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martedì 22 dicembre 2020

Archeologia. Pukará de Quitor (Desero di Atacama, Cile)

Pukará de Quitor (foto Daniela Durissini)


Il popolo atacameño è stato presente nel Nord del Cile fin dal secolo VI. Le piccole e prospere comunità si dedicavano alla coltivazione del mais, della patata e della quinoa, all'allevamento ed alla fabbricazione di pregevoli oggetti in ceramica, in rame, ed alla produzione di tessuti. Ogni comunità si sviluppò in modo autonomo, pur non mancando i contatti e gli scambi tra le stesse, che elaborarono una lingua comune, il kunza. Nel XV secolo la regione fu conquistata dagli Inca, il potente popolo che si tava espandendo verso Sud (arrivarono fino all'attuale città di Santiago). Il Pukará de Quitor, sito a 3 chilometri dalla città di San Pedro d'Atacama, sopra il rio San Pedro, o Rio Grande, è una delle fortezze che, a partire dal XII secolo, vennero edificate a protezione delle comunità atacameñe. Questa, costruita a terrazze circolari, provvista di muraglioni di sostegno realizzati con la pietra rossa locale, era suddivisa all'interno in diverse zone destinate ad abitazioni, ricovero di animali, magazzini e botteghe, il tutto unito da stretti vicoli e passaggi labirintici. Gli scavi archeologici hanno messo in luce anche alcuni resti di travi e muri di paglia e fango. Nel 1540, come ricorda una targa sulla cima del monte che sovrasta la fortezza, si ebbe uno scontro durissimo tra le genti locali ed i conquistatori spagnoli, che ebbero la meglio e massacrarono 25 persone. Monumento nazionale dal 1982.

►(click) Per saperne di più: Scheda dal sito dei Monumenti storici del Governo del Cile

►(click) Scheda sull'architettura preispanica nel Nord cileno


martedì 15 dicembre 2020

Letture. Di Kafka e del potere totalitario

Franz Kafka. Das Schloß. ed. 1926

Lo scrittore praghese Franz Kafka scrisse Das Schloß (Il castello) nel 1922, non molto tempo prima di morire (1924). Il suo ultimo romanzo infatti, fu pubblicato postumo, nel 1926, curato dall'amico Max Brod. La vicenda vede il protagonista, indicato con la sola iniziale del nome, K., che non può che rimandare all'autore, confrontarsi con un potere anche visivamente lontano, ma estremamente invasivo e condizionante. Il costante confronto con questa entità superiore ed inaccessibile farà di K. un essere sfruttato, alienato e frustrato la cui fine, intuibile ma non descritta nel libro, incompiuto, era stata concepita da Kafka come l'ennesima beffa ai danni del povero agrimensore, destinato a cedere, infine, per esaurimento. 
Lo scrittore e filosofo spagnolo Pedro Cuartango, parlando di questo libro, offre un'interpretazione della società attuale che si rifà a quanto, quasi cent'anni fa, Kafka aveva già intravisto, con estrema lucidità. Ne ho tradotto un breve passaggio:

"Il potere, secondo lo scrittore praghese, è indefinibile per la sua complessità ed assomiglia ad una forza che ci costringe ad assumere determinati atteggiamenti, molti dei quali inconsci. In un certo senso, il potere è come una realtà virtuale che nessuno sa da dove viene ma che condiziona tutti i nostri atti. In questa natura diffusa ed intangibile risiede il suo pericolo maggiore. Ne consegue che risulta assai diffcile controllare i suoi eccessi. La minaccia totalitaria nei paesi sviluppati deriva precisamente da questo carattere astratto del potere che impregna come pioggia fine ed impone ciò che è politicamente corretto o desiderabile come se fosse la conseguenza di una volontà libera e consensuale dei cittadini. Il tutto ci viene imposto in nome di una entelechia innominabile che nasconde un potere che risponde solo a sé stesso, ovvero al nulla".
(trad. Daniela Durissini)

El poder, según el escritor de Praga, es indefinible por su complejidad y se asemeja a una fuerza que nos compele a asumir determinadas actitudes, muchas de ellas inconscientes. En cierta forma, el poder es como una realidad virtual que nadie sabe de dónde procede pero que condiciona todos nuestros actos. En esa naturaleza difusa e intangible reside su mayor peligro. De ahí que resulte mucho más difícil controlar sus excesos. La amenaza totalitaria en los países desarrollados viene precisamente de ese carácter abstracto del poder que empapa como lluvia fina e impone lo políticamente correcto o deseable como si fuera la consecuencia de una voluntad libre y consensuada de los ciudadanos. El Todo se nos impone en nombre de una entelequia innombrable que oculta un poder que solo responde ante sí mismo, o sea, ante la nada.
(da Pedro Cuartango, Elogio de la quietud)


venerdì 11 dicembre 2020

Arti e architetture. Jean Renoir. Partie de campagne (La scampagnata)



Il film di Jean Renoir, Partie de campagne, un corto di poco più di mezz'ora, tratto dall'omonimo racconto di Guy de Maupassant, fu girato nel 1936. Il regista, figlio del famoso pittore impressionista, Pierre Auguste Renoir, si ispirò, per molte delle eccezionali inquadrature, ai lavori del padre, un motivo in più per non perdere l'occasione di vedere quest'opera davvero straordinaria, che uscì appena nel 1946, completata in assenza del regista, ormai esiliato in America, come avverte una breve nota all'inizio della pellicola. 

Pierre Auguste Renoir. La balançoire (1876)
Parigi Museo d'Orsay

(La scena di Henriette Dufour sull'altalena è chiaramente ispirata a questo quadro del padre del regista)

La lavorazione, quasi tutta in esterni, prese tre settimane e fu ostacolata dal maltempo, che non era previsto nel racconto originale, ed causa del quale si dovette cambiare la sceneggiatura. Tuttavia la cosa non turbò più di tanto Renoir che, nella tempesta, vide un'accentuazione della drammaticità della situazione. Del resto, le riprese del vento e della pioggia sul fiume costituiscono uno dei momenti migliori dell'intero film. Oltre agli attori protagonisti, alcuni dei quali avevano già lavorato con il regista, questi prese come comparse la propria compagna, nel ruolo della cameriera, ed alcuni dei suoi migliori amici, nel ruolo dei seminaristi. Tra questi il fotografo Heri Cartier Bresson, il regista Jacques Becker e lo scrittore Georges Bataille. Alla realizzazione partecipò anche il trentenne Luchino Visconti. Renoir stesso recitò nel ruolo del padrone dell'osteria accanto al fiume, dove si svolgono i fatti.
Nel 1994 la Cinémathèque française ha ristampato quattro ore del girato in suo possesso, ceduto a suo tempo dal produttore Braunberger, con il quale il regista Alain Fleischer ha montato un documentario dal titolo Tournage à la campagne.


martedì 8 dicembre 2020

Culture. L'antico pellegrinaggio a San Giacomo di Galizia

Santa Croce. Canonica (foto Daniela Durissini)

Da un mio vecchio lavoro di catalogazione effettuato sugli archivi medievali triestini, traggo alcune notizie sul pellegrinaggio effettuato a San Giacomo di Galizia (San Giacomo di Compostela). Nei testamenti del XV secolo si nota come non fosse affatto rara la decisione di lasciare una parte del patrimonio da destinare ad una o più persone incaricate di effettuare un pellegrinaggio, per la salvezza dell'anima del testatore, che talvolta, allo stesso scopo, lasciava anche ingenti somme per far dire numerose sequenze delle caratteristiche 30 messe gregoriane. Il santuario di San Giacomo di Galizia però era una meta troppo lontana per inviarvi qualcuno, avendo una ragionevole certezza che vi arrivasse e compisse così il volere del testatore, e pertanto generalmente si preferiva indicare mete più vicine e più frequentate da coloro che partivano dall'estremo nordest della penisola. 
La meta galiziana era ritenuta così difficile da raggiungere, il cammino così irto di pericoli ed il viaggio tanto lungo, che chi vi si recava faceva a sua volta testamento, disponendo dei propri beni prima di partire. Nel corso del XV secolo si trovano soltanto sei testamenti di persone in partenza per San Giacomo, e non sappiamo se tra queste ci fosse qualcuno incaricato del pellegrinaggio da altri, però troviamo anche il testamento di ser Concio, bavarese, di passaggio a Trieste ed ammalatosi, che incarica i suoi eredi di mandare una persona a San Giacomo ed una a Roma, corrispondendo ben 37 ducati, una cifra molto consistente. Anche Antonio, barbiere di Cividale, ammalato, detta il testamento, una prima volta nel 1475, ed una seconda nel 1486. La prima stesura prevede l'invio di una persona a San Giacomo, una a Sant'Antonio di Vienna (Padova), due alla Beata Vergine di Loreto, ed indica l'ospedale di San Giusto quale erede universale, mentre la seconda stesura, essendo trascorsi undici anni, mantiene solo il pellegrinaggio a San Giacomo, mentre divide i beni tra Driota, convivente del testatore, e l'ospedale di San Giusto.
Su uno dei muri esterni della canonica di Santa Croce, già scuola parrocchiale, che presenta alcuni interessanti resti dell'apparato decorativo originario, databile tra il XV ed il XVII secolo, vi è scolpito il bastone del pellegrino accanto alla conchiglia di San Giacomo, a ricordare che, raggiunto l'altipiano, proprio lì, dove si poteva dare un ultimo sguardo alla città, iniziava il lungo cammino che, in molti mesi, avrebbe condotto il pellegrino fin sulle sponde dell'oceano atlantico.

►(click) A questo indirizzo è consultabile on line la catalogazione da me effettuata sul fondo Vicedomini conservato presso l'Archivio Diplomatico della Biblioteca Civica A. Hortis di Trieste



venerdì 4 dicembre 2020

Fotografare l'arte. René Magritte. Il teatro della natura

 

René Magritte. Lo spettacolo della natura (1940)
Monaco di Baviera. Pinakothek der Moderne
(foto Daniela Durissini)

René Magritte (Lessines, Belgio 1898 - Bruxelles, Belgio 1967) , dopo un iniziale periodo futurista, di cui rimangono pochi e misconosciuti lavori, si accostò al surrealismo grazie alla scoperta del lavoro di De Chirico. La natura è sempre partecipe dei suoi lavori poiché, come lui stesso affermava"...ci offre lo stato di sogno che procura al nostro corpo e al nostro spirito la libertà di cui hanno assoluto bisogno". Questo dipinto è conservato presso la Pinacoteca d'arte Moderna di Monaco di Baviera. 


martedì 1 dicembre 2020

Culture. La società vulnerabile

Max Beckmann. Grande natura morta con telescopio (1927)
Monaco di Baviera. Pinakothek der Moderne 
(foto Daniela Durissini)

(Max Beckmann, per le sue osservazioni critiche sul decadimento della società, dovette lasciare la Germania. Morì in esilio a New York)

La sensazione di sicurezza rispetto al futuro che esisteva dieci anni fa è svanita e si ha l'impressione di essere sottomessi ad un cambio vertiginoso che ci impedisce di programmare la nostra vita. Quasi tutto è caduco e fragile: le relazioni personali, il lavoro, la politica, l'estetica e pure il sesso. Le ultime scoperte delle fisica contribuiscono ad accentuare il concetto della volatilità, ponendo in rilievo il fatto che la materia è formata da particelle che interagiscono, in continuo movimento, la cui traiettoria è impossibile da prevedere. Dato che l'essere umano è stato educato a vivere nell'ambito della certezza e della prevedibilità, questa volatilità ci produce una spiacevole sensazione di malessere all'acutizzarsi della percezione della nostra vulnerabilità. Ma non c'è altra alternativa al vivere con questa realità. La veloce successione degli avvenimenti ha in sé un altro problema: il fatto che ci fa perdere la prospettiva e ci impedisce di distinguere tra il bene ed il male, l'importante ed il banale. L'unica cosa che conta è un presente precario che ci trascina come una poderosa corrente nel mare. Non possiamo resistere alla forza di alcuni cambiamenti che non controlliamo e di fronte ai quali mancano di risposte anche le istituzioni ed i partiti. Ciò spiega la nascita di organizzazioni come Podemos, il cui successo sta nell'offrire ricette semplici a fronte di situazioni estremamente complicate. La volatilità ha smesso di essere una circostanza esterna alle cose per convertirsi nell'essenza delle stesse. Heidegger lo comprese molto bene quando intuì le conseguenze del progredire della tecnica e la depersonalizzazione del mondo contemporaneo. Per dirlo in altra maniera, la volatilità ci impedisce di essere e ci spinge ad esistere o, ancor peggio, a sopravvivere in un ambiente che cambia di continuo al quale siamo obbligati ad adattarci. E' puro darwinismo. Difficile sapere dove ci porta questa tendenza delle società avanzate che ci fa tornare alla vulnerabilità dell'uomo del Paleolitico.
 
(da Pedro Cuartango, Elogio de la quietud; traduzione: Daniela Durissini)


La sensación de seguridad respecto al futuro que existía hace diez años se ha desvanecido y da la impresión de que estamos sometidos a un cambio vertiginoso que nos impide hacer planes sobre nuestra vida. Casi todo es caduco y frágil: las relaciones personales, el trabajo, la política, la estética e incluso el sexo. Los últimos avances de la física contribuyen a acentuar el concepto de volatilidad al poner de relieve que la materia está formada por partículas que interactúan en continuo movimiento cuya trayectoria es imposible de predecir. Dado que el ser humano ha sido educado para vivir en el ámbito de la certeza y la previsibilidad, esta volatilidad nos produce una incómoda sensación de malestar al agudizar la percepción de la propia vulnerabilidad. Pero no hay otra alternativa que vivir con esta realidad. La veloz sucesión de los acontecimientos tiene otro problema: que nos hace perder la perspectiva y nos impide distinguir entre lo bueno y lo malo, lo valioso y lo banal. Lo único que pesa es un presente precario que nos arrastra como una poderosa corriente en el mar. No podemos resistir la fuerza de unos cambios que no controlamos y frente a los que también carecen de respuesta las instituciones y los partidos. Eso explica el nacimiento de organizaciones como Podemos, cuyo éxito reside en ofrecer recetas simplistas frente a situaciones extremadamente complicadas. La volatilidad ha dejado de ser una circunstancia externa a las cosas para convertirse en su propia esencia. Eso lo vio muy bien Heidegger cuando intuyó las consecuencias del avance de la técnica y la despersonalización del mundo contemporáneo. Para decirlo de otra forma, la volatilidad nos impide ser y nos impulsa a existir o, peor todavía, a sobrevivir en un entorno siempre cambiante al que nos tenemos que adaptar. Es darwinismo puro. Difícil saber adónde nos lleva esta tendencia de las sociedades avanzadas que nos retrotrae a la vulnerabilidad del hombre del Paleolítico.

da Pedro Cuartango, Elogio de la Quietud

Pedro Cuartango, giornalista spagnolo con una laurea in filosofia ed una in scienza dell'informazione, scrive questo bel libro in cui fa il punto sulla sua vita di ultra cinquantenne, che si porta appresso i ricordi di un passato probabilmente enfatizzato e le angosce del tempo presente, ricordando gli insegnamenti ricevuti alla facoltà di filosofia dell'università parigina di Vincennes, le passeggiate con Deleuze, i fugaci incontri con Sartre, e le sue letture. All'epoca in cui la frequentò l'università era una fucina di idee in cui, un insegnamento assolutamente libero, favoriva l'incontro tra studenti e professori, ed un apprendimento privo delle angosce di esami e pratiche burocratiche. Allora funzionò e, accanto a maestri insigni quali il già ricordato Deleuze e Châtelet, si formarono molti giovani intellettuali. Cuartango deve a questa formazione la capacità di guardare il presente con spirito critico, ricordando i suoi filosofi prediletti, che ricorrono spesso nei numerosi e brevi capitoli in cui è suddiviso il libro, che si legge con piacere e con una certa curiosità. Ho riportato qui sotto una parte di uno di questi capitoli con la traduzione, perché mi sembra che ben si adatti ai tempi che stiamo vivendo.