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lunedì 3 luglio 2017

Civiltà distrutte


Illustrazione tratta dalle Nuremberg Chronicles. Ninive

Molti anni fa, esattamente nel 1949, usciva un libro, più volte ristampato, scritto dal giornalista tedesco Ceram (Kurt Wilhelm Marek), destinato a diventare un classico ed a far avvicinare all'archeologia molti studenti: Goetter Graeber und Gelehrte. Roman der Archaeologie, tradotto nel 1952 in italiano da Einaudi con il titolo Civiltà sepolte. In quel libro si raccontava, in forma romanzata, del lavoro degli archeologi e delle grandi scoperte, alcune allora recenti, dell'archeologia. Oggi purtroppo, alla luce delle devastazioni operate dall'ISIS, ma non solo, nel Vicino Oriente, possiamo parlare di “civiltà distrutte”. Le mura di Ninive, il museo e la grande moschea di al-Nuri di Mosul, Palmira, sono solo alcuni dei luoghi, tra i più famosi, gravemente danneggiati dalla furia dei fondamentalisti.


Il minareto della moschea al.Nuri di Mosul (1932)

Ne ha parlato, nel corso di una conferenza molto interessante (e molto seguita), tenuta presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, nell'ambito della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” il professor Daniele Morandi Bonacossi, titolare della cattedra di Archeologia del Vicino Oriente all'Università di Udine. Spesso in missione a ridosso delle aree più calde del conflitto, il professor Morandi Bonacossi ha percorso le tappe delle metodiche distruzioni, iniziando dai Budda distrutti dai talebani a Bamiyan (Afghanistan) nel 2001, per poi proseguire con le più recenti distruzioni operate a Mosul (Iraq), Nimrud (Iraq) e Palmira (Siria), per non citarne che alcune.


The Palaces at Nimrud restored (1853)

Ma non ci si deve fermare al solo patrimonio archeologico: ben quattordici studiosi sono stati uccisi finora tentando di proteggere le aree archeologiche ed i musei, tra questi il più noto è stato l'archeologo Khaled al-Asaad, decapitato ad 83 anni a Palmira, il 18 agosto del 2015, essendosi rifiutato di lasciare il sito, ormai in mano ai miliziani dell'ISIS.
Nel corso delle missioni nel nord dell'Iraq, dove con il progetto Terre di Ninive, l'équipe di archeologi coordinati da Morandi Bonacossi sta catalogando i beni archeologici da salvare, si sono riversati nella zona 800.000 Yazidi, perseguitati e costretti alla fuga dai seguaci del califfato islamico. Queste persone (tra le quali moltissimi minori) sono state assistite e sistemate in campi profughi appositamente allestiti, con l'aiuto dell'ONU, tuttavia la loro speranza è quella di poter tornare nei territori dai quali sono state espulse ed è ovvio che solo partendo da una corretta ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture, ma anche di tutto il tessuto culturale che caratterizzava l'area, si consentirà a questo popolo di ritrovare appieno la propria identità.
Per quanto concerne le distruzioni operate, in alcuni casi, come a Nimrud, dove si è proceduto con le ruspe, sarà impossibile recuperare l'area archeologica, mentre in altri casi si potrà procedere a delle ricostruzioni parziali.
Tuttavia occorre sottolineare il fatto che nel corso delle devastazioni molte opere d'arte sono state sottratte e rivendute in occidente, contribuendo a finanziare l'ISIS. Questi traffici illegali, dei quali si è recentemente chiarito il meccanismo, interessano anche note case d'asta.
Non si commerciano però solo opere di grande valore, ma anche piccoli oggetti o monete, venduti sui siti online per pochi dollari. Si tratta qui di un fenomeno già noto ed in corso prima della guerra. La piana di Apamea, oggi interessata da migliaia di buche frutto di scavi clandestini, è l'esempio di un'attività di pura sopravvivenza esercitata da una popolazione allo stremo; un altro terribile aspetto del conflitto in corso.
Ed infine una guerra dimenticata, quella che sta distruggendo lo Yemen ed eliminando la sua popolazione, una vera emergenza umanitaria della quale ben pochi sembrano accorgersi. Sul fronte delle testimonianze storiche occorre ricordare la distruzione delle mura di Sana'a che, per certi versi ci riporta in Italia. Fu infatti Pier Paolo Pasolini che, dopo aver girato sul posto alcune scende del Decameron, decise di inviare un documentario all'UNESCO chiedendo che fossero protette. E così il cerchio si chiude, quasi a volerci ricordare che non c'è nessuna guerra che un po' non riguardi anche noi.


(click) Le mura di Sana, documentario di Pier Paolo Pasolini




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