Il Garofalo. Claudia Quinta traina la nave di Cibele (1535) Roma. Galleria Nazionale Barberini (foto Daniela Durissini) |
I romani, anticamente, concepivano il Tevere, essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo della città, come una divinità, perfettamente integrata nella dimensione civica, tanto da partecipare agli eventi pubblici, dando un segno tangibile del gradimento o meno degli stessi e da assumere una funzione lustrale. Il fiume così non solo aveva il potere di purificare ma anche quello di testimoniare la purezza, in particolare quella delle donne. Celeberrimo l'episodio, tramandato nei secoli, del tempo in cui la nave, che trasportava a Roma la statua della dea Cibele, s'era arenata alle foci del fiume. Fu allora che Claudia Quinta, la cui purezza ed onestà era stata messa in dubbio da un'accusa di adulterio, implorò la dea affinché l'aiutasse a testimoniare la sua innocenza. Il Tevere, conscio della purezza della donna, alzò il proprio livello e Claudia Quinta riuscì così miracolosamente e da sola a trascinare la nave fino in città.
Un altro episodio vede il Tevere direttamente coinvolto, questa volta nel testimoniare l'innocenza della vestale Tuccia, accusata d'incesto, che riuscì a trasportare l'acqua del fiume in un recipiente forato fino al tempio di Vesta.
L'acqua del fiume, elemento puro per eccellenza, si accomunava al concetto di purezza femminile e, all'epoca, al comportamento sessuale ritenuto corretto per una donna.
Benvenuto Tisi, detto il Garofalo (1481-1559) dipinge l'episodio che vede protagonista Claudia Quinta che ha attraversato i secoli ed è rimasto nella memoria dei romani, tramandato da Ovidio (Fasti, 4, 305 sgg).
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