Illustrazione tratta dalle Nuremberg Chronicles. Ninive |
Molti
anni fa, esattamente nel 1949, usciva un libro, più volte
ristampato, scritto dal giornalista tedesco Ceram (Kurt Wilhelm
Marek), destinato a diventare un classico ed a far avvicinare
all'archeologia molti studenti: Goetter Graeber und Gelehrte.
Roman der Archaeologie, tradotto
nel 1952 in italiano da Einaudi con il titolo Civiltà sepolte. In quel libro si raccontava, in forma romanzata, del
lavoro degli archeologi e delle grandi scoperte, alcune allora
recenti, dell'archeologia. Oggi purtroppo, alla luce delle
devastazioni operate dall'ISIS, ma non solo, nel Vicino Oriente,
possiamo parlare di “civiltà distrutte”. Le mura di Ninive, il
museo e la grande moschea di al-Nuri di Mosul, Palmira, sono solo
alcuni dei luoghi, tra i più famosi, gravemente danneggiati dalla
furia dei fondamentalisti.
Il minareto della moschea al.Nuri di Mosul (1932) |
Ne
ha parlato, nel corso di una conferenza molto interessante (e molto
seguita), tenuta presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia,
nell'ambito della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” il
professor Daniele Morandi Bonacossi, titolare della cattedra di
Archeologia del Vicino Oriente all'Università di Udine. Spesso in
missione a ridosso delle aree più calde del conflitto, il professor
Morandi Bonacossi ha percorso le tappe delle metodiche distruzioni,
iniziando dai Budda distrutti dai talebani a Bamiyan (Afghanistan)
nel 2001, per poi proseguire con le più recenti distruzioni operate
a Mosul (Iraq), Nimrud (Iraq) e Palmira (Siria), per non citarne che
alcune.
The Palaces at Nimrud restored (1853) |
Ma
non ci si deve fermare al solo patrimonio archeologico: ben
quattordici studiosi sono stati uccisi finora tentando di proteggere
le aree archeologiche ed i musei, tra questi il più noto è stato
l'archeologo Khaled al-Asaad, decapitato ad 83 anni a Palmira, il 18
agosto del 2015, essendosi rifiutato di lasciare il sito, ormai in
mano ai miliziani dell'ISIS.
Nel
corso delle missioni nel nord dell'Iraq, dove con il progetto Terre di Ninive, l'équipe di archeologi coordinati da Morandi Bonacossi
sta catalogando i beni archeologici da salvare, si sono riversati
nella zona 800.000 Yazidi, perseguitati e costretti alla fuga dai
seguaci del califfato islamico. Queste persone (tra le quali
moltissimi minori) sono state assistite e sistemate in campi profughi
appositamente allestiti, con l'aiuto dell'ONU, tuttavia la loro
speranza è quella di poter tornare nei territori dai quali sono
state espulse ed è ovvio che solo partendo da una corretta
ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture, ma anche di
tutto il tessuto culturale che caratterizzava l'area, si consentirà
a questo popolo di ritrovare appieno la propria identità.
Per
quanto concerne le distruzioni operate, in alcuni casi, come a
Nimrud, dove si è proceduto con le ruspe, sarà impossibile
recuperare l'area archeologica, mentre in altri casi si potrà
procedere a delle ricostruzioni parziali.
Tuttavia
occorre sottolineare il fatto che nel corso delle devastazioni molte
opere d'arte sono state sottratte e rivendute in occidente,
contribuendo a finanziare l'ISIS. Questi traffici illegali, dei quali
si è recentemente chiarito il meccanismo, interessano anche note
case d'asta.
Non
si commerciano però solo opere di grande valore, ma anche piccoli
oggetti o monete, venduti sui siti online per pochi dollari. Si
tratta qui di un fenomeno già noto ed in corso prima della guerra.
La piana di Apamea, oggi interessata da migliaia di buche frutto di
scavi clandestini, è l'esempio di un'attività di pura sopravvivenza
esercitata da una popolazione allo stremo; un altro terribile aspetto
del conflitto in corso.
Ed
infine una guerra dimenticata, quella che sta distruggendo lo Yemen
ed eliminando la sua popolazione, una vera emergenza umanitaria della
quale ben pochi sembrano accorgersi. Sul fronte delle testimonianze
storiche occorre ricordare la distruzione delle mura di Sana'a che,
per certi versi ci riporta in Italia. Fu infatti Pier Paolo Pasolini
che, dopo aver girato sul posto alcune scende del Decameron, decise
di inviare un documentario all'UNESCO chiedendo che fossero protette.
E così il cerchio si chiude, quasi a volerci ricordare che non c'è
nessuna guerra che un po' non riguardi anche noi.
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