Ho letto El zorro de arriba y el zorro de abajo, di Arguedas, opera ultima e molto particolare dello scrittore peruviano che, pur meritandolo, non vinse il premio Nobel per la Letteratura.
Il libro raccoglie le pagine degli ultimi diari di Arguedas, scritte nell'anno che ne precedette la morte, e le pagine, in parte non riviste, del suo ultimo romanzo, ed è interessante per almeno due ragioni: innanzitutto perché la raccolta, un po' confusa ed incompleta, rappresenta il testamento morale di quest'uomo colto e fragile, che ha attraversato quasi tutta la vita in preda a crisi di depressione e sconforto che, più di una volta, prima di quella definitiva, l'hanno portato sull'orlo del suicidio, e poi perché qui, nella parte narrativa del libro, sono raccolti tutti i temi cari all'autore e viene introdotto quello, nuovo, se si vuole, dello sviluppo industriale del paese, processo in mano ad imprese straniere che, di fatto, ne stravolgono l'essenza.
Arguedas non ha potuto completare la prima stesura del romanzo perché è morto suicida, il 2 dicembre del 1969, quattro giorni dopo essersi sparato un colpo di pistola, esattamente come aveva scritto nei suoi ulitmi messaggi, pubblicati in fondo al volume, curato dalla vedova. Ovviamente non ha potuto nemmeno rileggere e correggere ciò che aveva scritto fino ad allora ma, programmando il suo gesto disperato, aveva anticipato, a grandi linee, la conclusione delle diverse storie che si intrecciano nel lungo racconto. E sono storie forti e magnifiche, che rappresentano una realtà ch'egli aveva conosciuta direttamente, visitando la città portuale di Chimbote, centro di pesca più importante del paese, dove l'industria della trasformazione del pescato aveva richiamato molta gente dalle sierre in cerca di una vita migliore e sfruttata invece dall'industria, cieca di fronte alle necessità umane, ed interessata solo al guadagno ad ogni costo.
S'era alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e la sensibilità di Arguedas già comprendeva il disastro che le multinazionali avrebbero provocato nei paesi dell'America del Sud, contribuendo alla distruzione di intere popolazioni, svilite dal nuovo assetto economico dei diversi paesi, private del loro habitat naturale, costrette a piegarsi alla legge dettata da chi manovra interessi sovranazionali e molto denaro.
La volpe di sopra e quella di sotto si parlano, sono due voci contrapposte che ci svelano la realtà delle montagne del Perù, dove la gente vive ormai con fatica la quotidianità, fatta di sacrifici e di duro lavoro, e la realtà della città, dove molti arrivano, scendendo da quelle stesse montagne, come scendono le acque dei fiumi profondi, tanto amati da Arguedas e che tornano qui a simboleggiare un tempo definitivamente trascorso ed a sottolineare la fatalità del non ritorno e la sparizione dei pueblos d'altura che, come le acque, scendono a valle. Qui si ritrovano in quartieri periferici e sporchi, in condizioni di vita terribili, pagando un prezzo altissimo, anche in termini di vite umane, per esser stati impiegati nelle miniere di carbone o nell'industria della pesca, senza alcuna tutela, sostituiti con facilità da altri uomini, disposti a sacrificarsi per poter vivere una vita breve e terribile.
Arguedas, a sua volta colpito da questa realtà alla quale si sente estraneo, è capace qui di tracciare un quadro sublime delle condizioni di vita di queste popolazioni e di indicare, con rara precisione, le colpe ed i colpevoli, ma sa che la sua è una voce isolata, controcorrente e, tutto sommato, sgradita, in un paese che punta invece molto sull'industria e sui nuovi insediamenti, curandosi poco o nulla della civiltà millenaria che va scomparendo.
Di grande interesse anche le pagine del diario, soprattutto quelle in cui viene riportata la polemica con alcuni degli scrittori più noti del mondo latino-americano, come Cortazar e Vargas Llosa. Anche qui si comprende come Arguedas fosse diverso e distante da coloro che scrivevano per un tipo diverso di industria, quella letteraria, capace anch'essa però di fare enormi danni alle culture indigene ed alla cultura in generale.
Arguedas ha combattuto, fino alla fine, dalla parte degli indios del Perù, l'ha fatto a suo modo, attraverso le sue opere, il suo insegnamento all'Università, il suo mestiere di antropologo. La sua produzione letteraria e scientifica, spesso incompresa perché forse di difficile comprensione, contiene la denuncia del degrado ed è azione di protesta molto forte. Tuttavia si trovò spesso in contrasto proprio con quel movimento indigenista che trovava i suoi scritti troppo romantici ed idealizzanti la dura realtà in cui vivenano le popolazioni andine.
In realtà non ci fu nessuno scrittore che, a par suo, seppe cogliere la trasformazione dei pueblos peruviani come quest'uomo, innamorato della sua terra e di una cultura che, pur non appartenendogli per nascita, aveva appreso fin da bambino dai domestici di casa, che lo avevano allevato secondo la tradizione quechua. Lui aveva imparato a condividerla e ad amarla e l' aveva fatta sua, vivendo un'intera vita diviso tra due culture contrapposte ma volgendosi sempre, di preferenza, a quella indigena.