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lunedì 26 giugno 2017

Shakespeare. Riccardo II e il tema dell'esilio



Riccardo II


Riccardo II è una tragedia di Shakespeare relativamente poco rappresentata nei teatri malgrado rivesta un notevole interesse. La trama complessa infatti costituisce il passaggio dell'autore da un'ottica tipicamente medievale, in cui l'unico potere legittimo è quello che proviene dal rispetto delle linea successoria, ottenuta e garantita per grazia divina, a quella moderna, in cui invece viene preso in considerazione anche il consenso popolare.
Questo passaggio è molto importante poiché cambia la prospettiva dell'opera shakespeariana segnando un'evoluzione verso un nuovo aspetto del potere che inizia ad essere concepito come necessariamente condiviso, cioè approvato dai cittadini, anche se siamo ancora lontani da una piena assunzione di questo modello, suggerito già due secoli prima dal filosofo Guglielmo di Ockham.
Riccardo II quindi, re per grazia divina, ma inadatto a ricoprire il suo ruolo, è qui contrapposto ad Enrico di Bolingbroke, pari del regno, al quale dovrà cedere il potere. Dopo un periodo di esilio Bolingbroke, l'uomo nuovo, con l'appoggio del popolo, salirà al trono con il nome di Enrico IV, mentre Riccardo II, simbolo di un'intera epoca che andava concludendosi, finirà i suoi giorni prigioniero ed abbandonato da tutti, prima nella torre di Londra e poi nel castello di Pomfret.
I personaggi della tragedia che fanno da corona a quelli principali sono portatori di un forte simbolismo, alludente anch'esso a questo cambio di prospettiva.
Ma ciò che è interessante notare, al di là di questo, è il modo in cui vengono sviluppati qui i temi della lontananza e dell'esilio per i quali viene proposto un ribaltamento del pensiero comune che prepara, di fatto, il ritorno di Bolingbroke, sottolineandone la dignità con cui affronta il temporaneo sacrificio, e legittimando nel contempo la sua successiva presa di potere.
Mirabili i versi con cui Gaunt si rivolge a Bolingbroke, condannato dal re ad un lungo esilio (dieci anni poi ridotti a sei), mentre questi sta lasciando l'Inghilterra: “Tutti i luoghi su cui si posa l'occhio del cielo / sono per l'uomo saggio porti e approdi felici./ Lo stato di necessità t'insegni a ragionare così: / che tanto vale far di necessità virtù. / Non pensare che è stato il Re a bandirti: / tu hai bandito il Re. Il dolore è tanto più pesante / quando si sente tollerato a fatica. / Va', di' che son io a mandarti in giro in cerca d'onori, / non che il re ti ha esiliato; o immagina / che un'insaziata pestilenza ammorbi l'aria di casa, / e che tu prendi il volo verso climi più sani. / Pensa alle cose che ti son più care e fa' conto / di ritrovarle sul tuo cammino, non di averle alle spalle. / Fa' finta che gli uccelli canori siano dei musici, / che l'erba che calpesti sia il tappeto della sala del trono, / che i fiori sian belle dame, e i tuoi passi null'altro / che un'incantevole figura di danza, ad un ballo: / poiché il dolore ringhioso è meno incline a azzannare / l'uomo che se la ride e non si fa spaventare”.




Una bella lezione di saggezza, basata sul ribaltamento delle parti, destinato poi a ripetersi al ritorno di Bolingbroke, quando troverà l'appoggio del popolo e riuscirà a salire al trono. “Non pensare che è stato il re a bandirti: tu hai bandito il re”, dice Gaunt, suggerendo un pensiero positivo che non solo aiuta a lenire il dolore dell'allontanamento ma ha il compito di formare un uomo diverso, più forte e capace di reagire alla sorte contraria, con la certezza che si tratta di una condizione temporanea. Nello scambio di battute che precede questo discorso Gaunt sottolinea proprio questo elemento e dice al figlio, che vede l'esilio come un tempo infinito da passare fuori dalla sua terra: “Ma starai via così poco tempo!” e ancora “Cosa sono sei inverni? Sono presto passati”, e “Fai conto che sia un viaggio di piacere”.
Con questi versi Shakespeare rivoluziona lo schema della tragedia e fa del perdente il vincitore, poiché Bolingbroke vince già qui, nel momento in cui affronta l'esilio, nelle parole del padre, nella solidarietà dei suoi amici, che lo accompagnano alla riva del mare dove si imbarcherà per la Francia, qui, dove ha l'occasione di dimostrare la grandezza del saper accettare la sconfitta e di saper rovesciare la sorte.

Riccardo II, Atto II, scena III


J. Coghlan. Riccardo II prigioniero nel castello di Pomfret

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