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venerdì 29 settembre 2017

Giordania. Lungo la Via Regia. Madaba



Madaba. Chiesa di san Giorgio. Mosaico (foto C. Nicotra)

La Via Regia era una via commerciale antichissima e di grande importanza strategica in Medio Oriente, che partiva da Heliopolis, in Egitto, attraversava il Sinai e giungeva al porto di Aqaba, da dove poi risaliva verso Nord per toccare Damasco ed arrivare infine al fiume Eufrate.
Nell'attuale Giordania toccava, oltre al porto di Aqaba, le località di Wadi Araba, Petra, Sela, Shawbak, Kerak, Madaba, Rabbah Ammon (l'attuale Amman), Gerasa, per poi dirigersi verso Bosra, nell'attuale Siria meridionale.
Per il regno Nabateo la strada fu luogo di transito privilegiato per il trasporto di merci preziose provenienti dalla penisola araba.


Madaba. Chiesa di San Giorgio. Mosaico (foto C. Nicotra)

Dopo un periodo di decadenza un importante tratto della strada, compreso tra il Mar Rosso e Bosra, venne rinnovato e reso nuovamente transitabile sotto Traiano, negli anni compresi tra il 111 ed il 114 e prese il nome di Via Traiana Nuova, mentre un secondo tratto, tra Bosra ed il fiume Eufrate venne ripristinato sotto Diocleziano. Questi lavori vennero eseguiti soprattutto per la grande importanza militare che la via aveva assunto all'epoca per l'espansione ed il mantenimento dei confini dell'impero. La strada fu anche via di transito dei pellegrini cristiani che si recavano in visita ai luoghi biblici come il Monte Nebo e Betania, sulle rive del Giordano, (dove, secondo la tradizione biblica, fu battezzato Gesù), mentre i musulmani la percorrevano per raggiungere la Mecca.


Piero della Francesca. Battesimo di Gesù

L'attuale città di Madaba, a 35 km a sud di Amman, sorge sul sito della biblica Medeba, che a sua volta era stata costruita su un più antico insediamento dell'età del ferro. Conquistata dai Greci all'epoca di Alessandro Magno passò poi diverse volte di mano fino a che entrò a far parte del regno Nabateo. 
I Romani la conquistarono nel 106 d.C.; nel V secolo, divenne sede vescovile, ed assunse una certa importanza sotto Giustiniano. Prosperò nel periodo bizantino, quando vennero costruiti molti nuovi edifici, spesso arricchiti da splendidi mosaici. Passata ai Persiani, tornata ai Bizantini e poi distrutta dagli arabi fu definitivamente abbandonata dopo il terremoto che la distrusse completamente alla metà del secolo VIII. Solo alla fine del XIX secolo fu ripopolata da un piccolo gruppo di cristiani. In quel periodo, erigendo la chiesa di San Giorgio, fu ritrovato il mosaico, raffigurante la Terrasanta, che rese celebre il sito.



Madaba. Chiesa di San Giorgio. Mosaico


Il mosaico. Il mosaico è un'opera di straordinaria fattura che, in base alla presenza di alcuni edifici di datazione sicura, si è potuto far risalire alla metà del VI secolo; originariamente era molto più grande. Raffigura molte località bibliche del Medio Oriente, con i loro nomi in greco, ed indica le strade che conducevano i pellegrini a Gerusalemme. Per questo rappresenta una testimonianza unica del territorio, come si presentava all'epoca in cui venne realizzato. La mappa raffigura un'area compresa dal Libano al delta del Nilo e dal Mediterraneo al deserto e non è orientata Nord-Sud ma verso l'altare, cioè verso Est. Rappresenta il Mar Morto ed il deserto di Moab, Gerico, Betlemme e molti altri siti, ma soprattutto rappresenta con una particolare precisione la città di Gerusalemme della quale vengono riportati numerosi edifici ed anche diverse strade. Recenti scavi archeologici hanno ritrovato i resti di alcuni di questi edifici e della principale strada che entrava a Gerusalemme corrispondenti alla loro localizzazione sul mosaico.


Madaba. Chiesa di San Giorgio. Mosaico


⇒(click)Canto nuziale e mappa della Terrasanta / Wedding song and Madaba mosaic map




lunedì 25 settembre 2017

Max Mallowan e Agatha Christie a Nimrud



Max Mallowan e Agatha Christie a Nimrud


Un archeologo è il marito migliore che una donna possa avere: più lei invecchia, più lui la troverà interessante” (Agatha Christie)



Le recenti distruzioni perpetrate dall'Isis nel Vicino Oriente, hanno coinvolto anche la zona di Nimrud, in Iraq, sistuata a sud di Ninive, sul fiume Tigri, dove lavorò, negli anni '50 del secolo scorso Max Mallowan, noto archeologo inglese, secondo marito della scrittrice Agatha Christie. I due si erano incontrati a Ur molti anni prima quando il giovane archeologo (aveva allora 26 anni) lavorava sul sito archeologico assieme a Leonard Wolley, e lei, già matura e nota scrittrice, stava compiendo un lungo viaggio verso Bagdad, in gran parte in treno, che le ispirò il romanzo “Assassinio sull'Orient Express”.
Mallowan fu il primo studioso ad effettuare una campagna di scavo nella zona dopo che vi aveva lavorato Austen Henry Layard, alla metà del secolo XIX. Sotto la sua direzione vennero effettuati a Nimrud gli scavi che portarono alla luce parte dell'acropoli, delle mura e del palazzo reale. In quel periodo lui e la moglie, che sul soggiorno mesopotamico scrisse “Come, Tell me how you live” (1946), vissero a Nimrud. I risultati di queste campagne di scavo furono pubblicati nel volume di Mallowan “Nimrud and its Remains”.


Nimrud. Palazzo. Rilievo raffigurante Ashurnasirpal II  (Louvre)

Max Mallowan, che con gli anni divenne un archeologo notissimo, lavorò anche in altri siti iracheni. Innanzitutto a Ninive (odierna Mosul), con Reginald Campbell Thompson, prima che gli venisse affidata la direzione delle campagne effettuate in collaborazione con il British Museum (che conserva una notevole parte di reperti) e la British School of Archaeology in Iraq, ma indubbiamente i successi maggiori li ebbe proprio a Nimrud dove effettuò ritrovamenti di grande importanza per la storia della Mesopotamia.


Nimrud. Rilievo raffigurante Ashurnasirpal con una divinità alata (LACMA)

Quando l'Isis prese possesso di Nimrud, distrusse parte del suo patrimonio archeologico ma anche la casa dov'erano vissuti Max Mallowan e Agatha Christie, che conservava ancora il mobilio originale ed in tempo di pace era una nota meta turistica. Un libro della scrittrice è ambientato proprio in queste zone: “Murder in Mesopotamia”, tradotto in italiano con il titolo “Non c'è più scampo”.


⇒(click)La distruzione della casa di Agatha Christie a Nimrud / The destruction of Agatha Christie's house in Nimrud (video - italian)



⇒(clik) In the ruins of an Iraqi city, memories of Agatha Christie (english)




sabato 16 settembre 2017

La tutela del patrimonio culturale



V. Van Gogh. Il Giardiniere (opera recuperata)


Venerdì 8 settembre, presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, nell'ambito delle iniziative dedicate all'Archeologia ferita (di cui fa parte anche la mostra dedicata a Palmira, attualmente in corso e visitabile fino al 3 ottobre), il generale Fabrizio Parrulli, comandante dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, ha tenuto un'interessante conferenza sul ruolo svolto dal suo nucleo operativo. Forse ancora poco conosciuto, nonostante sia stato istituito già nel 1969, il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, dispone di tecnici specializzati, di figure professionali di primo piano nel campo artistico e archeologico, e di una tecnologia all'avanguardia in grado di supportare efficacemente le indagini effettuate per il recupero delle opere d'arte sottratte al patrimonio nazionale ed internazionale. Il Comando infatti collabora costantemente con i paesi che ne richiedono l'intervento, non solo per il tracciamento e ritrovamento delle opere trafugate ma anche nella formazione ed organizzazione di analoghi gruppi investigativi di polizia.


Nel corso del solo 2015, con l'operazione Teseo, sono state recuperate 5361 opere d'arte, rubate o scavate illegalmente e spesso vendute per finanziare gruppi terroristici.
A tutto il 2016, grazie al lavoro di indagine, svolto anche in collaborazione con le istituzioni di polizia e culturali di altri paesi, sono stati recuperati più di 94000 reperti.
Uno dei mezzi più utili nelle indagini è una banca dati, unica al mondo, che cataloga in modo completo più di 1.200.000 opere, comprendente anche un archivio di più di 6.000.000 di descrizioni e 600.000 immagini, ed alla quale fanno regolarmente ricorso tutti i paesi che abbiano la necessità di recuperare un'opera sottratta al proprio patrimonio culturale.
Ma il Comando, che articola la sua attività nella sede centrale, a Roma, ed in altri 15 nuclei distaccati in diverse regioni italiane, è stato scelto, nel 2015, per costituire la task force Unite4Heritage, un'iniziativa italiana, che è stata portata avanti con determinazione dal governo ed è stata approvata e fatta propria dall'Unesco che, nel febbraio del 2016, ha firmato un accordo per la costituzione, sotto la propria egida, dei Caschi blu della cultura.




Pisanello. Madonna della quaglia (opera recuperata)


La task force, composta da un nucleo di Carabinieri TPC, da storici dell'arte, studiosi e restauratori dell'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dell'Istituto Centrale per la Conservazione e il restauro del Patrimonio Archivistico e Librario e dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, è in grado di intervenire dovunque sia necessario e richiesto in difesa del patrimonio culturale in pericolo a causa di guerre o eventi naturali.
Al momento della costituzione si pensava soprattutto alle distruzioni avvenute nel Vicino Oriente a causa dei conflitti che hanno coinvolto molti paesi e dell'avanzata dell'ISIS, con la conseguente scia di distruzioni di inestimabili tesori artistici, ma il primo incarico per i Caschi blu è stato l'intervento per il salvataggio e la messa in sicurezza delle opere d'arte coinvolte nel terremoto dell'estate del 2016 in centro Italia.
Si è trattato di un lavoro prezioso non solo per l'impiego di tecnologie e specialisti in grado di spostare e ricollocare in luoghi sicuri le opere, ma anche per la sensibilità dimostrata dai componenti che ben sanno quanto sia importante per le popolazioni coinvolte nel terremoto il recupero anche di piccole opere, non particolarmente preziose, ma essenziali per la conservazione dell'identità delle comunità colpite.


Nel 1976, a seguito del terremoto che devastò il Friuli, la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, avendo compreso l'utilità e l'importanza del recupero di questi “segni” di appartenenza delle comunità, istituì un Centro di Catalogazione e restauro del Patrimonio culturale presso Villa Manin, a Passariano, incaricando giovani laureati della catalogazione di tutto il patrimonio artistico e culturale della regione, partendo dalla considerazione che, se si conosce ciò che si possiede, è più facile prevenire i furti e, in caso di eventi naturali catastrofici, recuperare ciò che risulta disperso. Nella catalogazione sono stati compresi anche i beni immateriali. In molti anni di paziente lavoro il patrimonio, anche quello “minore”, è stato fotografato e schedato e questo lavoro oggi è utile anche al Comando Carabinieri TPC.


Recentemente è stata lanciata anche una nuova iniziativa che consente al cittadino di collaborare con i carabinieri nella segnalazione delle opere ricercate, mediante una App, scaricabile facilmente su tutti i dispositivi mobili, mediante la quale è possibile l'identificazione delle opere, la consultazione dei bollettini delle ricerche, la creazione, a difesa dei proprietari legittimi di opere di grande valore artistico, di una scheda che consenta, in caso di furto, un più facile e rapido recupero del bene, la segnalazione all'Arma di opere provenienti da furti o comunque illegalmente possedute.
La App è scaricabile da Google Play Store e iTunes (app: iTPC)



⇒(click) Per saperne di più 


⇒(click) Un'operazione di recupero


⇒(click) Caschi blu della cultura