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Londra. National Gallery. W. Shakespeare. Ritratto di Chandos. |
Il 23 aprile è un giorno poco fortunato per la letteratura, muoiono infatti, nel 1616, sia William Shakespeare, che Miguel de Cervantes, i due più grandi autori vissuti a cavallo dei due secoli XVI e XVII. A dire il vero la data del 23 aprile per la morte di Shakespeare, è calcolata secondo il calendario giuliano, allora in uso in Inghilterra, corrispondente al 3 maggio del calendario gregoriano. Comunque una curiosa coincidenza, che vede spegnersi due menti così acute, entrambi osservatori attenti della società contemporanea, che rappresentano nelle loro opere facendo della commedia il veicolo privilegiato di una critica che ancor oggi non ha perduto di attualità. Per Shakespeare una coincidenza in più: era nato infatti il 23 aprile, del 1564; anche qui però occorre fare una precisazione, poiché non conoscendo la data esatta della nascita ma quella del 26 aprile per il battesimo, si è adottata quella del 23 come data supposta (ed ancor oggi dibattuta).
Per ricordare queste due immense figure riporto qui due brevissimi brani tratti da due opere che mi sembrano assai significative. Quella di Shakespeare non è tra le più conosciute e rappresentate, si tratta infatti del Riccardo II. Vi si parla di esilio e di lontananza, e quella riportata è una piccola parte del dialogo tra Giovanni di Gaunt, duca di Lancaster, zio del re Riccardo Ii ed il figlio Enrico detto Bolingbroke, duca di Hereford, condannato all'esilio, che poi diventerà re con il nome di Enrico IV.
Gaunt, si rivolge al figlio ribaltando, come in un gioco di specchi, la realtà della forzata lontananza e dell'abbandono:
"Tutti i luoghi visitati dalla luce del cielo sono porti e rade felici per l'uomo saggio. Impara dalla necessità a ragionare così: che la più gran virtù è la necessità. Non pensare che il re ti abbia esiliato, ma che tu hai esiliato il re. Il dolore pesa di più là dove trova più debole resistenza. Va'! dì a te stesso che ti ho mandato io ad acquistarti gloria, e non che ti manda in esilio il re...".
(da W. Shakespeare, Riccardo II, atto primo, terza scena)
Real Academia de la Historia. Ritratto di Miguel de Cervantes y Saavedra |
Per quanto riguarda Cervantes, il brano è tratto dal Don Chisciotte ma non è neppure questo uno dei più conosciuti. Si tratta del dialogo tra il protagonista, Sancio Panza ed il bacelliere Sansone Carrasco, che a Salamanca, dove ha studiato, è venuto a conoscenza del libro Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancia, pubblicato, a quanto sembra, da un moro. La questione verte sulle bastonate prese da don Chisciotte (e da Sancio Panza), descritte nel libro in questione che, secondo alcuni lettori, ed anche secondo il protagonista, si sarebbero potute tralasciare:
"Avrebbero anche potuto tacerle per equità - disse don Chisciotte -, perché i fatti che non mutano né modificano la verità della storia, non c'è ragione di scriverli, se devono tornare a discredito del protagonista della storia. E invero non fu così pietoso Enea come Virgilio ce lo dipinge, né Ulisse così prudente come lo descrive Omero.
E' così - replicò Sansone -; ma una cosa è scrivere da poeta e un'altra scrivere da storico; il poeta può raccontare o cantare le cose non come furono, ma come dovevano essere; e lo storico deve scriverle, non come dovevano essere, ma come furono, senza togliere o aggiungere nulla alla verità".
(da Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, parte seconda, cap. III)
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