Giona. Miniatura dal menologio di Basilio II (sec. XI) |
Il
profeta Giona
La
figura del profeta Giona, vissuto tra il IX e l'VIII secolo a.C. è
stata descritta in un libro dell'Antico Testamento che porta il suo
nome. Il testo, redatto in ebraico, secondo i biblisti è databile al
periodo successivo all'esilio babilonese, quindi descrive fatti
accaduti alcuni secoli prima e, sul piano storico, è scarsamente
attendibile.
Vi
si narra di come il Signore ordinò a Giona, figlio di Amittai, di
recarsi a predicare a Ninive, e di come questi, impaurito dal compito
assegnatogli, disobbedì, e si imbarcò su una nave diretta a Tarsis.
Nel corso della traversata una grande tempesta investì la nave
rischiando di farla naufragare e, per salvarla, Giona venne gettato
in mare. Inghiottito da un grosso pesce, nella pancia del quale
rimase per tre giorni, ottenne il perdono del Signore. Il pesce lo
risputò su una spiaggia e Giona si recò a predicare a Ninive, dove,
inaspettatamente, gli abitanti lo seguirono. Ciò nonostante egli
avrebbe voluto che il Signore punisse la città e se ne allontanò.
Qui viene introdotta la nota metafora del ricino, spuntato per volere
divino sopra la testa del profeta per fargli ombra, e morto dopo
poche ore, lasciandolo in balia del sole e del vento; una piccola
pena, lo redarguisce il Signore, di fronte alla severità con la
quale avrebbe voluto punire una città di centoventimila anime “che
non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra”.
Giona risputato dal pesce sulla spiaggia. Miniatura (sec. XVI) |
Il
racconto è fortemente simbolico. Tra i riferimenti più noti vi sono
Tarsis, identificata con Tartesso, città posta alla foce del
Guadalquivir, sull'Atlantico, il posto più occidentale che il
profeta potesse raggiungere, mentre Dio gli aveva ordinato di
predicare ad oriente, ed il pesce, che rappresenta il caos, ed
insieme l'abisso della disobbedienza. Questa immagine ha avuto
un'enorme seguito, tanto nell'arte figurativa come nella letteratura.
Celebre anche l'espressione riferita agli abitanti di Ninive che, non
sapendo distinguere una mano dall'altra, non sanno in effetti
distinguere tra il bene ed il male.
In
realtà il libro esprime l'esigenza, sentita da una parte
dell'ebraismo postesilico, e fortemente avversata da alcune correnti,
simboleggiate proprio dall'atteggiamento di Giona, di aprirsi ai
Gentili.
Giona
è nominato anche nel II Libro dei Re ed è citato da Matteo nel
Nuovo Testamento.
La
figura del profeta trova posto anche nel Corano, alle sure decima,
trentasettesima e ventunesima, dove viene indicato con il nome di Dhu
al Nun (Uomo della balena) e gli viene attribuita sia l'esperienza
vissuta nel ventre della balena, sia la predicazione a Ninive, con
alcune varianti rispetto al testo biblico, ma sostanzialmente
coerenti con quella versione.
A
Giona inoltre la tradizione islamica attribuisce la formula “Non
c'è altro dio all'infuori di te! Gloria a te! Sono stato un
ingiusto!” la quale, tra diverse altre, viene usata nel dhikr, atto
devozionale consistente nel ripetere molte volte le medesime frasi in
ricordo di Allah.
Secondo la tradizone coranica Giona viene lasciato dal pesce sotto un albero di zucca |
La tomba
Il
profeta sarebbe stato sepolto a Ninive, e la sua tomba, risalente
all'VIII secolo a.C., e venerata anche dai musulmani è stata
distrutta a martellate dai miliziani dell'ISIS nel luglio del 2014.
La moschea-mausoleo che la ospitava, eretta su una collina accanto a
numerose altre tombe di religiosi, e sorta accanto ad un antico
monastero, è stata distrutta mediante numerose cariche di dinamite
che hanno risparmiato solo il portale d'accesso.
Quando
la zona è stata liberata dai seguaci del Califfato, gli archeologi
accorsi sul posto per verificare i danni provocati dalle devastanti
esplosioni del 2014 hanno rinvenuto i tunnel scavati dai miliziani
sotto il sito archeologico, i quali hanno svelato la presenza di un
palazzo assiro costruito all'epoca del re Sennacherib (705-681a.C.).
Importanti bassorilievi e due leoni alati, che generalmente venivano
posizionati alle porte dei palazzi, sono solo alcuni tra i più
importanti ritrovamenti. Pochi invece gli oggetti di minori
dimensioni, in gran parte asportati dai miliziani per essere
rivenduti sui mercati internazionali.
Ora
gli archeologi devono lavorare velocemente al recupero delle parti
del palazzo messe in luce, per il concreto pericolo di crollo dei
tunnel che comprometterebbe, forse per sempre, la fruizione e lo
studio di questo importante tassello della storia mesopotamica.
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