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mercoledì 24 maggio 2017

Letture. Viviano Domenici "Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica"





Con questo bel libro, edito dal ilSaggiatore, Viviano Domenici, giornalista e scrittore, responsabile per molti anni delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, ci porta nella realtà degli zoo umani, molto di moda nel secolo XIX, ma in realtà mai superati, se si pensa all'odierno turismo etnico ed all'esibizione di sé cui sono costretti ancor oggi molti individui per il solo fatto di esistere e di vivere in un ambiente considerato selvaggio.
Il racconto di Domenici parte dalla considerazione di come l'uomo sappia essere orribile e crudele nei suoi atteggiamenti, e di come questa inclinazione abbia percorso i secoli, mietendo molte vittime lungo il suo cammino, vittime innocenti e spesso del tutto inconsapevoli del proprio destino, ma alle volte costrette dalla necessità ed in parte consenzienti ad assecondare i desideri di altri uomini che hanno sfruttato la loro ingenuità e lo stato di sottomissione cui li avevano ridotti.



L'imperatore Guglielmo II in visita al Tierpark  Hagenbeck (1909)


Così si percorre assieme all'autore una lunga galleria degli orrori, che ha per protagonisti 35.000-40.000 uomini, donne e bambini, esibiti ed umiliati dal 1870 al 1940, in diverse città europee ed americane, spesso, paradossalmente, proprio nelle Esposizioni universali, dove si celebrava l'avanzamento della civiltà. In quelle occasioni si voleva sottolineare la differenza tra i nuovi modelli di vita e quelli ritenuti ormai superati, retrogradi e pertanto degni soltanto di venir indicati come pietra di paragone, come il gradino più basso di una scala che l'uomo moderno aveva ormai salito quasi interamente, raggiungendo una posizione di cui compiacersi. Allora si potevano considerare i diversi poco più che animali, la cui lingua non poteva che essere composta da suoni gutturali ed incomprensibili ed i cui sentimenti non venivano nemmeno presi in considerazione, poiché ritenuti quasi assenti in esseri così “arretrati”.
In molte di queste esibizioni esseri umani erano costretti a convivere nelle gabbie con animali, in “villaggi” del tutto inverosimili, costruiti nell'intento di “ricreare” quelle che erano o meglio che l'uomo occidentale riteneva dovessero essere le condizioni di vita delle persone che venivano esposte alla curiosità dei visitatori. Il fine ultimo era quello di convincere l'opinione pubblica della bontà delle politiche espansionistiche e di colonizzazione, e questo soprattutto quando, già nel XX secolo, si esponevano individui che, avendo avuto un lungo contatto con i missionari, sembravano un po' meno “selvaggi”, e potevano così testimoniare dell'efficacia del contatto col mondo civilizzato e con la religione. Purtroppo però queste persone comprendevano piuttosto bene la tragica situazione in cui venivano a trovarsi e non furono affatto rari epiloghi tragici. Molti di questi individui, non abituati al contatto con altri esseri umani al di fuori della loro tribù d'origine, si ammalavano gravemente e morivano, contagiati da virus che ormai per l'uomo occidentale non rappresentavano alcun pericolo, altri erano vinti dalla nostalgia e dalla tristezza ed alcuni, comprendendo che la loro terra era ormai lontana ed irraggiungibile, finivano per togliersi la vita.



Giardino Zoologico di Acclimatazione (Parigi). Esibizione di Ottentotti


Domenici ci parla delle Esposizioni, degli spettacoli organizzati per mettere in mostra individui dalle fattezze e dalle abitudini diverse, si trattasse di nativi sud americani, di africani, di eschimesi, tutti trascinati a recitare un ruolo che, a dispetto di quanto era fatto credere al pubblico pagante, non era affatto autentico. Alcuni compresero e decisero di recitare a pagamento il copione scritto per loro da veri e propri impresari senza scrupoli, ai quali interessava solo l'incasso finale, altri, e furono i più, subirono semplicemente l'umiliazione.



Giardino Zoologico di Acclimatazione (Parigi). Esibizione di Ashanti


Ma ciò che stupisce e su cui occorre riflettere è che questo tipo di esibizione, da un certo punto in poi, si è trasferito nelle terre di origine di queste persone, mediante il cosiddetto turismo etnico. Oggi gruppi di turisti privi di scrupoli e soprattutto di cultura, pagano cifre considerevoli per andare ad osservare (e fotografare) popolazioni che vivono in piccole aree ancora incontaminate del mondo, secondo le loro antiche usanze e le loro regole. Alcune di queste popolazioni, ormai ridotte di numero, sono classificate come incontattate ed ogni violazione del loro territorio è, di fatto, un crimine molto grave, in quanto i visitatori possono portar loro malattie che non sono in grado di superare.



Donna giraffa di origine birmana, spesso oggetto di curiosità da parte di turisti


Alcuni esempi, nella seconda parte del volume, fanno comprendere come questo tipo di viaggio sia molto diffuso, in diverse parti del mondo, dove le popolazioni indigene, custodi di quanto ci resta del nostro mondo naturale, vengono attaccate da un lato dalle multinazionali che intendono sfruttare quel che resta della natura incontaminata e delle ricchezze della terra, dall'altro dall'industria turistica che tende a livellare tutto e ad uniformare ogni cosa alle esigenze di un pubblico incolto e superficiale.
Queste popolazioni però sono gli ultimi custodi di un mondo che ci ha generati e nutriti e che ormai sta sparendo.



Viviano Domenici, Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica, Il Saggiatore 2015.

⇒Per approfondire l'argomento degli zoo umani: 

Guido Abbattista, Umanità in mostra - esposizioni etniche e invenzioni esotiche in Italia (1880-1940), Ed. Università di Trieste, Trieste 2014


⇒ (click) Un caso particolare: Una bambina pigmea nella Trieste dell'Ottocento


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