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mercoledì 31 gennaio 2018

L'impero Ottomano fotografato dai Sébah



Pascal Sébah. Due curdi ed un prete ortodosso
Pascal Sébah nacque a Costantinopoli (ora Istanbul), capitale dell'impero ottomano, nel 1823, da madre armena e padre siriano, di religione cattolica. All'età di 34 anni aprì uno studio fotografico e si fece conoscere per le immagini della città, molto apprezzate dai turisti, che le acquistavano per i loro album di ricordi di viaggio.


Pascal Sébah. Costantinopoli
Collaborò con il famoso pittore Osman Hamdi Bey, fotografando modelli vestiti con costumi tradizionali che poi venivano riprodotti da Osman nei suoi quadri. Fu proprio il pittore, il quale, nel 1873, era stato nominato dalla corte ottomana quale sovrintendente alla mostra sull'impero che si doveva portare a Vienna, in occasione dell'Esposizione universale, a dargli l'occasione di esporvi alcune delle sue opere, riunite in un celebre album: Les Costumes populaires de la Turquie, che gli fece ottenere una medaglia d'oro a Vienna ed un premio da parte del sultano.

Pascal Sébah. Ritratto del sultano Abdul Aziz
Il grande successo ottenuto lo fece conoscere ben al di fuori della sua città natale e così aprì uno studio di fotografia anche al Cairo.

Pascal Sébah. Ritratto di giovane egiziana
Morì a 63 anni, nel 1886, e lo studio di Costantinopoli fu portato avanti dal fratello, Cosmi, al quale, nel 1888, all'età di 16 anni, si unì il figlio di Pascal, Jean Pascal. Allora giovanissimo questi continuò l'attività del padre, girando per i paesi anatolici e cogliendo persone e paesaggi, e recandosi anche in Egitto, dal quale riportò, tra l'altro, alcune celebri immagini di Nubiani. Lavorò assieme al fotografo francese Policarpe Joaillier.
Nel 1893 il sultano Abdulhamid gli commissionò alcuni album fotografici, con lo scopo di documentare i diversi aspetti dell'impero ottomano, da donare agli ospiti ed ai politici stranieri. Uno di questi album, ora depositato alla Biblioteca del Congresso, fu donato a G. Cleveland, presidente degli Stati Uniti.
Jean Pascal è morto nel 1947.


Jean Pascal Sébah. Strada di Costantinopoli
Il lavoro dei Sébah, com'è facile intuire, è di fondamentale importanza perché documenta l'evoluzione della società turca e del paese a cavallo dei secoli XIX e XX. Inoltre il valore documentaristico dell'opera dei due fotografi è evidente anche nelle immagini scattate in Egitto.




Pensieri d'autore. Orhan Pamuk su Istanbul


Pascal Sebah. Moschea di Santa Sofia (1880)
"A Istanbul, a differenza di quanto succede nelle città occidentali con le vestigia dei grandi imperi del passato, i monumenti storici non sono reliquie protette ed esposte come in un museo, opere di cui ci si vanta con orgoglio. Qui le rovine convivono con la città. Ed è questo ad affascinare viaggiatori e scrittori di viaggi". 

(da Orhan Pamuk, Istanbul)


martedì 30 gennaio 2018

Pensieri d'autore. Gandhi e il diritto alla critica

Il 30 gennaio del 1948 veniva assassinato il Mahatma Gandhi




"Acquistiamo il diritto alla critica più severa solo quando siamo riusciti a convincere il prossimo del nostro affetto per lui e della lealtà nel nostro giudizio, e quando siamo sicuri di non rimanere assolutamente irritati se il nostro giudizio non viene accettato o rispettato. In altre parole, per poter criticare, si dovrebbe avere un'amorevole capacità di chiara intuizione e un'assoluta tolleranza" 

(da Mahatma Gandhi, Antiche come le montagne)


Carlo Maderno e la basilica di San Pietro


Roma. Basilica di San Pietro (foto Daniela Durissini)
Il 30 gennaio del 1629, all'età di 73 anni, moriva a Roma Carlo Maderno. Di origini ticinesi, si trasferì da ragazzo a Roma, dove fu affidato dai genitori alle cure dello zio, Domenico Fontana, architetto affermato, con il quale iniziò a lavorare. Dopo un lungo periodo di gavetta, durante il quale gli furono affidati incarichi sempre più importanti, affiancò il fratello dello zio, Giovanni Fontana, nella realizzazione dell'acquedotto di Loreto, e redasse un progetto per la prevenzione delle piene del Tevere.


Ritratto di Carlo Maderno
La sua prima opera importante fu però la realizzazione della chiesa di Santa Susanna alle Terme di Diocleziano, che gli valse l'attenzione delle più importanti famiglie della città, che gli richiesero dei progetti per le loro proprietà. La sua fama andò così aumentando e, nel 1603, assunse, assieme a Giovanni Fontana, la soprintendenza della "Fabbrica di San Pietro".


Roma. Santa Susanna
La costruzione della chiesa, progettata da Michelangelo, era stata interrotta e, dopo la morte di Clemente VIII, il nuovo papa, Paolo V, decise di portarla a termine, ma le esigenze erano mutate ed il Maderno, vincitore del concorso per il compimento dell'opera, indetto nel 1606, dovette, di fatto, stravolgere il progetto michelangiolesco.


Roma. Basilica di San Pietro (foto Daniela Durissini)
L'aggiunta della facciata, in particolare, che l'architetto aveva prevista con due campanili, uno dei quali fu realizzato successivamente dal Bernini e demolito per grossi problemi statici, e che, di fatto, impediva di apprezzare la grande cupola del Michelangelo, oltre ad apparire eccessivamente larga, fu duramente ed a lungo criticata, ma il Maderno aveva dovuto accontentare la committenza, soddisfacendo alle esigenze liturgiche.


Roma. Palazzo Barberini (foto Daniela Durissini)
Oltre a San Pietro si dedicò alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, alla progettazione di un'ala del Quirinale ed a diversi altri progetti.
Negli ultimi anni si fece affiancare dal nipote, Francesco Borromini, con il quale lavorò a Palazzo Barberini. Nello stesso cantiere fu attivo anche Gian Lorenzo Bernini, che realizzò una delle scale del palazzo, mentre l'altra, di forma elicoidale, era stata ideata dal Borromini.


⇒(click)Carlo Maderno in "Dizionario Biografico degli Italiani"






lunedì 29 gennaio 2018

Livia. Essere la moglie di Augusto



Busto di Livia (Louvre)
Livia Drusilla Claudia era nata a Roma il 30 gennaio del 58 a.C., ed era figlia di Marco Alfidio Lurcone. Andata sposa all'età di sedici anni a Tiberio Claudio Nerone, ne ebbe due figli, Tiberio e Druso Maggiore.

(Museo Archeologico Nazionale Madrid) Statua di Livia da Paestum
Nel 42 a.C., quando venne celebrato il matrimonio, Tiberio era pretore. Repubblicano convinto, benché avesse combattuto al fianco di Cesare, ne prese tuttavia le distanze, nel periodo in cui questi iniziò la sua ascesa al potere e, dopo il suo assassinio, prese le parti di Bruto e Cassio. Al tempo del secondo triumvirato scelse ancora la parte di Marco Antonio e, dopo la sconfitta di lui, dovette fuggire da Roma con la famiglia ed andò in Grecia. Ottaviano però, un anno più tardi, concesse un'amnistia destinata a riappacificare le parti (ed a rafforzare il suo potere) e Tiberio ed i suoi poterono rientrare a Roma. .

Museo Nazionale Romano. Statua di Augusto (foto Daniela Durissini)
Nello stesso anno Ottaviano divorziò dalla moglie Scribonia, appena questa ebbe data alla luce la figlia Giulia, e analogamente Tiberio divorziò da Livia, che sposò subito Ottaviano. Questo matrimonio sanciva l'alleanza della famiglia Iulia con la potente famiglia Claudia. La coppia non ebbe figli e Livia si mostrò sempre fedele al marito e diede di sé un'immagine destinata ad essere presa come modello dalle donne romane, sempre modesta, nonostante l'ascesa al potere di Ottaviano (e propria), di costumi semplici e rigorosamente votata allo sposo ed alla famiglia. Venne tuttavia sospettata di aver voluto la morte di Marcello, nipote di Ottaviano e destinato a succedergli, allo scopo di favorire il figlio Tiberio, che in effetti divenne imperatore e che sposò Giulia, figlia del marito, dopo che questa era rimasta vedova di Marcello prima e di Vipsanio Agrippa, generale di Ottaviano e suo amico personale, poi.


Musei vaticani. Statua di Augusto "di Prima Porta" o "loricato"
Ottaviano ebbe sempre grande stima della moglie e le concesse uno spazio inusuale nella vita politica. Di conseguenza l'influenza di Livia crebbe enormemente negli anni e lei si creò una cerchia personale di protetti ai quali fece assegnare cariche pubbliche.
Augusto morì nel 14 e mediante testamento assegnò a Livia un terzo del suo patrimonio, le riconobbe il titolo di Augusta e ne stabilì l'adozione, in modo che potesse far parte della gens Iulia anche dopo la morte del marito.

Ny Carlsberg Glyptotek Copenhagen. Busto di Tiberio
Livia sostenne con forza la successione per il figlio Tiberio, ma mantenne una grandissima e forse invadente influenza nella politica imperiale, tanto che questi a poco a poco se ne distaccò, fino alla rottura finale, che lo vide allontanarsi da Roma (risiedeva a Capri), e non tornare in città per la morte della madre, avvenuta nel 29.
Claudio, divenuto imperatore dopo Tiberio e Caligola, divinizzò Livia, nel 42.


Museo Nazionale Romano. Giardino di Livia (foto Daniela Durisisni)
Nel 1863 fu scavata a Roma, nella zona di prima Porta, una lussuosa residenza di epoca imperiale, riconosciuta come la Villa di Livia. Qui venne rinvenuta la famosa statua di Augusto detta appunto "di Prima Porta". Nel 1951 furono staccati gli affreschi della sala sotterranea, esposti al Museo Nazionale Romano. Il famoso “giardino di Livia” era destinato forse ad accogliere gli ospiti durante le calde notti estive, al fresco della sala ricavata al di sotto della villa. Alle pareti fu riprodotto un giardino, con la vegetazione e gli uccelli, e le balaustre a limitare lo spazio verde. Si tratta di una tecnica, adottata dall'arte romana da poco, allorché fu adoperata nella casa di Livia, e derivata probabilmente dai modelli dei giardini illusionistici orientali.


Museo Nazionale Romano. Giardino di Livia (foto Daniela Durissini)
Certo una sala così raffinata contrasta decisamente con quella che era l'immagine pubblica che Livia voleva e doveva dare di sé, con il rigore e la modestia nei costumi  e nella vita in generale, ma qui si comprende appieno la differenza tra il privato e ciò che veniva riflesso, per utilità, nella vita politica. 



giovedì 25 gennaio 2018

Laguna di Stjuža / Chiusa (Istria slovena)



Laguna di  Stjuža. Garzetta (foto Daniela Durissini)
La laguna di Stjuža, nome sloveno derivante dall'italiano Chiusa, è compresa nella Riserva Naturale di Strugnano. Dell'area fanno parte le antiche saline, ora abbandonate, che erano le più piccole e le più settentrionali dell'Adriatico e delle quali rimangono ancora visibili le vasche ricavate alle spalle della linea di costa, separate dal mare da un terrapieno, e collegate ad esso soltanto da uno stretto canale.

Laguna di  Stjuža. Garzetta (foto Daniela Durissini)

Saline di Strugnano (foto Daniela Durisisni)
L'area, creata artificialmente con il lungo e secolare lavoro dell'uomo, rappresenta l'unica laguna della Slovenia e l'ambiente umido, riparato dalle acque marine e dal vento, favorisce l'arrivo e la permanenza di molte specie di uccelli, anche nel periodo invernale.
Una rinnovata rete di sentieri e due ponti consentono di attraversare le saline e di osservare la fauna selvatica che vi staziona.

Saline di Strugnano (foto Daniela Durissini)

Cartellone del Parco Naturale (foto Daniela Durissini)




martedì 23 gennaio 2018

Rainer Maria Rilke e le Elegie Duinesi


Sul sentiero Rilke (foto Daniela Durissini)

Rainer Maria Rilke, è stato uno dei maggiori poeti di lingua tedesca del Novecento. Era nato a Praga, nel 1875 e, quando arrivò a Duino, ospite della principessa Marie von Thurn und Taxis, aveva già vissuto un'esistenza errabonda, che l'aveva condotto in diversi paesi e che gli aveva consentito di avvicinarsi e frequentare molti artisti tra i più famosi dell'epoca. Si era legato giovanissimo a Lou Salomé, scrittrice e psicanalista, nata a San Pietroburgo, di quattordici anni più vecchia di lui, donna affascinante, che aveva incantato anche Nietzche, e con lei si era recato in Russia, dove aveva incontrato L. Tolstoj e L. Pasternak, pittore e padre di Boris, che gli farà un famoso ritratto.


L. Pasternak. Ritratto di Rilke
Ma il legame sentimentale con la donna era finito da tempo, lasciando il posto ad un'amicizia duratura, e Rilke aveva sposato Clara Westhoff, scultrice, allieva di Rodin, dalla quale aveva avuto una figlia, Ruth.
Il matrimonio era durato pochissimo, probabilmente a causa dell'amore che, sebbene ufficialmente finito, ancora lo legava a Lou, e ben presto i due si erano separati consensualmente, mentre Rilke aveva continuato a viaggiare molto.



Paula Modersohn-Becker. Ritratto di Clara Westhoff
In Francia aveva conosciuto, oltre a Rodin, con il quale aveva condiviso l'alloggio, all'Hotel Biron, in rue de Varenne assieme anche a Jean Cocteau e Isadora Duncan, André Gide, destinato ad avere una notevole influenza su di lui. Aveva poi viaggiato in Italia, in Algeria, Tunisia ed Egitto. Aveva inoltre già pubblicato diversi lavori che l'avevano fatto conoscere ed apprezzare, tra cui Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Cristoph Rilke, opera giovanile che aveva avuto uno straordinario successo e I quaderni di Malte Laurids Brigge, che aveva reso esplicita l'influenza dello scultore Rodin, che lo aveva introdotto ad una visione diversa e più completa del mondo.


Paula Modersohn-Backer. Ritratto di R.M. Rilke
Marie von Thurn und Taxis, mecenate, poliglotta, donna colta ed aperta alle nuove tendenze, conosceva molti artisti e soleva ospitarli nelle sue proprietà. Aveva conosciuto Rilke nel 1909 e l'aveva ospitato una prima volta nel suo castello di Lautschin, prima di invitarlo a Duino, dove questi era arrivato dalla Francia e dove rimase dall'ottobre del 1911 al maggio del 1912, in cerca di ispirazione per il suo nuovo lavoro. Fu al castello infatti che iniziò le Elegie Duinesi, componendone però solo le prime due, mentre l'opera fu completata ben dieci anni dopo e data alle stampe nel 1923.


Costone carsico e castello di Duino (foto Daniela Durissini)
Il poeta usciva dal maniero per andare a camminare lungo il costone carsico, a picco sul mare Adriatico, in vista della laguna di Grado e, dall'altra parte, di Trieste e della lontana costa dell'Istria. Questo panorama stupendo però sembra che più che consentirgli di trovare l'ispirazione e l'armonia, riuscisse ad acuire il sentimento di disagio e di irrequietezza che portava in sé, complice anche il clima, ora condizionato dai venti di scirocco, ora, e più spesso, dal gelido soffiare della bora, che scuotevano il sistema nervoso del poeta, com'egli stesso ebbe modo di affermare. Ed il tema del vento ricorre più volte nelle elegie, vento che scuote, “vento scuro”, ma anche “pieno di spazio celeste”, vento al quale gli esseri umani si abbandonano, come nella Quarta elegia “Superati e tardi ci accompagniamo ai venti d'improvviso e caliamo su stagni indifferenti”.

Laguna di Grado vista dal costone carsico presso Duino (foto Daniela Durissini)
Ma il tema che ricorre più di frequente nelle Elegie, nelle quali si sente l'influenza del pensiero di Nietzche, è quello della caducità della vita, e della possibilità di trovare rifugio, o momentanea consolazione, nell'esaltazione della vita interiore, mentre sullo sfondo si intravvedono anche elementi deducibili dall'attualità come la decadenza dei valori sociali causata dall'avanzare del capitalismo industriale. Nel gennaio del 1912, al castello di Duino, Rilke traduce Leopardi e, non a caso, vengono assunti, nella composizione delle Elegie, alcuni elementi di forte pessimismo espressi dal grande poeta ne “L'infinito”.


Castello di Duino visto dal Sentiero Rilke (foto Daniela Durissini)


Al poeta è stato dedicato un percorso, sul costone carsico, che parte da Sistiana ed arriva al castello di Duino.


Inizio Sentiero Rilke (foto Daniela Durissini)



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lunedì 22 gennaio 2018

Il castello di Duino e la Dama Bianca




Castello di Duino (foto Daniela Durissini)
Il castello di Duino è stato costruito tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV, accanto ad una precedente costruzione datata X secolo, le cui rovine sono ancora visibili (Castelvecchio). Di proprietà dei Duinati, poi dei Walsee, è nelle mani della famiglia Della Torre dalla fine del XVI secolo. Si erge scenografico, in posizione dominante, su di uno sperone roccioso, a picco sul mare Adriatico, già sfruttato dai romani per costruirvi una torre di guardia.


Castello di Duino (foto Daniela Durissini)
Al castello è legata la leggenda della Dama Bianca, che narra di una giovane sposa, spinta dal marito, un principe crudele, nel precipizio sul mare. La donna fu tramutata in una roccia bianca, che si vede ancor oggi ai piedi della rupe e che ricorda una figura femminile avvolta in un mantello. La leggenda vuole che il fantasma della donna si aggiri ancora, di notte, tra le stanze del maniero.


venerdì 19 gennaio 2018

Un gioiello nascosto: la chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Podnanos (Slovenia)



Podnanos. Chiesa dei Santi Cosma e Damiano (foto Daniela Durissini)

Poco lontano dal centro del paese di Podnanos, in località Podbrje, toponimo che fa riferimento alla posizione, sotto le colline, che delimitano a meridione la vallata del Močilnik, ai piedi della poderosa struttura del Nanos, sorge da tempo immemorabile una chiesetta, inizialmente eretta in forma di cappella e dedicata a San Rocco, protettore dei contadini e dei raccolti, ed evocato soprattutto in difesa delle pestilenze ed in genere di tutte le malattie infettive.

Podnanos. Chiesa dei Santi Cosma e Damiano (foto Daniela Durissini)
Pur non conoscendo la data certa della prima costruzione, alcuni documenti dei primissimi anni del secolo XVI fanno supporre che questa fosse stata completata nella seconda metà del secolo XV. Della forma originaria rimangono solo pochi elementi, riconducibili all'architettura gotica dell'abside. La struttura fu ampiamente rimaneggiata nel corso dei secoli e subì una trasformazione importante nella prima metà del secolo XVII, probabilmente voluta e finanziata dalla famiglia Rossetti, proprietaria della fattoria adiacente.  

Podnanos. Chiesa dei Santi Cosma e Damiano e fattoria (foto Daniela Durissini)
Venne riconsacrata nel 1642 e dedicata, in quell'occasione, ai Santi medici Cosma e Damiano (anche se è tuttora conosciuta come chiesa di Sv. Rok) e, quasi a continuare una tradizione che da secoli voleva il luogo destinato all'evocazione della guarigione, alcuni secoli dopo, durante la prima guerra mondiale, fu adattata ad ospedale militare, per accogliere i feriti sul fronte dell'Isonzo.
In seguito venne abbandonata ed usata come stalla.
Si dovette arrivare alla seconda metà del secolo scorso perché fossero eseguiti i restauri che l'hanno restituita all'originale funzione. 

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Testa di angelo su pilastro laterale del portale (foto Daniela Durissini)
L'edificio, immerso nel verde, in un luogo idilliaco, circondato da campi e grandi castagni, è essenziale; costituito da una semplice aula, ha un campanile a vela e una copertura in lastre di pietra. Il portale, su cui è incisa la data del 1636, è molto noto per la sua bellezza. La testa di un angelo, scolpita in pietra, sta al centro di un frontone spezzato, decorato con foglie d'acanto, mentre sui pilastri laterali si ripete lo stesso tema della testa di un angelo e un vaso di fiori è scolpito sui piedritti.

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Portale (foto Daniela Durissini)
Su una delle pareti laterali esterne, nella parte postica, si nota un'originale crocifissione, datata 1644, con il Cristo al centro, tra Maria e la Maddalena ed ancora quattro testine d'angelo.
La chiesa è generalmente chiusa poiché all'interno sono custoditi tre altari barocchi di un certo pregio, soprattutto l'altar maggiore, dedicato ai Santi Cosma e Damiano e dovuto al maestro Angelo Sperandi, affiancato, sembra, per il lavoro di intaglio, dalla bottega Augustin Ferfile di Lubiana.


Chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Crocifissione (foto Daniela Durissini)


Piedritto (foto Daniela Durissini)





martedì 16 gennaio 2018

Rocca di Monrupino. Dove la Vergine vinse il diavolo




Rocca di Monrupino. Chiesa (foto Daniela Durissini)
Su di un colle, alle spalle del piccolo borgo carsico di Monrupino/Repentabor, non lontano da Trieste, si trova la rocca con il santuario dedicato alla Vergine, che in passato è stato una nota meta di pellegrinaggio.
Il colle, abitato fin dai tempi preistorici, come attestano i ritrovamenti riconducibili ad un castelliere, e quindi sede di una fortificazione romana, che, come spesso accadeva, vi si sovrappose, già agli inizi del XIV secolo ospitava una piccola chiesa. Ma fu nel secolo successivo che, di fronte alle numerose e minacciose scorrerie dei Turchi, fu eretto un muro a difesa dell'edificio sacro, destinato ad ospitare temporaneamente, entro il perimetro fortificato, gli abitanti del luogo ed i beni che questi riuscivano a trasportare nel poco tempo che avevano a disposizione per fuggire, da quando veniva dato l'allarme, diffuso mediante l'accensione di fuochi, di colle in colle, di paese in paese, all'avvicinarsi delle bande di predoni.


Rocca di Monrupino (foto Daniela Durissini)
Questo tipo di difesa spontanea, costituito da un muro sufficientemente resistente ad un eventuale primo impatto con piccoli drappelli di cavalleria leggera e, data la modalità delle incursioni, non destinato a resistere ad un eventuale assedio, che in genere non si verificava, è molto diffuso su tutti i territori interessati dalle incursioni turchesche e prende il nome di tabor, significativamente ricorrente nella denominazione slovena dell'abitato sottostante. Oggi come allora vi si accede da una porta fortificata, sul lato occidentale.


Rocca di Monrupino. Mura (foto Daniela Durissini)
Il borgo di Monrupino, sito non lontano da una delle strade che conducevano alla Carniola e, data la comodità del valico, molto usata per i traffici commerciali verso questa regione, attrasse nei secoli anche i pellegrini che si recavano al santuario, circondato da un'aura di mistero, sito com'era in una zona impervia e tuttavia dominante l'intero territorio circostante, dai lontani monti, spesso coperti di neve, fino al mare.


Rocca di Monrupino. Porta d'accesso al tabor (foto Daniela Durissini)
Si diceva che la Vergine fosse intervenuta per scacciare il demonio che praticava il luogo indisturbato, ostacolando, tra l'altro, proprio la costruzione della chiesa, e che l'avesse infine vinto. Della lotta tra i due rimarrebbe un'impronta, in una roccia che si nota proprio davanti alla chiesa, generalmente ritenuta quella del piede della Vergine, ma che qualcuno, invece, preferisce pensare come appartenente allo zoccolo del diavolo. Dipende dai punti di vista e da come ognuno vuol vedere la piccola pozza formatasi per l'azione dell'acqua nella roccia calcarea.


Rocca di Monrupino. Impronta del "piede della Vergine" (foto Daniela Durissini)
D'altronde, quando d'inverno soffia la bora e le ombre si allungano precoci nel piazzale tra la chiesa e l'antica canonica, sembra ancora di sentire le urla ed i lamenti di creature demoniache, e di vederne le ombre agitarsi sinistre tra le rocce, materializzazione delle antiche leggende. Non resta allora che trovare rifugio nella chiesa, che ha sostituito la costruzione più antica ed è stata inaugurata nel 1512 e più volte rimaneggiata.


Rocca di Monrupino. Chiesa (foto Daniela Durissini)
Della costruzione cinquecentesca rimangono in effetti pochissimi elementi architettonici. La chiesa presenta un campanile addossato alla facciata ed un tetto in lastre di pietra. Caratteristica l'antica canonica, risalente al secolo XV, addossata al muro del tabor, alla quale si accede mediante una scala in pietra, alla base della quale si trova un pozzo, che garantiva la sopravvivenza alla popolazione che si rifugiava entro le mura.
Dall'ampio piazzale, nelle giornate serene, si gode di un panorama mozzafiato.


Rocca di Monrupino. Antica canonica (foto Daniela Durissini)


Per un approfondimento sui tabor e le fortificazioni di rifugio 





lunedì 15 gennaio 2018

Il sentiero dei poeti


Monrupino. Scultura sul colle del santuario (foto Daniela Durissini)
Nei pressi di Monrupino, piccolo borgo del Carso Triestino, alle spalle del colle sul quale sorge l'antico santuario dedicato alla Vergine, alcuni anni fa la provincia di Trieste ha realizzato il "Sentiero dei poeti", una breve passeggiata romantica nel bosco di cedui che avvolge l'altura, dedicata a Srečko Kosovel, Umberto Saba ed Igo Gruden, artisti appartenenti alle due comunità, italiana e slovena, che oggi hanno saputo mettere da parte le vecchie rivalità, per convivere pacificamente in questa terra di contrasti e di confini e che, anzi, si sono arricchite proprio delle rispettive diversità.
Così in quest'angolo di territorio posto sul limitare del Carso triestino, dove i monti, vecchia linea confinaria, lasciano spazio man mano alla piana slovena, sono riuniti coloro che, in tempi passati, amarono e cantarono il Carso e, dal lavoro complessivo di ogni singolo artista, sono stati scelti, per essere riportati sulle basi delle sculture che li rappresentano, alcuni versi, dedicati a questa terra.

Srečko Kosovel, nato a Sesana (Sežana - Slovenia) nel 1904 e morto giovanissimo, di meningite, a Tomadio (Tomaj- Slovenia), nel 1926.

Srečko Kosovel (foto Daniela Durissini)


Srečko Kosovel da "Pesem s Krasa"

Umberto Saba, nato a Trieste nel 1883 e morto a Gorizia nel 1957.

Umberto Saba (foto Daniela Durissini)

Umberto saba da "Contovello"

Igo Gruden, nato ad Aurisina, sul Carso Triestino, nel 1893, morto a Lubiana (Ljubljana – Slovenia), nel 1948.

Igo Gruden (foto Daniela Durissini)




Igo Gruden da "O Nabrežina ti rodnj moj kraj"