Riccardo II |
Riccardo
II è una tragedia di Shakespeare relativamente poco rappresentata
nei teatri malgrado rivesta un notevole interesse. La trama complessa
infatti costituisce il passaggio dell'autore da un'ottica tipicamente
medievale, in cui l'unico potere legittimo è quello che proviene dal
rispetto delle linea successoria, ottenuta e garantita per grazia
divina, a quella moderna, in cui invece viene preso in considerazione
anche il consenso popolare.
Questo
passaggio è molto importante poiché cambia la prospettiva
dell'opera shakespeariana segnando un'evoluzione verso un nuovo
aspetto del potere che inizia ad essere concepito come
necessariamente condiviso, cioè approvato dai cittadini, anche se
siamo ancora lontani da una piena assunzione di questo modello,
suggerito già due secoli prima dal filosofo Guglielmo di Ockham.
Riccardo
II quindi, re per grazia divina, ma inadatto a ricoprire il suo
ruolo, è qui contrapposto ad Enrico di Bolingbroke, pari del regno,
al quale dovrà cedere il potere. Dopo un periodo di esilio
Bolingbroke, l'uomo nuovo, con l'appoggio del popolo, salirà al
trono con il nome di Enrico IV, mentre Riccardo II, simbolo di
un'intera epoca che andava concludendosi, finirà i suoi giorni
prigioniero ed abbandonato da tutti, prima nella torre di Londra e poi nel castello di Pomfret.
I
personaggi della tragedia che fanno da corona a quelli principali
sono portatori di un forte simbolismo, alludente anch'esso a questo
cambio di prospettiva.
Ma
ciò che è interessante notare, al di là di questo, è il modo in
cui vengono sviluppati qui i temi della lontananza e dell'esilio per
i quali viene proposto un ribaltamento del pensiero comune che
prepara, di fatto, il ritorno di Bolingbroke, sottolineandone la
dignità con cui affronta il temporaneo sacrificio, e legittimando
nel contempo la sua successiva presa di potere.
Mirabili
i versi con cui Gaunt si rivolge a Bolingbroke, condannato dal re ad
un lungo esilio (dieci anni poi ridotti a sei), mentre questi sta
lasciando l'Inghilterra: “Tutti i luoghi su cui si posa l'occhio
del cielo / sono per l'uomo saggio porti e approdi felici./ Lo stato
di necessità t'insegni a ragionare così: / che tanto vale far di
necessità virtù. / Non pensare che è stato il Re a bandirti: / tu
hai bandito il Re. Il dolore è tanto più pesante / quando si sente
tollerato a fatica. / Va', di' che son io a mandarti in giro in cerca
d'onori, / non che il re ti ha esiliato; o immagina / che
un'insaziata pestilenza ammorbi l'aria di casa, / e che tu prendi il
volo verso climi più sani. / Pensa alle cose che ti son più care e
fa' conto / di ritrovarle sul tuo cammino, non di averle alle spalle.
/ Fa' finta che gli uccelli canori siano dei musici, / che l'erba
che calpesti sia il tappeto della sala del trono, / che i fiori sian
belle dame, e i tuoi passi null'altro / che un'incantevole figura di
danza, ad un ballo: / poiché il dolore ringhioso è meno incline a
azzannare / l'uomo che se la ride e non si fa spaventare”.
Una
bella lezione di saggezza, basata sul ribaltamento delle parti,
destinato poi a ripetersi al ritorno di Bolingbroke, quando troverà
l'appoggio del popolo e riuscirà a salire al trono. “Non pensare
che è stato il re a bandirti: tu hai bandito il re”, dice Gaunt,
suggerendo un pensiero positivo che non solo aiuta a lenire il
dolore dell'allontanamento ma ha il compito di formare un uomo diverso,
più forte e capace di reagire alla sorte contraria, con la certezza
che si tratta di una condizione temporanea. Nello scambio di battute
che precede questo discorso Gaunt sottolinea proprio questo elemento
e dice al figlio, che vede l'esilio come un tempo infinito da passare
fuori dalla sua terra: “Ma starai via così poco tempo!” e ancora
“Cosa sono sei inverni? Sono presto passati”, e “Fai conto che
sia un viaggio di piacere”.
Con
questi versi Shakespeare rivoluziona lo schema della tragedia e fa
del perdente il vincitore, poiché Bolingbroke vince già qui, nel
momento in cui affronta l'esilio, nelle parole del padre, nella
solidarietà dei suoi amici, che lo accompagnano alla riva del mare
dove si imbarcherà per la Francia, qui, dove ha l'occasione di
dimostrare la grandezza del saper accettare la sconfitta e di saper
rovesciare la sorte.
Riccardo
II, Atto II, scena III
J. Coghlan. Riccardo II prigioniero nel castello di Pomfret |