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giovedì 25 maggio 2017

Artemisia Gentileschi


Artemisia Gentileschi. Autoritratto come martire (1615)


Nata a Roma, nel 1593, Artemisia, figlia del pittore Orazio, rimase orfana all'età di 8 anni. La madre, Prudenzia di Ottaviano Montoni, lasciò altri cinque figli, accuditi proprio da Artemisia, che era la primogenita.
Mentre il padre lavorava la piccola si recava nel suo studio e, affascinata dai colori, imparò presto la tecnica pittorica e fu in grado, già nel 1610, di produrre la sua prima opera, probabilmente con l'aiuto dello stesso Orazio: Susanna e i vecchioni.



Artemisia Gentileschi. Susanna e i vecchioni (1610)


Il padre frequentava il Caravaggio, al quale si ispirava, ed Artemisia, pur non venendo in contatto diretto con il pittore, risentì di quest'influenza così importante nell'opera paterna.
L'episodio che segnò l'intera vita della pittrice fu lo stupro subito da parte di Agostino Tassi, un pittore al quale il padre l'aveva affidata affinché le insegnasse la tecnica della prospettiva, nella quale questi eccelleva.
Alla violenza seguì un lungo processo che vide la condanna del Tassi, che tuttavia non la scontò, e l'allontanamento di Artemisia da Roma, dove l'episodio era molto noto e dove non si lesinavano le critiche, anche feroci, alla ragazza, fatte circolare ad arte dagli amici del colpevole.



Artemisia Gentileschi. Giuditta e la sua ancella (1616-18)


Alla conclusione del processo Orazio aveva fatto sposare Artemisia ad un pittore di scarso talento, con il quale la ragazza si trasferì a Firenze. Nella città dei Medici, il talento di Artemisia venne riconosciuto ed apprezzato e, per diversi anni, poté dedicarsi al suo lavoro, venendo ammessa, prima donna, all' Accademia del disegno della città. Tuttavia, dopo alcuni anni, i debiti accumulati dal marito ed una mutata situazione presso la corte medicea suggerì ad Artemisia di tornare di nuovo a Roma, che questa volta l'accolse senza pregiudizi, riconoscendo il suo notevole valore artistico.
Fu quindi per un breve periodo a Venezia e forse a Genova, assieme al padre.
Nel 1630 si recò a Napoli, all'epoca vivacissimo centro culturale. Lì ebbe l'incarico di dipingere tre quadri per la cattedrale di Pozzuoli, ma dipinse anche diverse altre tele.



Artemisia Gentileschi.San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli (1636-37)


Finalmente la pittrice era riuscita a distaccarsi da quelli che erano stati i suoi soggetti preferiti, cioè le figure bibliche femminili, che evocavano, in qualche modo, lo sconvolgente episodio dello stupro, soprattutto per la crudezza delle immagini rese sulla tela e per il desiderio di vendetta che animava i personaggi rappresentati.
Per un periodo breve fu a Londra dove raggiunse il padre, divenuto pittore di corte. Tornata a Napoli nel 1642 vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1653.
Il riconoscimento del suo talento avvenne tardivamente grazie soprattutto alla lettura della sua opera da parte di Roberto Longhi.

Un'opera della Gentileschi, Venere e cupido (1640-50), proveniente da una collezione privata, è esposta nella mostra “Amanti. Passioni umane e divine”, che si è aperta in questi giorni ad Illegio (Tolmezzo /UD)


⇒ (click) Sito dedicato alla mostra di Illegio




Artemisia Gentileschi. Venere e Cupido (1640-50)



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