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giovedì 27 settembre 2018

Pensieri d'autore. Grazia Deledda

Fontana Piazza San Pietro
Roma. Piazza San Pietro. Fontana (foto Daniela Durissini)

"Adattarsi bisogna" - disse Efix versandogli da bere - "Guarda tu l'acqua: perché dicono che è saggia? perché prende la forma del vaso dove la si versa".


da Grazia Deledda, Canne al vento (1969)

Grazia Deledda (28 settembre 1871, Nuoro - 15 agosto 1936, Roma) scrittrice, ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1926.


⇒(click) Il libro: Grazia Deledda, Canne al vento

mercoledì 26 settembre 2018

Fotografare l'arte. Fontana dei LIbri

Pietro Lombardi (1927). Fontana dei Libri

Roma Fontana dei Libri
Roma. Via degli Stadeari (foto Daniela Durissini)

Pensieri d'autore. Jonathan Swift

Sebastiano del Piombo Polifemo
Roma. Villa Farnesina. Sebastiano del Piombo. Polifemo (foto Daniela Durissini)


Gulliver a colloquio con il re dei Giganti: La sua scienza del governo era chiusa in limiti strettissimi, riducendosi al buon senso,  alla ragionevolezza, alla dolcezza, alla sollecitudine nel decidere le questioni civili e penali, e a simili volgari principi di cui non mette neppur conto parlare. Egli finì con un paradosso di questa fatta: che l'uomo capace di far crescere due spighe o due fili d'erba dove prima ne cresceva soltanto uno, sarebbe stato più utile al genere umano e al proprio paese, di tutta la genia dei nostri polticanti.


Da Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver


⇒(click) Il libro: I viaggi di Gulliver (liberliber, prima versione italiana integrale, 1921)

martedì 25 settembre 2018

Sequoia National Park

Sequoia gigante da M. Dubois, C. Guy, Album Géographique (1896-1906)

Il 25 settembre del 1890 veniva istituito in California, il Sequoia National Park, che comprendeva una vasta area (1635 kmq) nella parte meridionale della Sierra Nevada, in cui si trova, tra l'altro, il Monte Whitney che, con i suoi 4421 metri è il più alto degli Stati Uniti, escludendo l'Alaska e le Hawai. Il Parco fu istituito principalmente a protezione dei grandi alberi di sequoia gigante, alcuni dei quali antichissimi, che costituiscono tuttora l'attrazione principale per i visitatori. Un esemplare in particolare, chiamato General Sherman, in onore di un generale della Guerra di Secessione Americana, secondo alcune misure effettuate nel 1975, raggiunge un'altezza di quasi 84 metri ed ha una circonferenza a terra di più di 31 metri. La combinazione di queste due misure fa sì che venga considerato l'albero più grande del pianeta.
Oggi il parco è gestito, assieme al vicino Kings Canyon Park, dal National Park Service.


⇒(click) Video della Sequoia General Sherman


lunedì 24 settembre 2018

Uno straordinario spaccato di storia del Medio Oriente: I baroni di Aleppo




Chiunque abbia avuto la fortuna di recarsi ad Aleppo prima della guerra civile e delle distruzioni che hanno sconvolto la magnifica città siriana, avrà avuto occasione di vedere il famoso Hotel Baron, che racchiude in sé un pezzo importante della storia del luogo. Oggi l'hotel sopravvive, con enorme difficoltà, e grazie alla caparbietà degli attuali proprietari ma, un tempo, fu uno dei più noti alberghi del Medio Oriente. Il bellissimo libro, scritto da Flavia Amabile e Marco Tosatti, ci racconta la storia della famiglia Mazloumian, giunta dall'Armenia, e delle vicende che portarono alla costruzione di questo straordinario edificio, non dimenticando di narrare, sullo sfondo, le vicende che caratterizzarono, in quei luoghi, gli anni cruciali a cavallo tra il secolo XIX ed il XX. 
Erano gli anni in cui si stava dissolvendo l'impero ottomano, che tuttavia occupava ancora alcune delle più importanti città del Medio Oriente, quando Krikor Mazloumian lasciò il paese natale di Antchurty, nell'Anatolia orientale, per recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme. Il viaggio non fu dei più tranquilli, a causa dell'incerta situazione politica, dei molti pericoli che rendevano difficile procedere sulle strade malsicure che collegavano i diversi centri abitati, ed incerto l'arrivo, ma Krikor riuscì a raggiungere la città santa ed a tornare sano e salvo al paese. Aveva visitato, tra le altre, città come Aleppo, della quale non era rimasto troppo favorevolmente impressionato, Damasco, Beirut. Quando la situazione politica si deteriorò ulteriormente però, fu proprio ad Aleppo che decise di trasferirsi, questa volta viaggiando assieme alla famiglia e lasciando per sempre Antchurty. Con il denaro che aveva messo da parte acquistò e fece rimodernare un piccolo edificio, vicino alla dogana, che trasformò nell'Ararat hotel, il primo gestito dalla famiglia Mazloumian.  Passati alcuni anni Onnig ed Armen, figli di Krikor, costruirono a loro volta due alberghi ed in seguito decisero di impegnarsi in un'impresa particolarmente costosa: la costruzione di un nuovo, grande, hotel, che avrebbero gestito congiuntamente, dotato di tutte le comodità e, questa volta, sito vicino alla stazione ferroviaria, dove nessuno immaginava che potesse avere il benché minimo successo. I due fecero arrivare da Parigi il famoso architetto Kaspar Nafilyan, il quale redasse il progetto per il nuovo edificio che, il giorno dell'inaugurazione, si presentò davvero magnifico agli occhi stupefatti dei numerosi, importanti, invitati. 
Da quel giorno l'hotel, che proprio grazie alla posizione, attirò presto molti visitatori, tra i quali personaggi importanti, come Lawrence d'Arabia ed Agatha Christie, divenne una ssata obbligata per coloro che giungevano ad Aleppo e per molto tempo fu l'unico albergo di classe della città. Ben presto fu circondato da molti altri edifici e non fu più isolato come nei primi tempi. Il vecchio Krikor aveva visto giusto, quando aveva deciso che quella sarebbe stata la meta definitiva del suo viaggio, capace di offrire protezione e nuove opportunità alla famiglia. Ma se Aleppo diede molto  ai Mazloumian questi diedero molto ad Aleppo, attirando con i servizi eccezionali forniti dal loro albergo importanti visitatori che lì trovavano un'accoglienza superiore a quella fornita dalla maggior parte degli alberghi di tutto il Medio Oriente. L'hotel Baron divenne così importante ed insostituibile luogo di incontro per coloro che, in quegli anni, percorrevano le strade di una regione dal divenire incerto e complesso e che, alle volte, si trovarono a deciderne le sorti. E sono proprio le dinamiche che portarono alla divisione dell'area mediorientale ed alla creazione degli attuali paesi che fanno da sfondo a questa storia straordinaria, rendendola ancora più interessante. 
Il libro, assai ben documentato e scritto in modo molto piacevole, è stato pubblicato una prima volta dalla Gamberetti Editrice, ed è stato poi ripubblicato da La Lepre edizioni nel 2011.


⇒(click) Il Libro: Flavia Amabile, Marco Tosatti, I baroni di Aleppo (ora anche in formato Kindle)


giovedì 20 settembre 2018

Helena Janeczek, La ragazza con la Leica



Ho letto La ragazza con la Leica, il libro della Janeczek, pubblicato da Guanda nel 2017, che ha vinto il premio Bagutta ed il premio Strega, entrambi nel 2018. Devo dire che non mi è piaciuto, soprattutto verso la fine l'ho trovato piuttosto noioso, ma anche nell'insieme non mi ha entusiasmata. Ne parlo perché, comunque sia, si tratta di un lavoro che ha richiesto un lungo lavoro di ricerca da parte dell'autrice, che ha scelto di rappresentare la protagonista della storia, Gerda Pohorylle, poi Gerda Taro, dal punto di vista di alcuni di coloro che la conobbero e che condivisero con lei il periodo dell'esilio e l'esperienza della guerra civile spagnola. Helena Janeczek scrive la biografia della fotografa, morta in Spagna, a Brunete, sul campo di battaglia, travolta da un carro armato, a soli 27 anni, partendo dai suoi primi anni in Germania e seguendone la vicenda umana, professionale e politica. Nata nel 1910 da genitori ebrei polacchi, dovette lasciare il suo paese e rifugiarsi in Francia, a Parigi, dove svolse diversi lavori prima di iniziare a fotografare. La sua amicizia e poi l'amore per l'ungherese Endre Friedman, che in seguito si fece chiamare Robert Capa, rappresentò indubbiamente lo stimolo per dedicarsi con sempre maggior serietà alla fotografia. Con la sua Leica, e non solo, Gerda eseguì dei réportages dalle zone di guerra, quando in Spagna si iniziò a combattere quello che doveva rivelarsi un conflitto lungo e sporco, in cui non si combatté soltanto tra nemici dichiarati ma anche tra le diverse fazioni della sinistra. Come si seppe in seguito, e forse non era ancora chiaro allora, quella guerra portò alla resa dei conti tra le diverse anime del partito comunista, facendo non poche vittime. Dalla voce di nessuno dei testimoni sopravvissuti si può evincere il grado di consapevolezza di Gerda e Robert su quanto realmente stava accadendo dietro le quinte del conflitto, ma quello che emerge diffusamente è il carattere caparbio ed ambizioso di lei, abituata ad essere ammirata da tutti, a fronte di un comportamento molto meno impegnato di lui, che pur divenne uno dei maggiori fotografi di guerra del secolo. Interessante il raffronto tra le foto eseguite dai due sullo stesso soggetto, a dimostrazione di come vedessero con occhio differente la medesima situazione. E con occhio differente i due vedevano anche la vita, senz'altro più seria ed impegnata lei, che nessuno riuscì a dissuadere dal tornare in Spagna in un momento particolarmente critico. La morte di Gerda, che sopportò con coraggio la fine, a seguito della terribile ferita procuratale dal carro armato, sopraggiunta dopo molte ore di sofferenze atroci, colpì molto, allora, l'opinione pubblica e, quando la salma fu traslata a Parigi, fu accolta da una moltitudine di persone che la accompagnarono al Père Lachaise, dove fu tumulata.
La storia della ragazza con la Leica è una vicenda importante per molte ragioni e, le ricerche eseguite per poterla scrivere, la rendono interessante, tuttavia la narrazione è a tratti faticosa e sembra che l'autrice stessa abbia dovuto affrontare non pochi problemi per mettere insieme le troppe informazioni assunte, o meglio quelle, probabilmente in numero eccessivo, che ha voluto riportare nel suo libro. 


mercoledì 19 settembre 2018

La Foresta di Tarvisio

Foresta di Tarvisio (foto Daniela Durissini)

Taglio della legna (foto Daniela Durissini)
Ai piedi delle Alpi Giulie occidentali, ed al confine con Austria e Slovenia si estende la foresta di Tarvisio, la più grande area boschiva demaniale italiana, al di fuori dei parchi, che, con i suoi 24000 ettari di comprensorio, interessa i comuni di Tarvisio, Malborghetto-Valbruna e Pontebba. L'area ha una storia molto particolare: da quando, nel 1007, fu donata dall'imperatore Enrico II, il Santo, di origini bavaresi, al vescovado bavarese di Bamberga, rimase di proprietà della Chiesa per più di sette secoli, fino al 1759, allorché la acquistò l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, concedendo però ai locali i diritti di servitù. A seguito però della massiccia deforestazione, dovuta allo sfruttamento eccessivo e non pianificato, il governo austriaco, nel secolo successivo, la reintegrò nei beni statali ed il governo italiano, al quale fu assegnata dal trattato di pace di San Germano, posteriore alla prima guerra mondiale, la affidò al Demanio statale. In seguito le proprietà ex-ecclesiastiche confluirono dapprima in un'azienda amministrata dal Fondo per il Culto e, con la revisione dei patti lateranensi, al Fondo Edifici per il Culto del Ministero degli Interni. La gestione è condotta oggi dal Ministero dell'Agricoltura di concerto con l'Azienda per le Foreste del Friuli Venezia Giulia. In questo modo vengono preservati i diritti di sfruttamento delle popolazioni locali e nello stesso tempo si attua un'attenta politica di controllo della fauna e della flora, qui particolarmente interessanti. A questo proposito va segnalata la presenza dell'abete rosso di risonanza, il cui legno è molto prezioso ed ambito per la costruzione di strumenti musicali. 
Foresta di Tarvisio (foto Daniela Durissini)
Fortunatamente i boschi non sono troppo frequentati e ci sono angoli solitari e selvaggi, tuttavia, in alcuni punti chiave, rappresentati dal fondovalle di Valbruna e, soprattutto, dai laghi di Fusine, la pressione turistica è davvero troppo impattante. Nel caso di Fusine si permette alle auto di accedere alla stretta strada che conduce ai laghi e di parcheggiare a lato degli stessi dove, sprattutto nelle domeniche estive, si creano ingorghi, difficilmente risolvibili, portando così l'inquinamento ed il rumore in un luogo che dovrebbe essere il simbolo stesso della pace e della tranquillità. 
Occorre dire inoltre che, per quanto riguarda la sentieristica e la segnaletica ci sarebbe ancora molto da fare. Mantenere i sentieri (tutti, non soltanto quelli più frequentati) e le opportune segnalazioni, invoglierebbe l'escursionista a percorrerli, cercando itinerari alternativi e scoprendo così angoli meravigliosi di questo impareggiabile mondo montano ed alleggerirebbe l'eccessiva pressione sulle zone più conosciute. 

martedì 18 settembre 2018

Progettare Trieste: Eugenio Geiringer

Trieste. Piazza dell'Unità (foto Daniela Durissini)

Eugenio Geiringer, architetto ed ingegnere, nato nel 1844 a Trieste, dove morì nel 1904, ebbe un ruolo significativo nella progettazione e realizzazione di alcuni degli edifici più importanti della città ottocentesca, oltre ad essere stato l'ideatore della famosa linea tranviaria che collega la città all'altipiano. 

Piazza dell'Unità (foto Daniela Durissini)
Tram di Opicina (foto D. Durissini)
Personaggio eclettico, capace di realizzare un'architettura particolare e nuova rispetto agli stilemi neoclassici ancora in uso all'epoca, ai quali tuttavia, in alcuni casi si conformò, collaborò alla realizzazione di alcuni dei palazzi che formano oggi la piazza dell'Unità che, in parte, progettò e di cui, in alcuni casi, ricoperse il determinante ruolo di direttore dei lavori. Fu questo, ad esempio, il caso del palazzo municipale, progettato da Giuseppe Bruni. Assieme a Domenico Righetti progettò l'affaccio sulla piazza di Palazzo Stratti, ebbe poi dalle Assicurazioni Generali l'incarico di realizzare l'hotel Garni, poi hotel Vanoli ed oggi Hotel Duchi d'Aosta. Tra il 1880 ed il 1882 fu realizzato il palazzo del Lloyd Austriaco, poi Lloyd Triestino, progettato dall'architetto viennese von Ferstel, e Geiringer ebbe l'incarico di seguire parte dei lavori. Nel 1884 fu incaricato di eseguire la facciata postica del Teatro Verdi, progettato da Matteo Pertsch.
Le Assicurazioni Generali lo incaricarono quindi di progettare la sede principale del gruppo, mentre condivise con l'architetto Muller il progetto per la realizzaizone della sede della Banca d'Italia. 
Si dedicò anche alla progettazione di alcune tra le dimore più prestigiose della Trieste d'allora, come la stessa villa Geiringer, sul colle di Scorcola, villa Fausta, già proprietà di Muzio de Tommasini, che restaurò e riadattò per la nuova proprietaria, Livia Fausta Veneziani, moglie di Italo Svevo, villa Basevi, che, a seguito del terremoto del 1895, ricostruì ed ampliò per la famiglia, che l'aveva acquisita dai Diana (la villa fu poi sede dell'Osservatorio astronomico triestino). 
Assieme all'architetto Pulitzer-Finali progettò il ristorante-birreria dell'ex fabbrica di birra Dreher, in piazza della Borsa.

Trieste Piazza della Borsa
PIazza della Borsa. A destra l'ex birreria Dreher (foto Daniela Durissini)

Presidente della Società Alpina delle Giulie di Trieste, disegnò e fece realizzare a proprie spese la vedetta Ortensia, sul ciglione carsico, dalla quale si poteva ammirare tutto il golfo. La dedicò alla propria moglie, Ortensia Luzzatti, da cui il nome. 
Per molti anni fu presidente della Società degli Ingegneri ed Architetti di Trieste.

giovedì 13 settembre 2018

Ricordo di Italo Svevo

Ettore Schmitz (Italo Svevo)
Italo Svevo da giovane 

Il 12 settembre del 1928, Italo Svevo, la moglie Lidia Veneziani ed il nipote Paolo stavano tornando, in automobile, da una vacanza a Bormio, quando, nei pressi di Motta di Livenza, l'autista perse il controllo della vettura, che andò a schiantarsi contro un albero. Lidia raccontò in seguito che il marito, accortosi di quanto stava accadendo, gridò al conducente: "Cosa la fà?". Tutti gli occupanti dell'automobile furono trasportati all'ospedale, nessuno ferito in modo grave. In particolare lo scrittore aveva subito soltanto la frattura del femore, ma l'abitudine al fumo non l'aiutò ed egli morì il giorno successivo, vinto da un enfisema polmonare e da un'insufficienza cardiaca, aggravati dallo shock subito. La figlia Letizia, accorsa al capezzale dei feriti, ricoverati in una stessa stanza, raccontò poi che, quasi in punto di morte, il padre chiese una sigaretta, che ovviamente, gli fu rifiutata, e che commentò: "Questa sarebbe stata davvero l'ultima", sottolineando ancora una volta, con l'ironia che gli era propria, il vizio del fumo, che lo possedeva e che aveva posto in evidenza anche nel suo più celebre romanzo: La coscienza di Zeno.
Si spegneva così, esattamente 90 anni fa, per un banale incidente d'auto, in un periodo in cui le automobili erano davvero poche e la velocità di queste comunque ridotta, uno dei più grandi scrittori italiani.



Il libro più noto di Italo Svevo è disponibile in diverse edizioni


Estremi climatici

Operai al lavoro nella Death Valley (Parco Nazionale della Death Valley) Immagine d'epoca

Il 13 settembre del 1922 fu registrata ad el-Azizia, in Libia, la temperatura di 58°, per quasi 90 anni ritenuta la più elevata mai misurata sulla Terra. Tuttavia la scienza, nel frattempo, ha fatto grandi progressi e, nel 2010/11, un gruppo di lavoro, composto da esperti appartenenti all'Organizzazione Metereologica Mondiale, a seguito di accurate verifiche, ha invalidato questo valore, assegnando alla Death Valley, in California, il primato di luogo più caldo, con una temperatura di 56,7° raggiunta il 10 luglio del 1913. Il gruppo di lavoro, composto da esperti libici, italiani, spagnoli, egiziani, francesi, marocchini, argentini, americani, inglesi, ha esaminato la precisione degli strumenti adoperati allora, l'esperienza del rilevatore, le temperature misurate in altre località vicine e l'adeguatezza del luogo in cui la temperatura è stata rilevata, concludendo per uno scarto di 7° in più rispetto al dato reale. 
Questa vicenda, al di là della semplice curiosità, dovrebbe far riflettere sulla veridicità di certi dati, soprattutto quelli estremi, comunicati dai media, spesso senza le opportune verifiche, ma anche sulle possibilità che la scienza ha acquisito negli ultimi anni, che consentono una verifica a posteriori di fenomeni fisici anche molto lontani nel tempo. 
Da notare che ancor oggi, in rete, si trova questo dato non corretto.


mercoledì 12 settembre 2018

Max Fabiani. Un architetto innovatore

Štanjel (foto Daniela Durissini)
Max Fabiani nacque a Kobdilj (Slovenia), frazione di Štanjel, il 28 aprile del 1865 e morì a Gorizia il 18 agosto del 1962, quasi centenario. Fin da ragazzo, quando frequentava le scuole a Štanjel (San Daniele del Carso), rivelò una propensione per la matematica. Proseguì gli studi al liceo, a Lubiana, e quindi a Vienna, dove fu uno dei più brillanti allievi del politecnico, laureandosi nel 1892 e meritando una borsa di studio che gli consentì di viaggiare parecchio e di approfondire le sue conoscenze. Certamente gli fu d'aiuto il suo essere perfettamente trilingue, avendo appreso da bambino l'italiano dal padre, il tedesco dalla madre e lo sloveno, che si parlava sul Carso, dov'era nato, e terra alla quale rimase sempre legato, tanto che tra il 1935 ed il 1945 fu sindaco di Štanjel. 
Štanjel in una foto d'epoca
La sua storia è poco conosciuta ma estremamente interessante, perché inconsueta. E' la storia di un figlio del Carso che scelse, all'apice della carriera universitaria a Vienna, di abbandonare tutto e di tornare nella casa di famiglia, per ridare vita, mediante la ricostruzione, ai luoghi che avevano subito gravissimi danni nel corso del primo conflitto mondiale. 
Kobdilj. Portone di Villa Max (foto daniela Durissini)
Così, da professore e consigliere di Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo, ed avendo al suo attivo progetti architettonici realizzati in diverse città europee, Fabiani giunse a Štanjel e si mise al lavoro. Portò a termine un rilevante lavoro di pianificazione, redigendo ben 92 piani regolatori per località site in valle dell'Isonzo, in quella del Vipacco, sul Carso e nella Bassa Friulana (tra i quali quello della città di Monfalcone, del 1919).
Per quanto concerne Štanjel, Fabiani riprogettò l'intera località con metodi innovativi, come nel caso del sistema idrico e, soprattutto, della riqualificazione degli edifici appoggiati alle antiche mura. Questo progetto, che prese il nome di "villa Ferrari", mutò la destinazione d'uso delle case, pur conservandone la forma originaria. 
Stanjel Villa Ferrari
Štanjel. Villa Ferrari (foto Daniela Durissini)
Per l'epoca si trattò di un
unicum che non trovava esempi paragonabili in tutta Europa, come singolare fu il restauro del castello, che divenne un centro polifunzioanle in cui trovarono posto gli uffici comunali, la scuola elementare, ambulatori ed anche un cinema ed una sala da ballo. 
Tra i suoi progetti più interessanti realizzati al di fuori del Carso sloveno vanno ricordati lo studio per il restauro di alcune parti della città di Lubiana, a seguito del terremoto del 1895, la realizzazione di alcune case private a Lubiana, a Vienna, a Gorizia, a Trieste (dove, nel 1906, realizzò la splendida casa Bartoli), l'Hotel Balkan, Narodni Dom, a Trieste (1905), che i fascisti incendiarono nel 1920 ed oggi sede della Scuola Superiore di Lingue Moderne, il Wiener Urania a Vienna (1909), il ponte sulla Mura a Wrinzottl, in Austria (1914), il Santuario del Monte Santo, vicino a Gorizia (1919), il monumento ai caduti della prima guerra mondiale a Gorizia, la Casa del Fascio a  Štanjel (1938). 


Il Libro. Nel 1998 MGSPress, casa editrice triestina, ha pubblicato il libro dell'architetto Marco Pozzetto, Max Fabiani, al momento esaurito. 



martedì 11 settembre 2018

Un sistema idrico ecosostenibile realizzato agli inizi del Novecento / An eco-sustainable water system designed at the beginning of the twentieth century

Štanjel. Giardino Ferrari (foto Daniela Durissini)
Siamo negli anni venti del Novecento quando Max Fabiani, affermato architetto, con al suo attivo progetti realizzati in diversi paesi europei, oltre che a Trieste e Gorizia, progetta e realizza a Štanjel, sul Carso sloveno, dove si trova la sua casa natale, un innovativo sistema di raccolta e ridistribuzione dell'acqua piovana.
Štanjel. Giardino Ferrari in una foto d'epoca
Le genti del Carso, privo di importanti corsi d'acqua superficiali e caratterizzato da un terreno calcareo, hanno da sempre raccolto le acque meteoriche mediante complessi sistemi che le convogliano dai tetti di più case nelle cisterne, poste al centro dei cortili, ma Max Fabiani ha dato alla villa Ferrari di 
Štanjel (insieme della case costruite sulle mura e riatatte dallo stesso architetto e nello stesso periodo) qualcosa di più, progettando un sistema che non solo raccoglie l'acqua in una cisterna principale, ma ne depura una parte, destinandola all'inaffiamento degli ortaggi, mentre lascia scorrere solo quella in eccesso ad alimentare la grande vasca del giardino. A questo sistema si affianca un altro, composto da tre cisterne che sono destinate a rifornire di acqua corrente la villa.
Štanjel. Giardino Ferrari (foto Daniela Durissini)
Da notare che le acque arrivano ai depositi dalle case più alte, poste sulla cima del colle e percorrono un tratto in tubature di calcestruzzo, se destinate alla vasca, ed in tubature metalliche se destinate al consumo alimentare ed alla fontana.  

Un sistema ingegnoso, in funzione ancor oggi per le necessità del magnifico giardino e della vasca ornamentale. L'acquedotto pubblico ha raggiunto la località solo nel 1991 e fino ad allora il sistema del Fabiani è stato pienamente in uso. 

lunedì 10 settembre 2018

Pensieri d'autore. Attilio Bertolucci

Carso triestino (foto Daniela Durissini)


Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse

fresca erba 
su cui volano farfalle
come i pensieri d'amore
nei tuoi occhi

giorno che scorri 
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore



Attilio Bertolucci, Settembre, da Sirio (1929)



Attilio Bertolucci (1911-2000) è stato un poeta italiano, traduttore dall'inglese (W.Wordsworth) e dal francese (C. Baudelaire), critico, sceneggiatore e documentarista. Padre dei registi Bernardo e Giuseppe.



venerdì 7 settembre 2018

Pensieri d'autore. Giuseppe Gioachino Belli

Il Pasquino, celebre statua parlante di Roma ai piedi della quale
il popolo deposita da secoli satire in versi che colpiscono
i personaggi più importanti della città e non solo

Roma (foto Daniela Durissini)

Quann'io vedo la gente de stò monno,
che più ammucchia tesori e ppiù s'inggrassa, 
più ha ffame de ricchezze e vò una cassa.
compaggna ar mare, che nun abbi fonno, 

dico: "oh mandra de cechi, ammassa, ammassa,
sturba li giorni tui pèrdece er zonno, 
trafica, impiccia: eppoi? Viè signor Nonno
cor farcione et te stronca la matassa".

La morte sta anniscosta in ne l'orloggi;
e gnisuno pò dì : "domani ancora
sentirò batte er mezzogiorno d'oggi".

Cosa fa er peregrino poverello
ne l'intreprenne un viaggio di quarch'ora?
Porta un pezzo de pane, e abbasta quello.



Giuseppe Giachino Belli, La golaccia (1834) 
Giuseppe Giachino Belli, Sonetti, Mondadori, I Meridiani, Milano 1978


Giuseppe Giachino Belli (7 settembre 1791 - 21 diecembre 1863). Poeta, nato e vissuto a Roma, noto soprattutto per i suoi sonetti composti in vernacolo romanesco, con i  quali interpretò i sentimenti del popolo della sua città. 



⇒(click) Il Libro: Giuseppe Gioachino Belli, Sonetti

mercoledì 5 settembre 2018

Ugo Carà. La Nuotatrice

Ugo Carà. La Nuotatrice (bronzo 1979)

Muggia (foto Daniela Durissini)

All'esterno del Museo Ugo Carà di Muggia, che la cittadina ha voluto dedicare all'artista, conterraneo, scomparso nel 2004, è stata posta una delle sue opere, attinente al clima ed alle caratetristiche del luogo: la Nuotatrice. La figura, snella ed elegante, caratteristica della scultura dell'artista, sembra solcare con leggerezza le acque di quel mare sul quale si affaccia Muggia, e dal quale Carà traeva le sue radici, essendo la madre originaria di Creta ed il padre della Dalmazia. Una vita intera, la sua, vissuta a contatto con il mare, essendo nato a Muggia, dove il padre esercitava il mestiere di medico condotto. 
E dalla natura, dal mare in particolare, l'artista trasse più volte ispirazione nelle sue opere, non solo scultoree, ma anche di design, e nella decorazione di interni, realizzata sia per privati che per i grandi transatlantici prodotti nei cantieri triestini. Nato nel 1908, Carà ha passato praticamente tutto il XX secolo, aderendo alle tendenze artistiche d'avanguardia ma mantenendo sempre uno stile sobrio ed asciutto. Numerose le sue partecipazioni a mostre collettive come la Biennale di Venezia, che nel 1940 gli dedicò anche una personale, alle Quadriennali di Roma e Torino, alla Triennale di Milano ed alle Esposizioni universali di Parigi e di Bruxelles. 


⇒(click) Marianna Accerboni, Ugo Carà, scultore e gentiluomo (articolo pubblicato sul Il Piccolo di Trieste in occasione della morte dell'artista)

martedì 4 settembre 2018

Pensieri d'autore. Isabel Allende

Cile. Parco Nazionale Torri del Paine
Lago Grey

Torri del Paine
Cile (foto Daniela Durissini)


Por ejemplo, somos un pueblo con alma de poeta. Non es culpa nuestra, sino del paisaje. Nadie que nace y vive en una naturaleza como la nuestra puede abstenerse de hacer versos. En Chile usted levanta una piedra y en vez de una lagartija sale un poeta o un cantautor popular.

Per esempio, siamo un popolo con anima di poeta. Non è colpa nostra, ma del paesaggio. Nessuno che nasca e viva a contatto con una natura come la nostra può astenersi dallo scrivere versi. In Cile, alzate una pietra e, invece di una lucertola, ne esce un poeta o un cantautore popolare (trad. D. Durissini)

Isabel Allende, da "Mi pais inventado" (I. ed. 2003)



⇒(click) Il libro nella traduzione italiana: Isabel Allende, Il mio paese inventato (Feltrinelli 2003; 2013)