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lunedì 24 aprile 2017

Chiesa di San Michele a Erzelj. La pesa delle anime

Erzelj. Chiesa di San Michele
Erzelj. Chiesa di San Michele. Bassorilievo (foto Daniela Durissini)
Il tabor di Erzelj, sul Carso sloveno, è posto su un'altura sovrastante il paese, in un'eccezionale posizione dalla quale si domina tutta la valle del Vipacco.
Fa parte di una straordinaria rete di fortificazioni spontanee, sorte nei secolo XV-XVI, per difendere le popolazioni dalle scorrerie dei Turchi che percorrevano le valli diretti verso le campagne Friulane. All'avvicinarsi del nemico gli abitanti delle zona correvano a rifugiarsi entro il perimetro del tabor, portando con sé quel poco che potevano trasportare ed attendendo, protetti dalle mura di difesa, che però non avrebbero resistito ad un assedio, il veloce passaggio degli uomini a cavallo. Questi per lo più si limitavano a razziare le case e le campagne poste lungo il loro passaggio, non essendo quelli i loro obiettivi di conquista, e perciò, dopo poco tempo, i contadini potevano abbandonare il tabor e far ritorno alle loro abitazioni ed alle loro occupazioni usuali. Avevano forse perso qualche animale o parte delle provviste, ma avevano salvato la vita.

Chiesa di San Michele. Erzelj
Erzelj. Chiesa di San Michele (foto Daniela Durissini)

La chiesa, posta entro le mura, aveva una funzione di protezione e di aggregazione.
Il tabor di Erzelj, a differenza di molti altri, poteva usufruire di un valido sistema di raccolta delle acque piovane e, poco lontano, di una sorgente alla quale si poteva accedere senza allontanarsi troppo.
Salendo dal paese alla cima dell'altura si incontra una prima chiesa, dedicata a san Lorenzo, mentre la chiesa di san Michele (eretta alla fine del XIII secolo e più volte rimaneggiata) si trova proprio in vetta al colle. Sul campanile, a pianta quadrata, è posto un interessante bassorilievo raffigurante san Michele che pesa le anime dei defunti e, sotto alla bilancia, il diavolo, pronto a carpire quelle condannate (XV secolo).


Chiesa di San Michele. Erzelj
Erzelj. Chiesa di San Michele. Particolare del bassorilievo  (foto Daniela Durissini)

La raffigurazione è molto interessante, poiché in questo contesto è piuttosto rara, mentre è assai più diffusa la rappresentazione dell'uccisione del drago.
Nello specifico della rappresentazione iconografica san Michele appare nell'atto di pesare le anime su una bilancia che, spesso, viene abbassata furtivamente dal demonio con l'intento di accaparrarsi un'anima in più, mentre l'arcangelo con la spada lo allontana.
L'immagine della pesa delle anime si ritrova già nell'antico Egitto, dove la psicostasi rappresenta uno dei momenti salienti del passaggio all'aldilà, allorché Anubi conduce il defunto verso la bilancia che, pesando il suo cuore, e mettendolo a confronto con una piuma, stabilisce il passaggio alla vita eterna o la definitiva condanna e la caduta nelle fauci di Ammit, creatura mostruosa che lo divorerà.
Questa rappresentazione sembra attraversare quasi inalterata i secoli e le religioni, la si ritrova infatti anche nello zoroastrismo e nell'antico testamento. Nel cristianesimo l'operazione della pesa delle anime viene assunta da san Michele, altre volte rappresentato come un guerriero che con la lancia colpisce il drago o, soprattutto in epoca paleocristiana e bizantina, come guaritore degli infermi, vestito in questo caso con abiti da dignitario di corte.
Ed è interessante notare che come la raffigurazione della pesa delle anime percorre i secoli e le religioni, così anche la figura stessa di san Michele, sembra derivare, almeno in parte, da quella di Mitra-Sole, le cui funzioni però sono arricchite dal quella mediatrice di Hermes-Mercurio, il che spiega la collocazione della festa nel periodo immediatamente successivo all'equinozio autunnale, cioè il 29 settembre. Tutte le religioni del Libro riconoscono una funzione primaria a Michele.



Erzelj. Chiesa di San Michele
Erzelj. Chiesa di San Michele. Particolare del bassorilievo (volto di San Michele) (foto Daniela Durissini)

Tornando alla rappresentazione iconografica specifica della pesa d'anime si ricorda che anche a Mitra era attribuita la funzione di separazione degli uomini malvagi da quelli buoni, che avrebbe dovuto esercitare alla fine del ciclo cosmico, e che tale funzione era analoga a quella del greco Hermes.
Qui, sul campanile della chiesa di Erzelj, si vede un san Michele in abiti nobiliari, che regge la bilancia ed impugna una lancia. Il demonio, in basso, creatura mostruosa dall'enorme bocca, quasi fuori dalla cornice della rappresentazione, tenta di afferrare la bilancia.
Curiosamente, un affresco più recente (XVIII sec.), all'interno della chiesa, raffigura un san Michele molto diverso, che riunisce in sé molte delle caratteristiche in genere rappresentate singolarmente. L'arcangelo qui dispiega le ali bianche, indossa un'armatura, impugna la spada con la quale deve colpire il demonio, ma in una mano ha anche una piccola bilancia.



Erzelj. Chiesa di San Michele. Affresco (foto Daniela Durissini)

Per le notizie sulla trasformazione del culto di san Michele cfr. Alfredo Cattabiani, Calendario, Mondadori, 2008, p. 286-292



venerdì 21 aprile 2017

Aquileia. Il porto fluviale romano



Porto fluviale di Aquileia (foto Daniela Durissini)

Aquileia, città portuale, nonostante non sorgesse direttamente sul mare, al quale tuttavia era collegata attraverso canali ed attraverso il fiume Natisone-Torre, che scorreva accanto alle mura cittadine, in età giulio-claudia era dotata di ottime strutture per l'approdo, venute alla luce grazie agli scavi archeologici effettuati negli anni Trenta del secolo scorso.
Tuttavia sembra probabile che alcune strutture esistessero già precedentemente, in età repubblicana.
L'alveo del fiume, oggi interrato, era allora ampio 48 metri e le banchine, come la maggior parte delle strutture attinenti all'attività del porto, sorgevano sulla sponda destra orografica. Sulla sinistra invece, è stato messo in luce un muro in blocchetti di pietra, interrotto da gradinate che scendevano all'acqua.
Camminando lungo il viale che affianca gli scavi si possono individuare chiaramente le banchine rivestite nella parte superiore con lastre verticali di calcare d'Istria, sopra le quali si notano gli ormeggi, mentre più in basso è stato individuato quello che si ritiene fosse un piano di carico inferiore.


Banchine con scalinate (foto Daniela Durissini)

Dalle banchine si dipartono tre passaggi lastricati che corrispondono a tre decumani cittadini. Due di questi sono costituiti da delle rampe spezzate, mentre il terzo e più meridionale, è gradinato. Esso corrisponde al decumano di Aratria Gallia, che prese il nome da colei che ne finanziò la realizzazione. Da questo punto in poi la banchina appare realizzata in modo molto diverso ed è probabile che possa essere datata ad un periodo successivo a quello in cui fu realizzato il settore precedente.
In una posizione arretrata rispetto alle banchine sono stati rinvenuti i resti di un edificio inizialmente individuato come magazzino ma con più probabilità un portico, destinato allo scarico ed allo smaltimento delle merci.


Porto fluviale di Aquileia. Banchine (foto Daniela Durissini)

Nel corso del III secolo d.C., probabilmente nel 238, allorché Massimino il Trace cinse d'assedio la città, furono erette alcune opere di difesa che in parte vennero a sovrapporsi alle banchine del porto. Si fece ampio ricorso al materiale lapideo già esistente in loco. Le scalinate furono sbarrate per la necessità di chiudere un facile accesso al cuore della città. Il porto fu ancora utilizzato ma agli accessi al fiume furono difesi per mezzo di torrioni rettangolari. Una cinta difensiva venne eretta nella parte più meridionale del porto, di cui costituì il muro di sponda. Nel corso di un successivo assedio, avvenuto nel 361 d. C., le opere di difesa furono rinforzate per mezzo di due torrioni circolari, ma sembra che in quell'occasione gli assedianti avessero deviato il fiume, contribuendo così all'interro, già in atto naturalmente, dello stesso, il che spiegherebbe la realizzazione di pontili utili a raggiungere le imbarcazioni ormeggiate al largo e l'utilizzo di pali per il contenimento delle rive.


Porto romano di Aquileia. Elemento decorativo (foto Daniela Durissini)

Gli scavi più importanti vennero condotti negli anni compresi tra il 1926 ed il 1931 dalla direzione del Museo Archeologico aquileiese. La passeggiata archeologica è stata realizzata nel 1934. Nel corso degli anni sono stati rinvenuti, in località Monastero, poco a nord del porto fluviale, tre ponti che attraversavano il corso del fiume Natisone.



mercoledì 19 aprile 2017

I mulini del Timavo, monumento culturale.


Disegno relativo ad un mulino sul Timavo (da una tabella segnaletica) (foto Daniela Durisini)


Anticamente, lungo il corso del fiume Timavo, in sloveno Reka, sono sorti numerosi mulini e segherie. Le ruote in legno mosse dalle acque del fiume avviavano gli ingranaggi che muovevano le grosse macine per le granaglie oppure le seghe.
Il fiume garantiva la possibilità di un'attività per buona parte dell'anno e le rive offrivano lo spazio necessario per la costruzione degli edifici e per la realizzazione dei canali che deviavano le acque verso le ruote. Uno di questi mulini sorgeva già nella forra che precede le grotte ed oggi si possono vedere i resti dell'edificio e delle opere annesse. L'attività di molitura era così presente nella zona che la valle era conosciuta come “Valle dei mulini”.
Le macine in pietra arrivavano dal Tirolo ed erano ricercate per la buona qualità della pietra impiegata nella loro realizzazione. Gli edifici erano in genere semplici e di dimensioni modeste, costruiti in pietra, con tetto anch'esso in pietra.



Cartello esplicativo sul percorso didattico del Timavo (foto Daniela Durissini)


I mugnai dovevano lavorare sodo, non solo al mantenimento del mulino, ma anche sul letto del fiume e in alcuni punti, dove si formavano degli inghiottitoi e l'acqua si inabissava invece di scorrere in superficie, provvidero ad otturare i fori con pietre e legna.
Inoltre occorreva effettuare una manutenzione continua del complesso sistema costituito dai canali, dalle dighe costruite per deviare parte delle acque del fiume, e dei meccanismi che muovevano le ruote che a loro volta facevano muovere le macine o le seghe. Lavoro sovente vanificato dalle frequenti piene del fiume che danneggiava i manufatti. 



Schema di mulino ad acqua (tradizionalemondin)


Il lavoro del mugnaio insomma richiedeva esperienza e tenacia ed una preparazione tecnica che le famiglie si tramandavano di generazione in generazione.
Tuttavia non furono solo i danni provocati dalle acque ma anche il declino dell'attività, sempre meno richiesta, di fresatura e taglio, ed anche di quella di molitura a far sparire, ad uno ad uno i mulini della valle del Timavo.
Un patrimonio culturale importantissimo, andato perduto in anni relativamente recenti (alcuni mulini erano attivi ancora alla metà del secolo scorso).
Oggi alcuni edifici sono stati recuperati a scopo turistico, i resti dei mulini (e tutto ciò che ricorda questa attività) sono considerati monumento culturale e sono stati inseriti in un percorso didattico lungo il fiume.



martedì 18 aprile 2017

San Canziano (Škocjan). Storia e archeologia


Castelliere di San Canziano
Ricostruzione del castelliere di San Canziano (foto Daniela Durissini)


Al di là dell'importanza scientifica e turistica delle celebri grotte nelle quali scorre il fiume Timavo, San Canziano (Škocjan) sul Carso Sloveno, è una località storicamente interessante che porta i segni evidenti di una continuità abitativa che ebbe inizio dalla preistoria. Il breve itinerario che conduce dal centro del paese al vicino borgo di Betanja offre la possibilità di riconoscere queste importanti evidenze. Una serie di cartelli bilingui (sloveno/inglese) accompagna il percorso che si snoda lungo carrarecce e stradine secondarie, partendo dall'area dello stagno, un tempo usato per l'abbeveraggio degli animali ed oggi riattato al solo scopo esplicativo dell'attività di allevamento un tempo praticata in zona ed ora, a dire il vero, in netto recupero.
Tutta l'area di San Canziano è estremamente ricca di importanti siti archeologici. Le prime tracce della presenza umana risalgono a 5000 anni or sono. Nelle grotte Tominčeva Jama e Roška špilja, due importanti siti archeologici ipogei, si sono trovati reperti risalenti all'età del rame ed alla prima età del bronzo, alcuni dei quali inusuali per la cultura locale ed evidentemente portati da località lontane, il che ha orientato gli studiosi verso l'ipotesi di una frequentazione di tipo cultuale dell'area. San Canziano, doveva essere già allora un luogo di pellegrinaggio, legato senza dubbio alla presenza delle acque del fiume che si inabissa misteriosamente nelle profondità della terra (per uscire poi in mare a San Giovanni di Duino), e come tale era anche un luogo di scambio di merci ed una località ricca, rispetto a quelle circostanti.


Tabella esplicativa del percorso (foto Daniela Durissini)


A conferma di questa teoria si sono trovati sul fondo della Velika jama na Prevali o Mušja jama, formata da un pozzo di più 50 metri, resti di armi, ma anche di vasellame in bronzo, databili dal XII all'VIII secolo a.C., provenienti sia dalla zona mediterranea che da quella pannonica, gettate nell'abisso a seguito di pratiche rituali.
Un'importante necropoli è stata trovata sotto Brežec, con più di trecento sepolture, alcune delle quali datate fin dall'XI secolo a.C. e contenenti corredi funerari in ferro, mentre all'epoca questo meteriale era assai poco diffuso nell'Europa centrale. La maggior parte delle sepolture sono comprese tra il IX e l'VIII secolo.
Sepolture sono state trovate anche presso la Okostna jama, ed in una di queste è stata rinvenuta una situla bronzea con un'iscrizione che, per la precocità della datazione (IV secolo a.C.) viene ricollegata alle pratiche cultuali della zona.
Risalendo il colle alle spalle dell'abitato ci si trova nel sito dove furono rinvenuti i resti di un castelliere, villaggio fortificato, posto sulla sommità dell'altura e circondato da mura di difesa realizzate in pietra. Accanto al lato meridionale della cinta muraria è stato trovato un deposito contenente il cosiddetto tesoretto di San Canziano, composto da collane, bracciali, ciondoli, databili al V secolo a.C..



Tabella esplicativa (foto Daniela Durissini)


Sulla cima del colle si trova la ricostruzione di una casa in pietra con un tetto in paglia usato anticamente e sostituito in seguito, laddove la presenza del materiale lapideo lo rese possibile, dal classico tetto in pietra. L'edificio ospita un piccolo museo etnografico. 




San Canziano Museo etnografico
Museo etnografico (foto Daniela Durissini)



Ancor più avanti un altro stagno e, di fronte, un'apertura nel muro che delimita la strada e che consente di affacciarsi in tutta sicurezza sulla profonda fenditura che giunge fino alla caverna dove scorre il Timavo poco prima di inabissarsi. Il paese infatti, che conserva ancora l'impianto medievale, è stato costruito sul ponte naturale che separa le due grandi caverne in cui scorre il fiume.



Fenditura verso il Timavo (foto Daniela Durissini)


La profonda fenditura della roccia misura 90 metri ed è larga 22 metri.
Poco più avanti la chiesa, di origini antiche, ma ristrutturata nel corso dei secoli XVII e XIX.
Di grande interesse la titolazione a San Canziano, che corrisponde a quella di molte altre chiese della zona e che è strettamente legata alla presenza delle acque.




Chiesa di San Canziano
Chiesa di San Canziano (foto Daniela Durissini)



Scendendo si arriva al piccolo abitato di Betanja, che presenta edifici rurali chiusi e cinti da mura, con cortile interno e pozzo centrale. L'edificio di questo tipo costituiva un nucleo autonomo e autosufficiente ed alla casa principale affiancava, piccole dipendenze rustiche per il ricovero di animali ed attrezzi. Uno di questi edifici conserva ancora la tipica copertura in pietra. 



Betanja. Edificio con copertura in scandole di pietra (foto Daniela Durissini)


 (click) Notizie sull'archeologia nella zona di San Canziano 




mercoledì 12 aprile 2017

Charles Darwin e il viaggio sul Beagle

Charles Darwin. Viaggio di un naturalista intorno al mondo (The Voyage of the Beagle)



Charles Darwin ritratto in età giovanile da George Richmond


Charles Darwin (1809-1882) aveva solo 22 anni quando si imbarcò sul Beagle, la nave che il comandante Robert Fitzroy doveva condurre in un lungo viaggio intorno al mondo.



Robert Fitzroy


Prima di quel fatidico 27 dicembre 1831 in cui la nave salpò da Plymouth, non aveva combinato gran che. Avviato dal padre agli studi di medicina, presso l'Università di Edimburgo, se n'era ritratto perché troppo sensibile alle pratiche della sala anatomica, ed anche perché, fin da bambino, s'era interessato piuttosto alla storia naturale e preferiva trascorrere le sue giornate all'aperto, raccogliendo ogni sorta di insetti e di minerali che collezionava testardamente, contro il parere dei genitori. Il padre allora lo aveva mandato a Cambridge, al Christ's College, sperando in una carriera ecclesiastica, che non ebbe seguito, dato che anche in questo il ragazzo non si sentiva portato. Almeno lì però aveva concluso gli studi, pur continuando a leggere testi di storia naturale, materia della quale era diventato un esperto, tanto che il noto geologo Adam Sedgwick gli aveva chiesto di accompagnarlo in una campagna di rilievi effettuata in Galles, nell'estate del 1831.
Nello stesso anno era prevista la partenza del Beagle ed era stata messa in conto la presenza a bordo di un noto entomologo, L. Jenyns, ma avendo questi rinunciato, il professor John Stevens Henslow, con cui Darwin, negli anni di Cambridge, aveva studiato botanica, lo aveva proposto come sostituto. Charles aveva rifiutato, spinto anche dal padre che non poteva credere che non si trovasse nessuno più esperto del figlio per quell'impresa, e perciò guardava all'incarico con sospetto, ma per fortuna era intervenuto lo zio, a convincere entrambi della grande opportunità offerta ad uno studioso così giovane e Charles s'era presentato a Fitzroy, il quale lo aveva accettato.



Viaggio del Beagle


In realtà i due non andarono troppo d'accordo, nel corso del viaggio, dovendo anche condividere la cabina, che Charles riempiva di reperti raccolti durante le soste della nave. Ma non si trattava solo del fastidio dovuto alla lunga convivenza (in realtà il viaggio, che originariamente doveva durare due anni ne prese ben cinque), i due avevano caratteri opposti ed idee completamente diverse. Robert Fitzroy era una persona molto particolare, soggetto a delle ire improvvise, come a delle riconciliazioni altrettanto imprevedibili (noti alcuni episodi in cui cacciò Darwin per poi riaccoglierlo come se niente fosse accaduto), ed inoltre il suo viaggio era il secondo nelle terre australi (durante il primo viaggio, sempre a bordo del Beagle, aveva sostituito il capitano, suicidatosi), da dove la prima volta aveva prelevato quattro nativi Yamana per condurli in Inghilterra, promettendo loro un ritorno certo entro un anno. Durante il viaggio uno di questi era morto, ma il capitano voleva senz'altro mantenere la parola data e perciò aveva organizzato la seconda spedizione per riportare gli altri tre e, non trovando finanziatori, aveva in un primo momento impiegato tutto il suo denaro. Poi venne allestita una nuova spedizione scientifica, con l'intento di realizzare delle carte nautiche che aiutassero le imbarcazioni, sempre più frequenti, sulle complesse rotte meridionali degli oceani. Aveva quindi delle motivazioni forti ma aveva dimostrato una tenacia fuori dal comune, mentre Charles era un ragazzo inesperto, che si lanciava volentieri in ogni avventura quando si trattava di scendere a terra per poter compiere le sue osservazioni naturalistiche. Ed in effetti sui cinque anni che durò il viaggio, Darwin ne trascorse più di tre ad esplorare le terre toccate dal Beagle, allontanandosi dalla nave anche per parecchio tempo. Questo consentì ad entrambi di portare a compimento il viaggio.
La nave attraversò l'Oceano Atlantico, passando per Madera, le isole del Capo Verde, e arrivò in Brasile. Lì avvenne la prima delle famose discussioni in toni accesi tra Darwin e Fitzroy che manifestò l'intenzione di lasciare il povero Charles a terra, pentendosi poco dopo. Darwin prese a trascorrere lunghi periodi sulla terraferma raggiungendo la nave nei successivi approdi ed approfittando per spedire in Inghilterra i reperti, tra i quali vi erano anche grandi ossa di mammiferi estinti. Ma il viaggio si fece particolarmente interessante quando si trattò di scendere ancor più, lungo le coste dell'America meridionale. In Patagonia Darwin incontrò i nativi Yamana, popolazione alla quale appartenevano i tre condotti in Inghilterra e si sorprese per le loro abitudini, per l'indifferenza con la quale sembrarono accogliere i loro parenti che avevano viaggiato in Inghilterra, per le condizioni di vita. 



Fuegino ritratto da Conrad Martens durante il viaggio del Beagle

Anche il missionario che aveva accompagnato i tre e che si proponeva di rimanere in terra del Fuoco per tentare di evangelizzare i nativi, di fronte alla distruzione della missione ad al furto delle suppellettili preferì risalire a bordo della nave. Peraltro poterono constatare che, dopo qualche mese, quando il Beagle fece ritorno, dopo un anno, dopo aver visitato le isole Falkland, aver risalito la costa fino a Montevideo, ed essere sceso nuovamente verso sud, trovarono uno dei Fuegini, Jimmy Button, il quale era ritornato alla vita precedente senza alcun apparente rimpianto per quella che aveva condotto in Inghilterra.
Finalmente, e s'era ormai nel 1834, la nave attraversò lo stretto di Magellano ed iniziò a risalire la costa del Cile. Qui Darwin ebbe modo, tra l'altro, di visitare la Cordigliera delle Ande, attraversandola e scendendo alla città di Mendoza, per poi tornare a Valparaiso e reimbarcarsi. Inoltre assistette al terremoto di Valdivia, che distrusse la città ed anche quella di Conception, 300 chilometri più a nord, e ne rimase molto impressionato. Osservando la linea dei mitili che emergeva di più di due metri dalla superficie del mare dedusse che questi fenomeni facevano alzare la superficie terrestre.



Resti della cattedrale di Conception (John Clements Wickham)


S'era nel 1835 ed il Beagle fece rotta verso ovest, salpando verso le isole Galapagos, che regalarono a Darwin altre scoperte naturalistiche di rilievo, mentre era già giunta notizia in Inghilterra delle sue sensazionali scoperte e molti autorevoli scienziati avevano iniziato ad esaminare i reperti che aveva spedito.
Le tappe successive furono le isole della Società, Tahiti, dove Darwin ebbe modo di notare la differenza tra i nativi dell'isola e quelli della Terra del Fuoco, la Nuova Zelanda, l'Australia, dove incontrò gli aborigeni, ritenuti peggiori degli abitanti di Tahiti ma migliori dei Fueghini, che proprio non gli erano piaciuti. Il suo resoconto si fa qui più stringato e lo spazio dedicato alle esplorazioni è sempre più contenuto. Il ritorno della nave avvenne attraverso l'Oceano indiano, le isole Mauritius, il Capo di Buona Speranza, Città del Capo, l'isola di Sant'Elena, l'isola di Ascensione, le isole Azzorre, ed approdò in Cornovaglia il 2 ottobre 1836, quindi quasi cinque anni dopo la partenza.
Il libro-resoconto di questo viaggio venne pubblicato già nel 1839 e da allora ha avuto innumerevoli edizioni in tutte le lingue. La parte più significativa è quella che descrive il viaggio nell'America Meridionale.
Durante il viaggio, e successivamente, esaminando i suoi appunti ed i reperti, Darwin elaborò una sua teoria, sull'evoluzione delle specie, che gli inimicò parte del pubblico più ortodosso ma che, pur non priva di errori, divenne uno dei pilastri della scienza moderna. La pubblicò nel 1859 in un volume The origin of species (L'origine delle specie), che andò esaurito in pochissimo tempo.


Charles Darwin


Darwin ebbe la soddisfazione di veder riconosciuto in vita il suo lavoro e quando morì, il 19 aprile del 1882, venne sepolto nell'abbazia di Westminster, accanto a John Herschel e vicino a Isacco Newton.




martedì 11 aprile 2017

Aquileia. Casa delle bestie ferite. Nuovi ritrovamenti


Aquileia. Museo archeologico


Oggi è stata data notizia alla stampa del ritrovamento, ad Aquileia, di sette ulteriori vani, appartenenti verosimilmente al complesso della Casa delle Bestie ferite, domus scavata dal 2007 dal team dell'Università di Padova, su concessione della Soprintendenza per i Beni Archeologici per il Friuli Venezia Giulia. I pavimenti musivi che sono venuti alla luce, presentano decorazioni geometriche nei colori bianco e nero con decori vegetali e a crocette, ed uno è in terracotta, ed erano sepolti sotto uno strato di soli 20 cm di terra. Il nuovo ritrovamento è ubicato all'incrocio tra la via Julia Augusta e la via delle Vigne vecchie. L'analisi stratigrafica ha consentito di individuare quattro fasi di realizzazione dell'edificato comprese tra la fine del I secolo d.C. ed il IV secolo. Naturalmente ci vorrà diverso tempo prima che l'area possa essere fruita dal pubblico, considerato che la stessa domus è generalmente chiusa, tranne in rare occasioni in cui vengono organizzate delle visite guidate, e ciò in quanto si devono ancora completare gli studi sull'intero complesso che, come si è visto, riserva ancora delle sorprese. Lo scavo non è ancora ultimato.



Aquuileia. Pavimento musivo della Domus e Palazzo episcopale 

La Casa delle bestie ferite




Ubicata nei quartieri settentrionali della città romana, fu costruita tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d. C., ma conobbe il suo maggior sviluppo attorno al IV secolo, allorché si procedette all'ampliamento di cui si è trovata traccia nella decorazione musiva geometrica e con figure. La domus, nell'assetto finale, si sviluppava attorno ad una corte centrale, sulla quale si affacciavano i diversi ambienti, tra cui un'ampia sala di rappresentanza i cui pavimenti musivi raffigurano scene di caccia con animali feriti (da cui il nome dato alla domus) e scende allegoriche riferite alle stagioni, mentre in un'altra stanza il pavimento a mosaico raffigura una donna con dei fiori, pesci ed uccelli. Il pavimento della sala maggiore è uno delle più significative realizzazioni a mosaico rinvenute finora ad Aquileia.


Aquileia romana


Foto del pavimento ritrovato (Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, FVG)


Foto del pavimento musivo della Casa delle bestie ferite (MIBACT)


giovedì 6 aprile 2017

Codex purpureus rossanensis. Uno splendido manoscritto medievale


Codex purpureus rossanensis. Giuda


Il codex purpureus è un evangeliario greco miniato datato al VI secolo, originario della Siria o della Palestina, portato probabilmente in Italia dai monaci melchiti fuggiti verso occidente, tra i secoli VIII-IX, sia a causa dell'odio iconoclasta dei bizantini, sia a causa delle invasioni arabe. Rimasto nell'oblio per secoli venne nuovamente alla luce nel 1879, grazie allo studioso tedesco Adolf von Harnack,


Adolf von Harnak


che lo ritrovò nella sacrestia della cattedrale di Rossano e fu studiato e pubblicato da O. von Gebhardt (Die Evangelien des Matthaus und des Marcus aus dem Codex purpureus Rossanensis, Leipzig 1883). Prima di loro ne aveva fatto cenno Cesare Malpica, nel suo Diario di viaggio (1845-47).



Cesare Malpica


Il codice era già stato studiato dal canonico Scipione Camporota attorno al 1831, ma questi non ne aveva dato notizia. 


Il manoscritto




Il manoscritto, su supporto pergamenaceo, è tinto di rosso porpora. 



Codex purpureus rossanensis. Ultima cena


E' composto di 188 fogli e riporta i testi dei Vangeli dei Matteo e Marco (quest'ultimo mutilo), ed una lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli; è in lingua greca; la scrittura è un'onciale molto bella e dal ductus regolare, vergata su due colonne. 



Codex purpureus rossanensis. Esempio di scrittura


E' arricchito da 15 miniature, superstiti di un più ricco corredo iconografico, che illustrano la vita di Gesù nella settimana precedente la crocifissione. 



Codex purpureus rossanensis. Entrata di Gesù a Gerusalemme e Purificazione del Tempio


Ogni miniatura occupa un intero foglio, e tutte assieme riproducono un ciclo pittorico ecclesiastico, rappresentando un unicum tra i codici miniati.



Codex purpureus rossanensis. Agonia nel Getsemani


Originariamente il codice doveva presentare circa 400 pagine, in quanto una parte, contenente gli altri due Vangeli, è andata perduta.
Nel 2012 il codice è stato inviato all'Istituto Centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario per essere restaurato e studiato e nell'estate del 2016 è tornato a Rossano, dove un museo anch'esso rinnovato ed una sala dedicata hanno accolto l'opera, che necessita di particolari tecniche di conservazione. 
Nel 2015 è stato riconosciuto Patrimonio dell'umanità dell'Unesco ed inserito tra i nuovi documenti del Registro della memoria mondiale.




⇒ Testo della lettera di Eusebio a Carpiano


⇒ Sito ufficiale del Museo Diocesano e del Codice di Rossano


mercoledì 5 aprile 2017

Il paese sottile. Viaggio in Cile






Sara Wheeler, scrittrice e viaggiatrice britannica, ha pubblicato questo libro in lingua inglese Chile: Travels in a Thin Country, nel 1994. In italiano lo si trova con il titolo Il paese sottile. Viaggio in Cile (Neri Pozza, 2004). L'autrice, dopo aver scritto del suo viaggio nell'isola greca di Eubea e di questo, durato sei mesi, lungo tutto il Cile, è stata accettata dalla US National Science Foundation come prima donna scrittrice residente per un periodo al Polo Sud. Per questo motivo ha potuto rimanere per sette mesi in Antartide. Naturalmente ne ha ricavato, oltre ad una straordinaria esperienza, un nuovo libro: Terra Incognita: Travels in Antarctica (1997).






Ma tornando al libro in questione, dedicato al Cile, devo dire che non mi è piaciuto molto. L'autrice, infatti, l'ha percorso più o meno integralmente, dal deserto di Atacama alla Patagonia, con i mezzi più svariati, come capita a chi viaggia prendendosi del tempo e volendo vedere tutto quello che si può, ma a mio avviso non ha saputo rendere quello che è il vero spirito del paese, malgrado il suo viaggio sia stato abbastanza completo e sia durato piuttosto a lungo. 
Lo segnalo ugualmente perché comunque, all'epoca in cui è uscito, più di vent'anni fa, costituiva una pietra miliare per coloro che desideravano viaggiare nel paese, e perché riesce a dare un'idea di quello che c'è da vedere percorrendolo. E, come si sa, il Cile, paese sottile sì ma molto lungo, presenta regioni molto diverse tra loro, ed è in grado di soddisfare le aspettative di ogni viaggiatore, grazie ai suoi paesaggi straordinari, alle vaste aree naturali intatte, alla gentilezza della popolazione.
Il libro, a mio avviso, pecca di un'esagerata propensione ai dettagli, che però non trova riscontro in un'altrettanta curiosità verso quella che è e che è stata la storia del paese e, dicendo questo, non mi riferisco soltanto alla storia recente ma anche e soprattutto a quella dei secoli XVIII, XIX ed inizio XX, periodi di formazione e di connotazione dello stato cileno, in cui le popolazioni indigene furono vinte e sottomesse in nome del nuovo assetto politico e sociale del paese.

Certo, si potrebbe dire, questo è solo un libro di viaggio, una relazione di un percorso da Nord a Sud, ma il Cile, a ben guardare, presenta un po' dovunque i segni della sua storia, per certi versi assai travagliata, che non si può non vedere o vedere solo parzialmente. 

martedì 4 aprile 2017

Por la carretera austral


Edizione Kindle Amazon (2016)


Por la carretera austral di N.D. Alberti (Edizione e-book Kindle, 2016), è un simpatico libro, da scaricare sul proprio Kindle e portare con sé in viaggio lungo la carretera, ed è opera di un antropologo il quale, dopo essersi fermato per qualche tempo a studiare gli insediamenti della zona Mapuche del Cile, ha deciso di percorrere il paese fino in fondo, lungo la strada che collega Puerto Montt a Villa O'Higgins, ultimo avamposto in territorio cileno.
Il libro è scritto con stile agile e si legge con piacere. Dalla partenza, dalla città cui fa da sfondo la mole del vulcano Osorno, affacciata sul Pacifico, in fondo ad un'insenatura formata dall'isola di Chiloé, si percorrono assieme all'autore le strade, anzi, la strada sola e unica, bimodale, che conduce a Chaitén, piccolo centro distrutto recentemente dalla violenza dell'omonimo vulcano che lo sovrasta e da qui più giù, a Puyuhuapi, Coyhaique, Villa Cerro Castillo, Puerto Rio Tranquillo, Cochrane, Caleta Tortel, Villa O'Higgins, dove, dato l'approssimarsi dell'inverno e l'impossibilità di effettuare la traversata a piedi verso l'Argentina, il viaggio ha termine, proprio sulla riva di quel lago O'higgins che divide i due stati, dove l'autore giunge da solo, a piedi, in un giorno di autunno avanzato.
La carretera viene percorsa integralmente dall'autore con mezzi pubblici ed egli si prende tutto il tempo necessario a completare il percorso senza tralasciare niente di importante, fermandosi a parlare con le persone che incontra lungo la strada, nelle piccole biblioteche di paese, nelle località che il turista frettoloso non vedrà che dal finestrino del pullman. Per questo motivo il libro è utile al viaggiatore che vuole comprendere lo spirito della carretera, il significato che questo percorso ha ed ha avuto per il paese ed in particolare per la Patagonia cilena. Non mancano indicazioni precise sulla storia, molto travagliata, della strada, costruita con uno sforzo enorme e non senza un tributo in vite umane, disboscando una lunga striscia di territorio, facendo il fondo stradale, riuscendo a superare dislivelli notevoli. Un'opera grandiosa, che ancor oggi è (colpevolmente) intitolata a Pinochet, poiché se è vero che fu il dittatore a volerla, in parte per potersi fregiare di una realizzazione ambiziosa ed in altri tempi impensabile, in parte per completare il suo disegno di unione del paese (che comprendeva anche il disconoscimento delle diverse origini e tradizioni delle popolazioni indigene), è anche vero che le condizioni in cui operarono coloro che materialmente la realizzarono meriterebbero maggiormente un riconoscimento nazionale.



Caretello della Carretera Austral (foto Alberto Alerigi)


Piuttosto divertente la lettura delle piccole disavventure vissute dall'autore lungo il cammino e molto interessanti le storie relative all'insediamento sul territorio di grandi aziende alle quali lo stato ha svenduto, a partire dalla fine del XIX e per tutto il XX secolo, una gran parte del territorio del sud. Queste imprese posseggono ora boschi e montagne e laghi, mentre il diritto di sfruttamento delle acque dei fiumi è stato concesso ad alcune multinazionali dell'energia che sarebbero intenzionate a costruire delle dighe, avversate dalle popolazioni locali in quanto distruggerebbero zone incontaminate (ed anche la seppur modesta industria turistica). Per questo motivo e per difendere il territorio rimasto integro il miliardario americano Tompkins, già proprietario della North Face, aveva acquistato nel tempo molti ettari di terra, soprattutto a ridosso delle Ande (molti nella zona di Chaitén), creando una sorta di riserva integrale, anche se di proprietà privata. 




Ora, dopo la sua morte, avvenuta nel 2015, la vedova ha ceduto allo stato questa proprietà.
Mentre la carretera fu terminata nel 1996, esattamente vent'anni dopo l'inizio ufficiale dei lavori, l'ultimo tratto di 100 chilometri, fino a Villa O'Higgins, fu aperto solo nel 2000. Inizialmente la strada era tutta in ripio, ma si sta procedendo all'asfaltatura ed ora (2017) si è arrivati a Villa Cerro Castillo. Resta comunque il fatto che in alcuni tratti la strada passa accanto a fiumi (ad esempio il mitico Rio Baker) che, se particolarmente carichi d'acqua, impediscono il passaggio, che all'inizio da Puerto Montt a Chaitén occorre servirsi di tre traghetti, che nell'ultimo tratto, si deve passare il Rio Bravo, sempre su traghetto, e che ancora molti tratti presentano non solo un fondo in ripio ma anche un fondo a dir poco irregolare, fatto che scoraggia i più a percorrere la strada con le auto.
Il libro si conclude, come detto, con l'autore che, in piena solitudine, davanti allo spettacolo del lago O'Higgins, si dichiara disposto a passare l'inverno laggiù, dove ha ritrovato una dimensione umana accettabile ed è rientrato in possesso del proprio tempo, di fronte ed a confronto con una natura ancora incontaminata ma non per questo necessariamente ostile.