Artemisia Gentileschi. Autoritratto come martire (1615) |
Nata
a Roma, nel 1593, Artemisia, figlia del pittore Orazio, rimase orfana
all'età di 8 anni. La madre, Prudenzia di Ottaviano Montoni, lasciò
altri cinque figli, accuditi proprio da Artemisia, che era la
primogenita.
Mentre
il padre lavorava la piccola si recava nel suo studio e, affascinata
dai colori, imparò presto la tecnica pittorica e fu in grado, già
nel 1610, di produrre la sua prima opera, probabilmente con l'aiuto
dello stesso Orazio: Susanna e i vecchioni.
Artemisia Gentileschi. Susanna e i vecchioni (1610) |
Il
padre frequentava il Caravaggio, al quale si ispirava, ed Artemisia,
pur non venendo in contatto diretto con il pittore, risentì di
quest'influenza così importante nell'opera paterna.
L'episodio
che segnò l'intera vita della pittrice fu lo stupro subito da parte
di Agostino Tassi, un pittore al quale il padre l'aveva affidata
affinché le insegnasse la tecnica della prospettiva, nella quale
questi eccelleva.
Alla
violenza seguì un lungo processo che vide la condanna del Tassi, che
tuttavia non la scontò, e l'allontanamento di Artemisia da Roma,
dove l'episodio era molto noto e dove non si lesinavano le critiche,
anche feroci, alla ragazza, fatte circolare ad arte dagli amici del
colpevole.
Artemisia Gentileschi. Giuditta e la sua ancella (1616-18) |
Alla
conclusione del processo Orazio aveva fatto sposare Artemisia ad un
pittore di scarso talento, con il quale la ragazza si trasferì a
Firenze. Nella città dei Medici, il talento di Artemisia venne
riconosciuto ed apprezzato e, per diversi anni, poté dedicarsi al
suo lavoro, venendo ammessa, prima donna, all' Accademia del disegno
della città. Tuttavia, dopo alcuni anni, i debiti accumulati dal
marito ed una mutata situazione presso la corte medicea suggerì ad
Artemisia di tornare di nuovo a Roma, che questa volta l'accolse
senza pregiudizi, riconoscendo il suo notevole valore artistico.
Fu
quindi per un breve periodo a Venezia e forse a Genova, assieme al
padre.
Nel
1630 si recò a Napoli, all'epoca vivacissimo centro culturale. Lì
ebbe l'incarico di dipingere tre quadri per la cattedrale di Pozzuoli,
ma dipinse anche diverse altre tele.
Artemisia Gentileschi.San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli (1636-37) |
Finalmente
la pittrice era riuscita a distaccarsi da quelli che erano stati i
suoi soggetti preferiti, cioè le figure bibliche femminili, che
evocavano, in qualche modo, lo sconvolgente episodio dello stupro,
soprattutto per la crudezza delle immagini rese sulla tela e per il
desiderio di vendetta che animava i personaggi rappresentati.
Per
un periodo breve fu a Londra dove raggiunse il padre, divenuto
pittore di corte. Tornata a Napoli nel 1642 vi rimase fino alla
morte, avvenuta nel 1653.
Il
riconoscimento del suo talento avvenne tardivamente grazie
soprattutto alla lettura della sua opera da parte di Roberto Longhi.
Un'opera
della Gentileschi, Venere e cupido (1640-50), proveniente da una
collezione privata, è esposta nella mostra “Amanti. Passioni umane
e divine”, che si è aperta in questi giorni ad Illegio (Tolmezzo
/UD)
⇒ (click) Sito dedicato alla mostra di Illegio
Artemisia Gentileschi. Venere e Cupido (1640-50) |
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