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giovedì 19 luglio 2018

Aquileia. Un'antica leggenda

Cappella Vergini Aquileiesi
 Cappella delle Vergini Aquileiesi (foto Daniela Durissini)

Ad Aquileia, poco distante dalla piazza del Municipio troviamo una piccola chiesuola, costruita nell' Ottocento, su un sito probabilmente dedicato, in età tardo antica al culto cristiano. Qui, secondo le testimonianze tramandate da documenti di epoca medievale, si  ricordavano le quattro vergini aquileiesi Tecla, Costanza, Dorotea ed Eufemia, convertitesi al cristianesimo, malgrado la volontà contraria dei genitori. Le giovani furono decapitate e, secondo la leggenda, un po' impressionante, le teste rotolarono lungo il corso del fiume Natisone continuando ad innalzare canti religiosi, fino a che non si fermarono nel luogo ove sorge la chiesetta, presso il ponte poi detto delle Vergini. Gli scavi archeologici hanno messo in luce i resti di  un sepolcreto ed il basamento di un monumento funebre riproducente uno scafo. 

venerdì 13 luglio 2018

L'invenzione della natura (Andrea Wulf)



L'invenzione della natura. Le avventure di Alexander von Humboldt, l'eroe perduto della scienza, di Andrea Wulf, è un libro straordinario, come oggi se ne leggono pochi. L'autrice, che già aveva dato prova delle sue capacità, in scritti precedenti, quali ad esempio La confraternita dei giardinieri, pubblicato dieci anni fa, ha svolto un lunghissimo ed appassionato lavoro di ricerca in numerosi archivi e biblioteche in giro per il mondo, per ricostruire la vicenda umana e scientifica di colui che, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, cambiò totalmente e per sempre il rapporto dell'uomo con la natura e l'ambiente, influenzando personaggi come Darwin, Thoreau, Emerson, Muir, ma anche la poesia e la letteratura di Goethe, Coleridge e Wordsworth. 
Humboldt, prussiano di nascita, ebbe un'educazione severa da parte della madre, rimasta vedova molto presto ma, appena ne ebbe l'occasione, sfuggì all'ambiente tetro della casa natale ed all'impiego presso la società mineraria statale prussiana, si recò a Jena, sede di una nota università, nella meno rigida e certamente più stimolante Weimar, dove fu accolto in casa del fratello, diplomatico, e conobbe Schiller e Goethe, con il quale strinse un'importante amicizia. Ebbe modo poi di viaggiare in Europa, e fu attratto in particolar modo dall'ambiente artistico ed intellettuale di Parigi. Mentre cresceva e si sviluppava la sua cultura fu sempre più attratto dallo studio delle scienze naturali e finalmente riuscì ad intraprendere un lunghissimo viaggio nell'America del sud, durato ben cinque anni, dal 1799 al 1804. Ma Humboldt non era un viaggiatore qualunque e seppe approfittare appieno dell'occasione che gli veniva concessa dal governo spagnolo che lo autorizzava a visitare le proprie colonie oltre oceano. Prima della partenza  si era infatti procurato, pagandoli con il proprio denaro, una serie di strumenti, allora all'avanguardia, che gli permisero di effettuare misurazioni di ogni tipo nel corso del viaggio e gli consentirono, tra le altre cose, di redigere delle mappe dei territori visitati  così precise che servirono efficacemente anche ai rivoluzionari di Simon Bolivar, conosciuto al ritorno a Parigi, per sconfiggere gli spagnoli, percorrendo sentieri a questi sconosciuti. Nel lungo viaggio gli fu compagno Aimé Bonpland, botanico, che condivise assieme a lui gioie e disagi della risalita dell'Orinoco, dell'attraversamento delle Ande e delle numerose salite sui vulcani dell'Ecuador, tra i quali spicca il Chimborazo, dove riuscirono ad arrivare più in alto delle precedenti spedizioni, anche se non raggiunsero la cima. 

F.G. Weitsch "Humboldt e Bonpland ai piedi del Chimborazo

Al ritorno in Europa Humboldt scrisse molto sul suo viaggio e sui risultati sceintifici riportati e molto condivise con altri scienziati, trovando particolarmente fertile e stimolante l'ambiente parigino. Avendo però speso molto del patrimonio lasciatogli dalla madre e trovandosi in difficoltà economiche dovette rassegnarsi infine ad accettare un impiego presso il re di Prussia. 
Deciso ad esplorare i monti himalayani inoltrò diverse richieste ai diplomatici inglesi ma non ne ebbe mai l'autorizzazione, essendo conosciuto come persona fortemente critica nei confronti del colonialismo, sentimento che egli aveva rafforzato nel suo viaggio nell'America meridionale. 
Riuscì invece, ormai sessantenne, ad esplorare l'Asia centrale, grazie all'esplicito invito dello zar Nicola I, che finanziò la spedizione, alla ricerca di giacimenti minerari da poter sfruttare. In quell'occasione Humboldt meravigliò i suoi compagni, dimostrandosi sempre curioso ed apparentemente instancabile. 
A differenza di altri personaggi, fu molto noto anche in vita e, quando morì, furono in molti a rendergli omaggio. La sua ultima opera, Cosmos, riscontrò un enorme successo. Quando poi fu celebrato il centenario dalla nascita, i festeggiamenti interessarono il mondo intero, tanta era la fama conquistata. 
Ma ciò che l'autrice sottolinea è l'influenza determinante che Humboldt ebbe su Darwin, che si portò i suoi libri sul Beagle, su Thoreau, Emerson e Muir, promotore quest'ultimo della nascita del  Parco Nazionale americano di Yosemite e su tutti coloro che da allora in poi iniziarono a guardarsi attorno ed a comprendere l'importanza della conservazione della natura che ci circonda e che viene continuamente aggredita dalla cosiddetta civiltà, in una corsa, già allora riconosciuta insensata, verso un progresso destinato a sacrificare parte dell'umanità. 
Il libro della Wulf ha avuto molto successo, è ben scritto e ben tradotto. Disponibile in diverse lingue. 


Il libro ⇒(click) Andrea Wulf L'invenzione della natura. Le avventure di Alexander von Humboldt, l'eroe perduto della scienza Luiss University Press, 2015 (trad. L. Berti)
(Amazon, anche Kindle)

giovedì 12 luglio 2018

Un antico borgo carnico: Illegio

Illegio casa carnica
Illegio. Una tipica casa carnica (foto Daniela Durissini)

Lasciandoci alle spalle Tolmezzo, saliamo la stretta strada, tutta svolte, che, passando sotto erte pareti rocciose della valle giunge al paese di Illegio. L'abitato, circondato dai monti e protetto dalla gola, dove si insinua il torrente, è rimasto per secoli isolato rispetto alla piana del Tagliamento, ma la piccola comunità ha sviluppato da sempre un gusto per l'arte che sembra perpetuarsi oggi nelle mostre annuali a tema, organizzate dal comitato di San Floriano. Sì il nome deriva proprio dall'antichissima pieve che si erge sul monticello bene in vista ma lontana dal paese, raggiungibile solo a piedi lungo un sentiero che scende poi ad Imponzo, nella valle del But. La traversata costituisce una tappa del "Cammino delle pievi", percorso escursionistico di rara bellezza che tocca alcune delle più antiche pievi carniche e due santuari.

Illegio chiesa di San Floriano
Illegio. Pieve di San Floriano (foto Daniela Durissini)


La pieve di San Floriano risale al IX secolo ed è splendidamente decorata con affreschi risalenti al XIII, XIV e XVII secolo, mentre conserva all'interno opere scultoree in legno del XV secolo ed in pietra del XVI. La si può visitare tutte le domeniche dalle 10 alle 18. 








Oggi Illegio conta 340 abitanti e molte seconde case, peraltro tenute con cura. La particolarità del borgo sono i mulini, che si possono osservare percorrendo un itinerario a tema. Le acque impetuose dei torrente Touf muovono da secoli le pale che mettono in funzione le macine.

Illegio. Via dei Mulini (foto Daniela Durissini)
Uno di questi mulini, il "Mulin dal Flec" risale al XVII secolo. Ed il ricavato dell'attività molitoria veniva investito nelle abitazioni che ancor oggi conservano il segno dell'antica bellezza. Ampi cortili si aprono dietro a portali finemente decorati e testimoniano di un amore per il bello che non è solo dell'oggi. 

Recenti scavi archeologici hanno portato alla luce tracce di culto risalenti all'età augustea, un sito paleocristiano databile al IV secolo, i resti di fortificazioni di epoca longobarda e quelli, più recenti, delle residenze dei signori "de Legio", di epoca medievale.
Una continuità storica quindi che fa di questo paese un luogo di grande interesse anche per coloro che non praticano l'escursionismo, attività privilegiata qui, in considerazione dei bei monti che circondano l'abitato.




mercoledì 11 luglio 2018

L'albero dell'amore e della vita di Erasmo Lueger


Predjama tiglio di Erasmo
Predjama (foto Daniela Durissini)

Castel Lueghi
Castello di Predjama (foto Daniela Durissini)

In Slovenia, poco lontano dal castello di Predjama, il famoso e scenografico maniero in cui il suo proprietario più noto, Erasmo Lueger, nominato barone da Federico III d'Asburgo nel 1478, fu assediato a lungo proprio dalle truppe mandate dal sovrano, venuto a conoscenza delle scorrerie da lui praticate ai danni dei convogli che transitavano lungo la strada che collegava Trieste a Lubiana, si trova un albero assai particolare. 

Predjama S. Maria dei dolori
Chiesa di S. Maria (foto Daniela Durissini)






Si tratta di un tiglio, cresciuto accanto alla chiesa di Santa Maria dei Dolori, voluta proprio da Erasmo e consacrata attorno al 1450 dal vescovo di Trieste, Enea Silvio Piccolomini, divenuto poi papa con il nome di Pio II.













L'albero com'era prima dell'incendio
(dallo spiegone in loco)
Secondo la leggenda, alla morte di Erasmo, avvenuta nel 1484, a seguito del tradimento di un servo che consentì di porre fine all'assedio e di prendere il castello, il suo corpo fu sepolto accanto alla piccola chiesa e sopra alla tomba la sua donna, come atto di estremo amore, piantò il tiglio, simbolo della vita eterna. 
Quest'albero, cresciuto magnificamente, venne parzialmente distrutto da un incendio nel 2001, tuttavia gli esperti riuscirono a salvarlo ed ora dall'enorme tronco sta spuntando nuovamente la vita. 


venerdì 6 luglio 2018

Trieste. Statua di san Giusto e modello della città

(foto Daniela Durissini)

Sul campanile della cattedrale di San Giusto si trova una statua del santo, che regge il modello della città. L'opera, in pietra bianca, risale alla prima metà del XIV secolo ed è importante proprio per l'immagine, assai sintetica, che offre dell'abitato del tempo, che il santo sostiene con la mano sinistra, mentra con la destra regge la palma martiriale. Osservando il modello della città vediamo che vengono rappresentante le mura merlate, che allora circondavano l'abitato, una delle torri che facevano parte del sistema difensivo, e la torre campanaria, mentre il corpo principale della chiesa non compare, risultando evidentemente più basso delle mura in questa pur semplice prospettiva. La figura del santo è movimentata dal panneggio della tunica, decorata sul petto da motivi floreali.