica casa in arenaria a Bagnoli / Boljunec 
all'imbocco della Val Rosandra (Trieste). 
Si noti l'ampio portale per l'accesso dei carri al cortile interno


Bagnoli / Boljunec (foto Daniela Durissini)

mercoledì 22 maggio 2019

Trieste. Cenotafio di Winckelmann



Trieste
Cenotafio di Winckelmann (foto Daniela Durissini)


Il monumento sepolcrale privo del corpo del defunto, impossibile da recuperare in quanto sepolto in una tomba comune, fortemente voluto da Domenico Rossetti, procuratore civico e studioso di storia, a cui si deve anche l'idea costitutiva del museo, fu realizzato dallo scultore bavarese Antonio Bosa. Il cenotafio, di gusto neoclassico, dedicato al grande archeologo e storico dell'arte, fu inaugurato nel 1833, sessantacinque anni dopo la morte del Winckelmann, assassinato a Trieste nel 1768, nella Locanda Grande, sul luogo, ormai dismesso, in cui si trovava l'antico cimitero cittadino, già trasferito altrove. L'idea del Rossetti era quella di creare in quest'area verde della città, una sorta di "giardino delle memorie", ma successivamente vi si costituì invece l'Orto Lapidario, dove furono raccolte le collezioni di antichi frammenti architettonici e scultorei, e di lapidi. L'8 giugno del 1843, in occasione del settantacinquesimo anniversario della morte di Winckelmann, la raccolta, affidata alle cure di Pietro Kandler, venne ufficialmente aperta al pubblico. 

venerdì 17 maggio 2019

Malwida von Meysenbug. Una donna contro



Ho letto Le soir de ma vie di Malwida von Meysenbug, autrice poco conosciuta e, quindi, poco letta in Italia, ma importante figura di intellettuale del secolo XIX. Le sue due opere prinicipali, Memoiren einer Idealistin (1869-1876) e Der Lebensabend einer Idealistin (1898), sono state tradotte in francese poco dopo la loro pubblicazione in lingua originale, però, purtroppo, non sono state tradotte in italiano, ed è un vero peccato perché i diari di questa donna straordinaria sono davvero interessanti. Unica eccezione Il mio Quarantotto. Emancipazione della donna e libero pensiero dalle "Memorie di una idealista", a cura di Monika Baar, Santa Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006, che comprende però solo una parte delle "Memorie".
Malwida era nata a Kassel, nell'Assia settentrionale (Germania centro-occidentale) nel 1816, da una famiglia ugonotta. Il padre Carl Rivalier, aveva ottenuto il titolo di Barone von Meysenbug da Guglielmo I, Langravio d'Assia ed esponente di spicco della riforma protestante. La vita in famiglia era apparsa subito problematica per questa donna ribelle che parteggiava per il popolo, quando due dei suoi fratelli intrapresero invece una carriera politica che li portò a diventare ministri, rispettivamente a Vienna ed a Karlsruhe. Il 1848 la vide schierata apertamente dalla parte di coloro che fino ad allora non avevano potuto godere di alcun privilegio, specialmente in difesa delle donne. Le sue idee, come il suo amore per un uomo più giovane di lei, che la lasciò ben presto per un'altra donna, furono occasione di gravi dissapori con la famiglia, con la quale, alla fine, ruppe ogni rapporto. Dopo una breve parentesi ad Amburgo, dove insegnò in una scuola per poveri, poi chiusa dal governo, si diresse a Londra dove, tra gli altri rifugiati politici, conobbe Giuseppe Mazzini, che ammirava e di cui parla in più occasioni in entrambi gli scritti citati.
Ma Malwida aveva un animo irrequieto e, ben presto, si spostò in Francia, dove, a Parigi, si immerse nell'ambiente culturale della città, conoscendo, tra gli altri Berlioz e Baudelaire.
Trasferitasi in Italia, Malwida von Meysenbug, vi rimase per molti anni, intervallando però i suoi soggiorni a Roma, a Napoli, a Sorrento, a Venezia, oppure ospite degli amici Minghetti nelle loro case di villeggiatura, con dei brevi ritorni in patria, e precisamente a Bayreuth, dove si stava allestendo il teatro, inaugurato con il Parsifal, di Richard Wagner, di cui era buona amica, e con le numerose visite ad Olga Herzen, figlia del filosofo russo Aleksandr Ivanovic Gercen, considerato il padre del socialismo nel suo paese, emigrato a Londra e poi stabilitosi in Italia, di cui era stata istitutrice e che aveva adottato. Olga, aveva sposato lo storico francese Gabriel Monod e si era stabilita a Versailles e, per un certo periodo, tutte le estati, Malwida la raggiungeva per poi trascorrere assieme la villeggiatura in qualche località della costa francese. 


F. von Lenbach. Ritratto di Malwida von Meysenbug

Le soir de ma vie, prosecuzione delle Memorie, nell'edizione del 1908, introdotto proprio da Gabriel Monod, raccoglie i ricordi dell'autrice grossomodo dal 1876, anche se, necessariamente, alcune annotazioni si riferiscono a periodi precedenti ed a mio avviso è un libro essenziale, per chi vuol conoscere a fondo uno dei periodi fondamentali della storia contemporanea. Malwida infatti, frequentava molti degli intellettuali e degli artisti più importanti dell'epoca e scambiava opinioni con diversi poltici. Nel libro parla della sua amicizia con Wagner, incontrato a Londra nel 1855, con  il suocero di lui ed amico Franz Liszt, con Friedrich Nietzsche e l'amico di questi Paul Rée, con i quali condivise uno splendido soggiorno invernale a Sorrento, durante il quale trascorsero le serate leggendo e commentando molti testi interessanti, tra cui gli studi sulla storia della Grecia di Burckhardt. Con la famiglia del senatore Marco Minghetti, che ospitava nelle due case di campagna politici ed intellettuali quali Brioschi, Bonghi, Morelli, condivise alcune estati, mentre con Alexander de Warsberg, diplomatico e uomo di cultura raffinatissimo, residente per molto tempo a Corfù, amico dell'imperatrice Elisabetta d'Austria per la quale concepì l'Achilleion, residente per qualche tempo a Venezia, strinse una solida amicizia. Il de Warsberg, in viaggio da Trieste a Corfù, aveva letto le Memoiren, ed aveva scritto a Malwida per commentarle. Diceva, giustamente, che non riconosceva in lei una filosofa, benché lei amasse pubblicare i propri pensieri (lo fece anche in Le soir) bensì una persona di cultura che frequentava persone interessanti e, viaggiando parecchio, sapeva cogliere lo spirito delle località in cui si fermava. 
La morte che colse Alexander de Warsberg ancor giovane, a Venezia, lasciò Malwida un po' più sola, mentre andavano affievolendosi le fila degli amici, più anziani di lei, che man mano lasciavano questo mondo. 
Una consolazione insapettata le venne dall'amicizia con Romain Rolland, giovane scrittore francese, allievo di Monod, arrivato a Roma per un periodo di studio, con il quale rimase poi in contatto epistolare per tutto il resto della vita. Rolland, che pubblicò una scelta delle lettere scambiate con Malwida, ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1915. 
Malwida von Meysenbug morì a Roma nel 1903, all'età di 86 anni, soddisfatta della vita vissuta, curiosa del mondo e della cultura fino al'ultimo, con accanto Olga e Gabriel Monod.
Sono molti ed interessanti gli episodi riportati in questo libro e qui, necessariamente tralasciati, che contribuiscono a far luce sull'atmosfera che si respirava a Bayreuth al tempo della prima del Parsifal, che descrivono la depressione di Nietzsche ed il periodo che precedette il suo Umano, troppo umano, che a Malwida non piacque, che svelano alcuni dettagli della vita amorosa di Franz Liszt e della principessa Carolina Wittgenstein, determinanti per la scelta del compositore di vestire l'abito talare, che descrivono l'ambiente politico italiano della post unificazione. Le soir de ma vie è uno di quei libri che aprono la strada a tanti altri approfondimenti e che per questo motivo risultano davvero preziosi. 

⇒(click) Il libro: Malwida von Meysenbug, Le soir de ma vie, Paris, Librairie Fischbacher, 1908 (PDF scaricabile dal sito della BNF/ Gallica)

martedì 7 maggio 2019

Juan Rodolfo Wilcock "Lo stereoscopio dei solitari"



Ho letto Lo stereoscopio dei solitari, di Juan Rodolfo Wilcock (1919-1978). Narratore anomalo nel panorama italiano, Wilcock, argentino, vissuto in Italia dal 1957 fino alla morte, sembra aver ereditato il lato immaginifico e fantastico del suo scrivere dagli autori sud americani, come denunciano chiaramente alcuni dei racconti che compongono il libro, in cui si riconosce, ad esempio, lo stile e l'ispirazione di Borges, al quale l'autore era legato da un rapporto di profonda amicizia. Come, del resto, una grande amicizia lo legava anche ad Adolfo Bioy Casares ed alla moglie di lui Silvina Ocampo, con i quali viaggiò per la prima volta in Europa ed in Italia.  
La raccolta, scritta in italiano e pubblicata per la prima volta da Adelphi nel 1972, fu concepita da Wilcock come "un romanzo, con settanta personaggi principali che non si incontrano mai", ma quali sono questi personaggi? E qual'è il filo conduttore di questo romanzo composto da episodi tanto diversi tra loro? 
Quello di Wilcock è in realtà un affresco del mondo reale, alle volte trasfuso nella dimensione fantastica che, come nei grandi quadri di Bruegel e forse, ancor meglio, in quelli di Hieronymus Bosch, coglie gli aspetti più intimi e veritieri dell'esistenza dei singoli, componendo però un insieme che risulta coerente e che raffigura la nostra società, con le sue miserie, i suoi problemi, la sua rassegnazione. No, non è un quadro positivo questo che ci restituisce con così rara efficacia Wilcock, perché va a sondare gli abissi della povertà, della solitudine e della disperazione, il tutto in piccoli flash, di rara efficacia che, troncati bruscamente, alle volte ci lasciano attoniti. Uno degli episodi migliori, a mio avviso, è La roulette, in cui, al tavolo da gioco, si accalcano i contadini che si giocano gli ultimi ceci sottratti con fatica alla terra, mangiati dai colombi che, ovviamente indifferenti alla loro sofferenza ed alla loro speranza di redenzione, li mangiano, anche se sono stati buttati sui numeri vincenti, sottraendo così ogni possibilità di guadagno e, evidentemente, ogni possibilità di sperare. 
Si diceva dei personaggi, quelli identificabili con immediatezza appartengono sia al mondo reale che a quello fantastico, come il fauno, protagonista di un altro episodio esemplare, che mal si adatta alla sua figura mezza umana e mezza animale e, con il suo tentativo di coprirsi nella stagione fredda, ci mette di fronte ad una sofferenza che è quella di un'umanità dolente e povera, non solo priva, come il fauno, dei mezzi necessari alla propria sopravvivenza, ma anche non riconosciuta, lontana dai pensieri di quel resto del mondo che vive con maggior facilità la propria esistenza. 
Come lontano e, alla fine della storia, del tutto cancellato, è l'uomo che ha scelto di fare l'eremita su una colonna al centro della piazza di un paese del quale non viene fatto il nome per il semplice fatto che potrebbe essere la piazza di qualsiasi centro abitato, grande o piccolo, di qualsiasi paese. Dopo aver attirato l'attenzione per un breve periodo inziale, la gente si abitua alla sua presenza, che inizia, anzi, ad infastidire più di qualcuno, iniziano le maldicenze e le proteste e, quando un mattino l'uomo scompare, gli abitanti del paese si limitano a constatare che "Sarà volato via". 
Da questo puzzle, scritto con stile nitido e originalissimo, emerge quindi un abisso di indifferenza, di incomunicabilità e non di rado di cattiveria, come comprende bene l'aruspice, un impiegato del Ministero del Bilancio che, fin da bambino, si diletta a predire il futuro squartando piccoli animali ed esaminandone le viscere. "Da un leprotto apprese che sua sorella non era più vergine; da un rospo con due stomaci il nome del nuovo Presidente; un gallo cedrone gli rivelò che era stato il suo miglior amico a prendersi i soldi lasciati sopra il tavolo. Il mondo infatti non incoraggia la conoscenza. Pochi anni ci vogliono per trasformare l'idealismo della prima giovinezza in rassegnata routine".