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martedì 15 dicembre 2020

Letture. Di Kafka e del potere totalitario

Franz Kafka. Das Schloß. ed. 1926

Lo scrittore praghese Franz Kafka scrisse Das Schloß (Il castello) nel 1922, non molto tempo prima di morire (1924). Il suo ultimo romanzo infatti, fu pubblicato postumo, nel 1926, curato dall'amico Max Brod. La vicenda vede il protagonista, indicato con la sola iniziale del nome, K., che non può che rimandare all'autore, confrontarsi con un potere anche visivamente lontano, ma estremamente invasivo e condizionante. Il costante confronto con questa entità superiore ed inaccessibile farà di K. un essere sfruttato, alienato e frustrato la cui fine, intuibile ma non descritta nel libro, incompiuto, era stata concepita da Kafka come l'ennesima beffa ai danni del povero agrimensore, destinato a cedere, infine, per esaurimento. 
Lo scrittore e filosofo spagnolo Pedro Cuartango, parlando di questo libro, offre un'interpretazione della società attuale che si rifà a quanto, quasi cent'anni fa, Kafka aveva già intravisto, con estrema lucidità. Ne ho tradotto un breve passaggio:

"Il potere, secondo lo scrittore praghese, è indefinibile per la sua complessità ed assomiglia ad una forza che ci costringe ad assumere determinati atteggiamenti, molti dei quali inconsci. In un certo senso, il potere è come una realtà virtuale che nessuno sa da dove viene ma che condiziona tutti i nostri atti. In questa natura diffusa ed intangibile risiede il suo pericolo maggiore. Ne consegue che risulta assai diffcile controllare i suoi eccessi. La minaccia totalitaria nei paesi sviluppati deriva precisamente da questo carattere astratto del potere che impregna come pioggia fine ed impone ciò che è politicamente corretto o desiderabile come se fosse la conseguenza di una volontà libera e consensuale dei cittadini. Il tutto ci viene imposto in nome di una entelechia innominabile che nasconde un potere che risponde solo a sé stesso, ovvero al nulla".
(trad. Daniela Durissini)

El poder, según el escritor de Praga, es indefinible por su complejidad y se asemeja a una fuerza que nos compele a asumir determinadas actitudes, muchas de ellas inconscientes. En cierta forma, el poder es como una realidad virtual que nadie sabe de dónde procede pero que condiciona todos nuestros actos. En esa naturaleza difusa e intangible reside su mayor peligro. De ahí que resulte mucho más difícil controlar sus excesos. La amenaza totalitaria en los países desarrollados viene precisamente de ese carácter abstracto del poder que empapa como lluvia fina e impone lo políticamente correcto o deseable como si fuera la consecuencia de una voluntad libre y consensuada de los ciudadanos. El Todo se nos impone en nombre de una entelequia innombrable que oculta un poder que solo responde ante sí mismo, o sea, ante la nada.
(da Pedro Cuartango, Elogio de la quietud)


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