Annibale |
Dagli antefatti della guerra combattuta prima che i due scendessero in campo, all'arrivo di Annibale in Italia, alla fondamentale battaglia del Trasimeno (217 a.C.), in cui i romani subirono una cocente sconfitta da quel tattico straordinario che si era rivelato essere il giovane generale cartaginese, si giunge alla maturità di Scipione, che perduti il padre e lo zio in Spagna, sarà destinato a coglierne l'eredità sui campi di battaglia, come Annibale aveva raccolto quella del padre Amilcare.
Da sempre nemici quindi, e da sempre desiderosi di incontrarsi e di conoscersi, i due generali hanno molto in comune, anche se Annibale, di carattere più crudele ed infido, è in definitiva il migliore in guerra e, secondo l'autore, proprio nella battaglia perduta di Zama compie il suo capolavoro.
Henri Motte (1878) Annibale passa il Rodano |
Il merito di Scipione, che coglie i suoi primi, importanti, successi vincendo i cartaginesi in Spagna e sottraendo loro Cartagena, portando in patria un bottino di guerra non trascurabile che, tra l'altro, servirà a rimpinguare le scarse risorse rimaste a Roma dopo anni di guerre, è quello di aver studiato attentamente la tattica di Annibale e di aver adeguato le legioni romane, impostandole non più su uno schema rigido, ma rendendole mobili ed adattabili alle mosse del nemico.
Erano passati sette anni dal Trasimeno e sei da Canne, quando Scipione ottenne le prime vittorie in Spagna, mentre anche in Italia i cartaginesi avevano perso il controllo delle città di Capua e Siracusa. Era, di fatto, l'inizio della riscossa che vide man mano Roma prevalere sui nemici, fino a quando Annibale lasciò l'Italia per tornare in Africa, a soccorrere la stessa Cartagine, minacciata dall'esercito romano, guidato proprio da Scipione.
Alla fine i due si affronteranno nella battaglia di Zama, in cui solo il caso, ma anche questo fa parte della storia, farà vincere Scipione, costringendo Annibale ad un ruolo secondario e condannandolo quindi all'esilio, che avrà fine soltanto con la sua morte, avvenuta per suicidio.
Heinrich Leutermann. Annibale nella battaglia di Canne |
E se gli anni passati lontano dalla patria furono dedicati da Annibale alla ricerca di un riscatto e di una nuova occasione di scontro con Roma, misura, in qualche modo, del suo carattere indomito, il vincitore, Scipione, continuò a cercare il confronto con il cartaginese, anch'egli a sua volta sconfitto, ma dai suoi stessi concittadini, da un lato gelosi dei suoi successi , dall'altro preoccupati dal fatto che egli avesse osato rivendicare per sé stesso il riconoscimento di un aspetto quasi divino della sua persona. S'era ancora in epoca repubblicana ed il senato, trascinato da Catone, era poco disposto ad accettare simili atteggiamenti e, appigliandosi su alcuni episodi poco chiari avvenuti nel corso della sua carriera, riuscì ad emarginarlo, costringendolo a ritirarsi a vita privata.
Una nuova occasione per entrambi fu la guerra condotta contro Roma da Antioco III, presso la corte del quale era riparato Annibale. La sconfitta del re siriano però, era destinata a travolgerli nuovamente, e mentre per Annibale il destino aveva in serbo il definitivo declino ed il suicidio, Scipione, che aveva seguito il fratello Lucio in Grecia, fu accusato di aver dettato ad Antioco condizioni di pace troppo blande, per ottenere la liberazione del figlio, fatto prigioniero, e di aver accumulato ricchezze, non dichiarandole come bottino di guerra. Sdegnato da entrambe le affermazioni, la prima delle quali era senz'altro falsa, Scipione si ritirò definitivamente nella sua semplice casa di Literno dove morì di malattia, a 52 anni, nello stesso periodo in cui moriva anche Annibale.
La storia dell'epoca perdeva quindi, quasi contemporaneamnte, due dei suoi più significativi protagonisti. Entrambi avevano giocato un ruolo fondamentale nel destino dei rispettivi paesi ed entrambi ne avevano subito le conseguenze, essendo stati abbattuti non dal nemico, ma dalle invidie e dai rancori suscitati in patria.
Auguste Giraudon. Antioco III |
Nicolas Poussin. La clemenza di Scipione (1640) |
Entrambi erano stati infine uomini soli, proprio per le loro capacità che li collocavano fuori dal comune sentire, e superiori a coloro che avrebbero dovuto essere loro pari e che non si erano rassegnati ad accettarne il ruolo dominante.
Giovanni Brizzi costruisce una narrazione delle vicende, "riempiendo" alcune lacune storiche, per rendere il racconto più fluido ma alla fine, quando si passa all'approfondimento ed alle note bibliografiche, ci si rende conto di quale e quanto lavoro ci sia dietro a questa "invenzione", e quanta esperienza sia necessaria per poter scrivere un libro come questo. Praticamente non c'è nulla di non verificato ed ogni parte aggiunta alla storia documentata è resa plausibile dalla verifica delle fonti e degli studi storici.
Particolarmente interessante risulta poi l'accurata ricostruzione delle battaglie, di cui l'autore è uno specialista, nonché della società romana dell'epoca, in bilico tra l'epoca repubblicana ed i sentori di un'evoluzione diversa, avversata da qualcuno ma ormai evidente anche in alcuni aspetti culturali che la caratterizzano, come l'accettazione dei modelli ellenistici, che pian piano vengono assunti e diffusi all'interno delle classi sociali più abbienti, per non parlare degli aspetti cultuali che la cultura greca porta con sé e dei quali si trova traccia nel periodo in questione.
Brizzi, a mio avviso, ha il merito di mettere in evidenza questi elementi rendendo particolarmente interessante il suo racconto e centrando appieno l'obiettivo di renderlo anche piacevole.
Il libro, benché uscito qualche anno fa, è stato presentato alla 28a Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto, lo scorso ottobre, in cui Giovanni Brizzi è stato presente in quanto coautore del bel film sulla battaglia del Trasimeno.
Giovanni Brizzi, Scipione e Annibale. La guerra per salvare Roma, Laterza 2009 (anche in Amazon e scaricabile in formato Kindle)