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giovedì 27 agosto 2020

Letture. Fernando Aramburu. Patria




Fernando Aramburu, in Patria, racconta la Spagna, ed in particolare i Paesi Baschi, in un lungo periodo di tempo, compreso tra gli anni '80 del secolo scorso ed il 2011, quando fu dichiarata la fine della lotta armata da parte dell'ETA, sciolta poi appena nel 2018.
Nato a San Sebastian nel 1959, Aramburu ha vissuto intensamente quel periodo complicato in cui molti giovani baschi rischiavano di venir coinvolti nell'organizzazione terroristica che si rese colpevole dell'omicidio di più di 800 persone, alle volte mediante azioni clamorose come l'attentato all'aeroporto Barajas, ma moltissime altre mediante l'esecuzione di singole persone, accusate di servire lo stato spagnolo, visto come oppressore del popolo basco. 
Quella raccontata da Aramburu è una piccola, esemplare, storia di provincia, in cui due famiglie di un paese vicino a San Sebastian, dapprima unite da un'amicizia all'apparenza solidissima, si dividono man mano nel corso degli anni, sulla base di piccoli screzi ed inividie, mai confessate apertamente e mai nemmeno ammesse, fino alla brutale separazione nel momento in cui uno dei figli entra a far parte dell'ETA, e del commando che uccide il Txato, padre e marito esemplare, gran lavoratore, con la sola colpa di aver fatto crescere e prosperare un'azienda in terra basca e di non aver potuto pagare una tangente all'organizzazione. 
Al defunto, marito di colei che era stata l'amica inseparabile della madre del terrorista, taglieggiato com'era consuetudine in quegli anni in cui l'ETA aveva bisogno di fondi per resistere, minacciato per non aver pagato e scansato da tutti, infine ucciso in un cupo giorno di pioggia sotto casa, vengono negati anche il funerale e la sepoltura al paese e, per uno strano processo di identificazione con la causa che sembra coinvolgere la quasi totalità degli abitanti, la famiglia stessa del Txato viene considerata colpevole e ripudiata dalla comunità. 
La vittima sacrificale diventa insomma il vero colpevole, la sua famiglia l'elemento spurio da espellere dal gruppo autenticamente patriottico e sostenitore della lotta e dei terroristi in carcere, tra i quali si conta presto anche Joxe Mari, il figlio prediletto che forse ha sparato al padre dei suoi amici e forse no, ma che comunque la comunità, con il prete in testa, assolve, mentre condanna la vedova che insiste nel chiedere chiarezza e nell'esigere un atto di pentimento. 
Ma ciò che colpisce maggiormente in questo lungo racconto sono i meccanismi, molto comuni, che mettono in moto l'odio, in primis l'invidia sociale, caratteristici di ogni luogo e di tutte le epoche, vieppiù in quella attuale, in cui l'autore scrive. Aramburu analizza con rara capacità la crescita dell'avversione verso il Txato e, parallelamente, la conversione di Joxe Mari, ragazzo con una scarsa scolarizzazione e lasciato a sé stesso, al terrorismo. Ma come mai il fratello minore, Gorka,  e la sorella, Arantxa, non condividono le sue scelte? Cresciuti nella stessa famiglia, priva di stimoli culturali, hanno saputo recuperarli da soli, rivolgendosi, fin da bambini, alla lettura e, suggerisce l'autore, nella postfazione, è proprio questo fattore che ha salvato anche lui dal seguire, all'epoca, come alcuni suoi compagni, una strada sbagliata. Aramburu sembra identificarsi, almeno in parte, proprio con la figura di Gorka, che decide di combattere la propria battaglia per la sopravvivenza del popolo e delle tradizioni basche apprendendone correttamente la difficilissima lingua, e scrivendo in euskara, contribuendo così alla diffusione di quel linguaggio antichissimo che costituisce la peculiarità del popolo ed il suo principale elemento identificativo. Così facendo però per Gorka diventa chiara la mostruosa verità e cioè che l'ETA, i cui componenti spesso non sanno nemmeno compilare un comunicato rivendicativo correttamente, recluta ragazzi ingenui e, forse, violenti, facili da manipolare, che sfogano nell'attività terroristica le loro frustrazioni, come si accorgerà anche Joxe Mari, dopo molti anni trascorsi in carcere, quando, anche per lui, la redenzione avverrà attraverso la cultura. 
Patria racconta anche molto altro, attraverso i personaggi che ruotano attorno a quelli principali, ed è un libro magnifico, che ha avuto molti riconoscimenti. Le sue molte pagine si leggono con il piacere di scoprire, in ogni angolo del racconto, molto di più di quanto ci si aspetterebbe, non solo sull'ETA, ma sulla Spagna degli ultimi anni e, in una prospettiva allargata, sull'Europa di oggi. 

►(click) Il libro: Fernando Aramburu, Patria, Milano, Guanda, 2017

Fernando Aramburu, Patria, Tusquets, 2019 (in spagnolo)




1 commento:

  1. Io l'ho appena letto e mi è piaciuto enormemente, e per le stesse ragioni così ben evidenziate nella recensione. È un romanzo che ti appassiona dal primo paragrafo: te engancha, ti prende all'amo, perché è anche molto ben scritto: i continui passaggi da descrizioni con punto di vista oggettivo, da narratore onnisciente, al punto di vista interno dei vari, numeosi personaggi, l'intreccio sapiente, i continui salti temporali, i ritorni ai nodi fondamentali della vicenda così come sono stati visuuti dai diversi protagonisti, lo rendono quasi un giallo psicologico. Ma anche una riflessione sui meccanismi del condizionamento, sempre necessaria e quanto mai attuale.
    Anna Zembrino

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