Kader Abdolah è uno scrittore iraniano che vive oggi in Olanda e, cosa piuttosto curiosa, scrive nella lingua del suo nuovo paese. Per Iperborea sono già apparsi, tradotti in italiano, diversi suoi romanzi. Tra questi, La casa della moschea è forse il più riuscito e completo.
Si tratta di un romanzo maturo, soprattutto perché l'autore, attraverso un lungo e faticoso cammino, rispecchiato in parte dai suoi precedenti lavori, è riuscito ad allontanarsi quel minimo indispensabile dalle vicende dolorose che hanno segnato la sua vita e che hanno determinato il suo allontanamento dall'Iran, per poter posare uno sguardo finalmente più sereno, sulle vicende che hanno coinvolto il paese e l'hanno profondamente cambiato.
Attraverso le esperienze della famiglia che abita la casa della moschea del bazar di Senjan, della quale, tra l'altro, è proprietaria da generazioni, si segue l'evoluzione degli avvenimenti che, in anni recenti e recentissimi hanno cambiato la vita di milioni di persone.
I protagonisti della storia sono due, Aga Jan, benestante ed influente commerciante di tappeti del bazar e capo famiglia, e la casa stessa che segue e rispecchia le sorti dei suoi abitanti.
Kader Abdolah costruisce il romanzo servendosi dei suoi ricordi personali, uniti alla cronaca dell'epoca, tra accadimenti reali e suggestioni fiabesche, che la vecchia casa ospita indifferentemente, come se tutto appartenesse ad una sua particolare realtà, come se verità e fantasia fossero comunque destinate ad intrecciarsi in questo luogo che è di per sé un posto-rifugio per tutti i membri della famiglia e per le nostalgie dell'autore.
I muri secolari diventano così i testimoni ed i custodi di ciò che accade al di fuori di essi e viene proiettato all'interno grazie alla testimonianza dei suoi abitanti che, inizialmente, nonostante le diverse opinioni sulla vita e la politica, vivono in una sorta di felice equilibrio, mentre, man mano che il tempo passa, vengono coinvolti e sospinti verso l'estremizzazione dei propri sentimenti e delle proprie convinzioni. Tutti, tranne Aga Jan, che rimane solidamente legato al proprio credo ed alle tradizioni, atteggiamento che lo isola ma che infine salverà la sua umanità e quel che resta della famiglia e degli amici.
La piccola comunità, che vive con sorpresa e qualche dubbio la politica di modernizzazione portata avanti dallo scià e dalla moglie Farah Diba, viene duramente colpita al tempo della rivoluzione khomeinista, alla quale aderiscono alcuni membri della famiglia. Aga Jan perde il figlio, ucciso, come nella realtà accadde al fratello dell'autore, per sospetta attività sovversiva, e sperimenta come la paura ed il condizionamento ideologico siano in grado di trasformare in nemici anche gli amici più cari; quando tenta di dargli una onorata sepoltura, negata dal regime, si trova di fronte al diniego di tutti coloro ai quali si rivolge, chiedendo solo pietà.
Anche la casa è destinata a perdere qualcosa di fondamentale: la moschea, alla quale è legata, anche materialmente, da un corridoio, un tempo percorso abitualmente dall'imam.
Alla fine però, in questo mondo nuovo, crudele e sconvolto, qualcosa sembra cambiare e Aga Jan e la moglie, sempre più soli ma ancora nella vecchia casa, scoprono che la gente inizia a rifiutare gli eccessi della rivoluzione. Coloro che hanno torturato, condannato ed ucciso barbaramente, vengono a loro volta condannati, gli amici che hanno volto loro le spalle fanno ammenda e la ruota sembra poter girare di nuovo, questa volta per offrire sollievo ad un paese meraviglioso che può risollevarsi dall'abisso oscuro nel quale era sprofondato. Bisogna però saper perdonare.
⇒(click) Il libro. Kader Abdolah, La casa della moschea, Milano, Iperborea, 2008, trad. e postfazione di Elisabetta Svaluto Moreolo
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