Con questo bel libro, edito dal ilSaggiatore, Viviano Domenici, giornalista e scrittore, responsabile per molti anni delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, ci porta nella realtà degli zoo umani, molto di moda nel secolo XIX, ma in realtà mai superati, se si pensa all'odierno turismo etnico ed all'esibizione di sé cui sono costretti ancor oggi molti individui per il solo fatto di esistere e di vivere in un ambiente considerato selvaggio.
Il
racconto di Domenici parte dalla considerazione di come l'uomo sappia
essere orribile e crudele nei suoi atteggiamenti, e di come questa
inclinazione abbia percorso i secoli, mietendo molte vittime lungo il
suo cammino, vittime innocenti e spesso del tutto inconsapevoli del
proprio destino, ma alle volte costrette dalla necessità ed in parte
consenzienti ad assecondare i desideri di altri uomini che hanno
sfruttato la loro ingenuità e lo stato di sottomissione cui li
avevano ridotti.
L'imperatore Guglielmo II in visita al Tierpark Hagenbeck (1909) |
Così
si percorre assieme all'autore una lunga galleria degli orrori, che
ha per protagonisti 35.000-40.000 uomini, donne e bambini, esibiti ed
umiliati dal 1870 al 1940, in diverse città europee ed americane,
spesso, paradossalmente, proprio nelle Esposizioni universali, dove
si celebrava l'avanzamento della civiltà. In quelle occasioni si
voleva sottolineare la differenza tra i nuovi modelli di vita e
quelli ritenuti ormai superati, retrogradi e pertanto degni soltanto
di venir indicati come pietra di paragone, come il gradino più basso
di una scala che l'uomo moderno aveva ormai salito quasi interamente,
raggiungendo una posizione di cui compiacersi. Allora si potevano
considerare i diversi poco più che animali, la cui lingua non poteva
che essere composta da suoni gutturali ed incomprensibili ed i cui
sentimenti non venivano nemmeno presi in considerazione, poiché
ritenuti quasi assenti in esseri così “arretrati”.
In
molte di queste esibizioni esseri umani erano costretti a convivere
nelle gabbie con animali, in “villaggi” del tutto inverosimili,
costruiti nell'intento di “ricreare” quelle che erano o meglio
che l'uomo occidentale riteneva dovessero essere le condizioni di
vita delle persone che venivano esposte alla curiosità dei
visitatori. Il fine ultimo era quello di convincere l'opinione
pubblica della bontà delle politiche espansionistiche e di
colonizzazione, e questo soprattutto quando, già nel XX secolo, si
esponevano individui che, avendo avuto un lungo contatto con i
missionari, sembravano un po' meno “selvaggi”, e potevano così
testimoniare dell'efficacia del contatto col mondo civilizzato e con
la religione. Purtroppo però queste persone comprendevano piuttosto
bene la tragica situazione in cui venivano a trovarsi e non furono
affatto rari epiloghi tragici. Molti di questi individui, non
abituati al contatto con altri esseri umani al di fuori della loro
tribù d'origine, si ammalavano gravemente e morivano, contagiati da
virus che ormai per l'uomo occidentale non rappresentavano alcun
pericolo, altri erano vinti dalla nostalgia e dalla tristezza ed
alcuni, comprendendo che la loro terra era ormai lontana ed
irraggiungibile, finivano per togliersi la vita.
Giardino Zoologico di Acclimatazione (Parigi). Esibizione di Ottentotti |
Domenici
ci parla delle Esposizioni, degli spettacoli organizzati per mettere
in mostra individui dalle fattezze e dalle abitudini diverse, si
trattasse di nativi sud americani, di africani, di eschimesi, tutti
trascinati a recitare un ruolo che, a dispetto di quanto era fatto
credere al pubblico pagante, non era affatto autentico. Alcuni
compresero e decisero di recitare a pagamento il copione scritto per
loro da veri e propri impresari senza scrupoli, ai quali interessava
solo l'incasso finale, altri, e furono i più, subirono semplicemente
l'umiliazione.
Giardino Zoologico di Acclimatazione (Parigi). Esibizione di Ashanti |
Ma
ciò che stupisce e su cui occorre riflettere è che questo tipo di
esibizione, da un certo punto in poi, si è trasferito nelle terre di
origine di queste persone, mediante il cosiddetto turismo etnico.
Oggi gruppi di turisti privi di scrupoli e soprattutto di cultura,
pagano cifre considerevoli per andare ad osservare (e fotografare)
popolazioni che vivono in piccole aree ancora incontaminate del
mondo, secondo le loro antiche usanze e le loro regole. Alcune di
queste popolazioni, ormai ridotte di numero, sono classificate come
incontattate ed ogni violazione del loro territorio è, di fatto, un
crimine molto grave, in quanto i visitatori possono portar loro
malattie che non sono in grado di superare.
Donna giraffa di origine birmana, spesso oggetto di curiosità da parte di turisti |
Alcuni
esempi, nella seconda parte del volume, fanno comprendere come questo
tipo di viaggio sia molto diffuso, in diverse parti del mondo, dove
le popolazioni indigene, custodi di quanto ci resta del nostro mondo
naturale, vengono attaccate da un lato dalle multinazionali che
intendono sfruttare quel che resta della natura incontaminata e delle
ricchezze della terra, dall'altro dall'industria turistica che tende
a livellare tutto e ad uniformare ogni cosa alle esigenze di un
pubblico incolto e superficiale.
Queste
popolazioni però sono gli ultimi custodi di un mondo che ci ha
generati e nutriti e che ormai sta sparendo.
Viviano Domenici, Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica, Il Saggiatore 2015.
⇒Per approfondire l'argomento degli zoo umani:
Guido Abbattista, Umanità in mostra - esposizioni etniche e invenzioni esotiche in Italia (1880-1940), Ed. Università di Trieste, Trieste 2014
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