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mercoledì 22 marzo 2017

Albert Robin ed il suo viaggio in Istria / Albert Robin and his journey in Istria


Introduzione


Parecchi anni fa mi sono trovata per caso davanti a due relazioni di viaggio, pubblicate dove non avrei mai pensato avrebbero potuto trovar posto, cioè nelle Memorie dell'Accademia di Scienze, arti e lettere di Digione. I due testi parlavano dell'Istria e della Dalmazia e di un viaggio sorprendente effettuato da un medico francese a bordo di un'imbarcazione magnifica. Ho tradotto queste due relazioni e, per molto tempo, le ho tenute nel cassetto. Però credo non meritino di restarvi più a lungo. 



Lo yacht Namouna

Quello che segue è il racconto di un viaggio particolare, un percorso breve, effettuato nel 1896 dal medico e letterato francese Albert Robin, assieme ad altri invitati, a bordo dello splendido Yacht Namouna, di proprietà del ricco e stravagante James Gordon Bennett, uomo d'affari americano, editore del New York Herald.
L'imbarcazione era allora tra le più lussuose in circolazione, ed era dotata di tutti i comfort, come si deduce anche dai racconti dello stesso Robin. Gli interni erano arredati con gusto e vi erano esposte le opere di alcuni artisti amici del proprietario. Una crociera di lusso, insomma, che concedeva agli invitati, accuratamente scelti, di godere di ampi spazi e di trascorrere piacevoli giornate a bordo.


A bordo dello yacht Namouna


Ma chi era Albert Robin e come arrivò a trovarsi tra gli esclusivi ospiti a bordo del Namouna?


Albert Robin era nato a Digione, nel 1847 e fu un medico notissimo in Francia per le sue rivoluzionarie teorie sulla causa, la cura e soprattutto la prevenzione delle malattie, che guardavano alle cause dei disordini patologici. All’epoca la questione non era affatto scontata in considerazione del fatto che la medicina tradizionale si rivolgeva soprattutto alla cura dei sintomi della malattia. Pubblicò moltissimo e fu molto seguito. Di grande importanza gli studi sugli effetti terapeutici delle acque idro minerali e sull’incidenza dei mutamenti climatici sulle turbe nutritive, causa queste ultime di molte patologie. Fondò l’Istituto francese d’Idrologia e di Climatologia. Ottenne l’introduzione, presso la facoltà di medicina dell’Università di Tolosa, della cattedra di Idrologia e Climatologia.
Si dedicò con passione anche al settore della medicina sociale.
Prima di laurearsi in medicina prese parte, benché esonerato dal servizio militare, alla guerra tra la Francia e la Germania, scoppiata nel 1870, ed in quell’occasione rivelò una forte personalità ed un carattere tutt’altro che mansueto: fatto prigioniero dai Tedeschi fu protagonista di una rocambolesca evasione e, recatosi a Verdun, mise a disposizione dell’esercito le conoscenze acquisite nel campo della chimica, per la fabbricazione di esplosivi di nuova concezione. Dopo la sconfitta subita dai Francesi, scappò in Belgio e raggiunse da lì l’armata della Loira.
Uomo coltissimo, non soltanto in campo scientifico, amava le lettere e le arti.
Appassionato, in particolar modo, di letteratura contemporanea, fu apprezzato corrispondente del New-York Herald come critico letterario. Divenne amico del proprietario, James Gordon Bennett, che seguì per due anni di seguito nelle crociere in Istria e Dalmazia, a bordo del famoso yacht Namouna, all'epoca una delle più belle e confortevoli imbarcazioni di quel tipo. Di questi due brevi viaggi redasse due interessanti relazioni pubblicate nelle “Mémoires de l’Académie des Sciences, Arts et Belles-Lettres de Dijon”.
Frequentava a Parigi i salotti letterari e diversi artisti tra i quali Édouard Manet (1832-1883). Una testimonianza di Georges Jeanniot (1848-1934), pittore ed illustratore, anch’egli amico di Manet, ne segnala la presenza mentre l’artista, ormai molto malato, dipingeva il notissimo “Un bar aux Folies Bergère”, nel 1882. 


Edouard Manet. Un bar aux Folies Bergère


Albert Robin era tra i presenti e Jeanniot lo nomina poiché era legato a lui da un’amicizia pluriennale.
Fu membro dell’Académie des sciences, arts et belles-lettres di Digione dal 1886, ed al Museo di Belle Arti della città lasciò un quadro di Éduard Manet. L’opera, di piccole dimensioni, raffigura la casa del pittore.


 “Mémoires de l’Acedémie de Dijon”, IV serie, V (1896), pp. 1-23 (francese / french)


Relazione del primo viaggio effettuato sul Namouna nel 1896. 

(Traduzione dal francese: Daniela Durissini)




CINQUE GIORNI DI CROCIERA IN ISTRIA1(1896)



26 Agosto - Cominciando a sentirci stanchi di Venezia, dei suoi odori, del suo caldo umido, sentendoci spossati in questo clima deprimente, decidiamo di partire e di andare a visitare l'antica Aquileia, Aquileja, nella parte alta del golfo di Venezia, sulla frontiera del territorio triestino e dell'Italia.
Leviamo l'ancora a mezzogiorno e mezza, durante il pranzo, con una calura di 30 gradi ed un sole implacabile. Uscita dal Lido, dove è stata appena costruita una diga di circa due chilometri. Il passaggio ha sei metri di profondità e tutte le navi, tranne le grandi corazzate, possono transitarvi.
Mare assolutamente piatto, neanche un filo d'aria. Alle cinque arriviamo a Grado, che appare da lontano come una linea bianca brillante, che limita il blu del mare. Questa linea è sormontata da un campanile ottagonale. A destra, un ammasso rossastro rappresenta lo stabilimento balneare.
Bisogna gettare l'ancora a due chilometri, in mare aperto, e poi raggiungere Grado con una steam-launch 2. Ma non si può seguire una linea retta a causa di un grande banco di sabbia che s'allunga davanti alla città. Si naviga (p. 6) lungo una linea di pali che portano verso la parte ovest di Grado, ad un canale abbastanza profondo, che avvicina la città dalla parte posteriore. Grado si trova su un'isola che forma essa stessa il centro di un grande banco di sabbia, solcato da molteplici aperture attraverso le quali si penetra in una laguna dello stesso tipo di quella veneziana.
Il porto di Grado è stretto, piccolo, in acqua poco profonda. Il canale che vi conduce corre al fianco di una fabbrica di sardine, la sola industria del paese, che non ospita altro che pescatori e la cui popolazione è molto povera. Da quando il comune ha fatto costruire uno stabilimento balneare, alcuni (p. 7) stranieri vengono, durante la bella stagione, ad animare un po' quest'angolo sperduto del mare d'Istria; ma sono per la maggior parte persone povere, quelle che prendono posto a buon mercato nell'uno o nell'altro albergo della città e non devono certo contribuire ad arricchirla. I bagni d'altronde sono ben costruiti; la spiaggia è bella per quanto priva di fondale, se non a grande distanza, da cui la sua utilità per i bambini e le persone che non sanno nuotare.
La città è insignificante, senza monumenti, quasi senza ricordi. Qualche vecchia casa di scarso interesse, una popolazione mediocre, senza una marcata caratteristica. Non abbiamo visto che un solo volto di donna grazioso, alla finestra di un'osteria.
Essendo domenica i caffè sono pieni di gente che canta, o meglio, che grida da spaccare i timpani; il resto della popolazione si è ammassata al porto e guarda la nostra launch.3
Tornando a bordo, ho visto ancora quel fenomeno che mi aveva tanto colpito a Ragusa: un sole morto, che calava nel mare lanciando nell'infinito immensi raggi d'oro, separati da solchi d'un blu molto pallido. La linea dell'orizzonte violaceo ed il mare, tutto d'oro, come un immenso crogiolo dove sembrava fondere un metallo del color dell'arancio.
A bordo, cena silenziosa, sotto una cappa di calore di 30 gradi, senza un soffio di vento. Verso le otto, abbiamo subito l'invasione di un nugolo di piccole cavallette verdi, attirate dalla luce elettrica. Questo sciame, proveniente dalla laguna, ha superato i due chilometri che ci separano dalla terraferma. (p. 8)
27 agosto - La notte è stata così calda che non son potuto restare nella cabina. Sul ponte nemmeno un soffio d'aria. Alle sette partiamo per visitare Aquileia. Andiamo dapprima a Grado, a cercare il capitano del porto che deve accompagnarci, poichè non ci si può arrischiare, senza pilota, in questa laguna.
Si può andare ad Aquileia in due modi: la strada classica, quella che ci avevano indicata a Venezia, consiste nel partire da Grado, raggiungere Belvedere in canotto, poi farsi condurre a destinazione in vettura. Quello che seguiamo noi è migliore: lasciando Grado, ritorniamo sui nostri passi seguendo la linea di pali. A circa 600 metri dal canale si scorgono due pali sulla destra. É là che occorre girare, puntando la prua verso un campanile che comanda una delle entrate della laguna: San Pietro d'Orio. Passato il campanile, si è in piena laguna; occorre seguire allora i rari pali che indicano la strada tra gli isolotti appena coperti da boscaglia, dove non si vedono che dei capanni di pescatori, e raggiungere Ponigai4, un ammasso di case (p. 9) sull'estremità di uno degli isolotti più importanti della laguna. Sulla destra di Ponigai, comincia un canale perfettamente dragato, poco tortuoso, che conduce direttamente ad Aquileia. Insomma, da Grado, un'ora di cammino con la marea contraria; con il mare favorevole, siamo arrivati in 40 minuti con lo yacht.
Si approda ad Aquileia in una sorta di stagno, che dà sulla grande spianata; alcune vecchie case, dalle finestre rinascimentali, una grande costruzione con delle brutte arcate, ma più lontano la cattedrale, veramente rimarchevole. Essa è composta da numerose parti: a sinistra, un tempio pagano (p. 10) che potrebbe senz’altro essere stato costruito al tempo di Marco Aurelio; molto ben conservato, con dei resti di pitture murali antiche, che si dovrebbero assolutamente fotografare.
La cattedrale propriamente detta è un edificio immenso, situato a destra, fiancheggiato lateralmente da due colonne di granito inviate da Tiberio. Questa enorme massa, in questo villaggio di 500 abitanti, mi ha offerto un'immagine sbiadita di Vézelay.
Quando si pensa che questo villaggio ha meritato il nome di seconda Roma, che è stato il baluardo dell'Italia del passato, che il suo patriarca ha sostenuto contro Venezia delle guerre che non sono state prive di gloria, si rimane interdetti da questa decadenza e da questa rovina.
L'imperatore Massimino venne a morire qui, e la città contava 100.000 abitanti quando Attila la distrusse nel 452. Era tuttavia un centro così importante che recuperò una certa prosperità e fu la sede di quattro concili, l'ultimo dei quali nel 1184.
La cattedrale è costituita da un'immensa navata rettangolare, con dei marmi preziosi e dei particolari molto curati. La piccola balaustra d'agata che precede il coro è un vero capolavoro. Alla sua destra una porta dà accesso ad una cripta, interamente decorata con affreschi del V secolo, che non sono stati ancora fotografati, ma che sono di una religiosità toccante nella loro semplicità e nel loro realismo. Nel mezzo della cripta, una gabbia di ferro contenente delle grandi casse coperte da un velluto consumato: il tesoro della chiesa...Povero tesoro!
Da vedere ancora una cappella laterale a destra, contenente le tombe in marmo rosso di San Raimondo, patrono della chiesa, e della sua famiglia. (p. 11)
Sulla sinistra della cattedrale, il campanile, una massa enorme, che ricorda quello di San Marco. Tutto attorno degli scavi, poichè si scava tutto il paese. In evidenza dei larghi basamenti, che sostengono ciò che resta dei pilastri dell'antica chiesa, uno splendido mosaico proveniente da un tempio di Giove, ecc..
Tutti gli oggetti rinvenuti vengono portati al museo, situato a 200 metri dalla chiesa, sulla strada del villaggio, al centro di un grande giardino. Il museo è molto ricco; tutto ciò che vi si trova attesta la passata grandezza di Aquileia. Il piano terra è dedicato alla scultura ed ai resti dei monumenti; al primo piano vi sono gli armadi con le armi, i gioielli, i vetri, le terrecotte, ecc..
Vi ho passato due ore indimenticabili, davanti a queste statue, a questi sarcofaghi aperti, a queste stele, dove rimane ancora una sorta di vestigia delle glorie dimenticate! Quella, eretta alla memoria di un soldato valente...! Che miseria la gloria e come questo passato parla per dire quanto tutto sia vano!
Nell'ultima sala, accanto agli altri busti, una testa di donna, senza neppure un numero di catalogo. Il naso è stato rotto, le labbra consumate dal tempo, ma il marmo ha conservato una patina quasi viva; gli occhi senza pupille, volti verso l'alto (p.12) sembrano scorgere ancora l'estasi; i capelli, in bande ondulate, inquadrano misticamente il viso, un viso così bello, così puro, al di sopra delle labbra tormentate, che si direbbero consumate da baci inconsapevoli, mentre la parte superiore del viso s'illumina d'una trasfigurazione celeste.
Ed io ho pensato alla vita di questa giovane donna, al dramma d'amore che forse s'era svolto, nella sua vita terrena.
Ella doveva aver vissuto il suo sogno, riflesso dai suoi occhi, ed essere morta vergine nella sua anima, con il segreto d'un altro amore mai svelato, il mistero del quale si scopre tutto ad un tratto, dopo diciotto secoli...
La stele narrava la vanità della gloria, ed ecco che questa testa mutila sembra cantare l'eternità dell'amore!
In questa stessa sala ho notato ancora una statua rotta, mancante di un braccio e di una gamba. É una Venere, che ricorda quella dei Medici, ma il busto ha una vitalità che manca a quella. Questa non è Venere, è una donna in carne ed ossa, deificata dallo scalpello di un artista innamorato.
Per approfittare al massimo della visita a questo museo, occorre avere a portata di mano un'eccellente guida, redatta dal conservatore. Quando siamo arrivati, questi era assente; avevamo una lettera di presentazione per lui, del luogotenente di vascello Foscari, che ci aveva raccontato meraviglie della sua scienza.
Lasciando il museo, ritorniamo al porto, dove incontro il medico del paese, che parla abbastanza bene francese, e che ci propone di farci visitare i dintorni. Ma ci sono 35 gradi all'ombra e la (p. 13) presunta frescura del mare ci attira. Al momento della partenza arriva un piccolo steamer 5, che fa ogni giorno il servizio da Grado ad Aquileia, preziosissimo per i turisti.
Ritorno a bordo per il pranzo. Non bisogna fermarsi troppo in questa laguna. Se Grado sembra sana, Aquileia sembra nelle migliori condizioni per lo sviluppo del paludismo. Il medico mi ha appena detto che la febbre intermittente è frequente e che lui stesso ne ha avuti numerosi attacchi.
La popolazione non è bella: in questo sole, questi grandi spazi, tutte le persone hanno un aspetto anemico. Non un tratto caratteristico, ma un aspetto di degenerazione della razza.
Per tutta la giornata, ci resta come un malessere, una febbre latente, sonnolenza.
Dopo pranzo, si leva l'ancora e ... in viaggio per Trieste. Si giunge a Trieste in un'ora e mezza, lasciando sulla sinistra Miramar, la cui macchia bianca sottolinea la montagna, che sembra bagnarsi nel mare. Ho l'impressione di una grande costruzione piena di tristezza, calcinata dal sole.
Ci sciogliamo per il caldo, nella rada, e scendiamo a terra. Una città di fuoco, dove il sole si riflette sulle lastre di pietra delle strade; degli odori innominabili; molte aspettative quando si vede dal porto lo sviluppo immenso della città, ai piedi delle montagne del Carso, con delle colline coperte di case, e poi, quando si entra, la delusione è altrettanto grande.
Allora fuggiamo, un interprete ci dice "andate al Fontana, poi all'Excelsior". Sono dei bagni p. 14) l'uno a destra, l'altro a sinistra della città. É sufficiente gettare uno sguardo per perdere per sempre la voglia di entrare. Ma dove sono dunque i Triestini? Al Boschetto, al giardino pubblico e al Corso, una grande strada dove passano i tramways, a partire dalle otto della sera. Alle nove, ritorniamo a terra, ma il Corso è vuoto e quasi buio. Perciò, per paura di fare il viaggio fino al Boschetto, per trovare la stessa solitudine, ci fermiamo da Steinfeld, un caffè del Corso, dove almeno beviamo un'eccellente birra di Graz. Ed alle 10 raggiungiamo nuovamente lo yacht, con una notte stellata e 27 gradi. C'è da chiedersi come, in una notte così, si possa dormire nelle cabine.
28 agosto - Una bruma leggera come una garza, avvolge Trieste. Ci sono 29 gradi alle 7 del mattino; alle dieci andiamo al telegrafo ed a fare un'ultima passeggiata nella città, che è veramente d’una rara banalità. All'una, durante il pranzo, si leva l'ancora; vediamo in lontananza Capo d'Istria, la Justinopolis dei Romani, costruita su un'isola che una diga congiunge alla terraferma, poi Semedella, Isola e Pirano.
Pirano, dove stiamo per fermarci, è sita all'estremità di una baia che porta il suo nome. La città è dominata da una collina, circondata da alte mura merlate, con delle porte immense, di grande effetto.
Una strada che segue la costa conduce in mezz'ora alle saline di Porto Rose, proprio sul fondo della baia, dove un pontile permette alle imbarcazioni di piccolo tonnellaggio d'imbarcare delle merci.
Vi é stato appena costruito uno stabilimento (p. 15) balneare, molto ben attrezzato, per utilizzare le acque madri, che vengono somministrate pure o miscelate con l'acqua del mare. Ecco la composizione di queste acque madri:
Cloruro di magnesio 16.485
Magnesio basico 0.073
Bromuro di magnesio 0.260
Carbonato di magnesio 0.074
Solfato di magnesio 5.181
Cloruro di sodio 4.567
Cloruro di potassio 2.019
A Porto Rose si possono curare le stesse malattie che si curano in Francia, con le acque di composizione analoga; ma vi vedo un'indicazione per gli ammalati molto eccitabili, poichè il clima è particolarmente sedativo, e l'uso quasi esclusivo delle acque madri per la balneazione, accentua ancora l'effetto sedativo dovuto al clima. Anche le affezioni epatiche, il nervosismo, le nevralgie, la gotta, non costituiscono una controindicazione, se l'impiego delle acque è legittimato da un'altra affezione.
Da Porto Rose facciamo rotta su Parenzo, che dista un'ora circa.
Parenzo, una delle prime conquiste di Venezia, ha visto la battaglia navale del 1177, vinta dai Veneziani, sulla flotta imperiale; fu presa e bruciata dai Genovesi nel 1354. Come tutte le città dell'Istria, è situata su un promontorio, dominato da tre campanili. Il più alto appartiene ad una chiesa moderna, grosso edificio quadrato, privo di carattere. Quello di mezzo è il più antico, accanto alla chiesa più bella che io abbia visto. Immaginatevi una cattedrale unica, costruita da Teodorico (p. 16) nella prima metà del VI secolo. Essa si compone di tre parti: un atrio, su un lato del quale si trova la chiesa con tre navate, mentre sull’altro lato vi è un immenso battistero, con piscina battesimale. A destra del battistero, il campanile. Nella chiesa, dei mosaici che vengono restaurati attualmente e che datano dalla fondazione. Fatevi aprire, da qualche modesto sagrestano, le assi che rimpiazzano le lastre di pietra della navata sinistra, e vedrete i più begli esempi di mosaici che si possano sognare. Essi sembrano provenire da una chiesa più antica, sulle rovine della quale questa è stata costruita.
Si entra, attraverso l'atrio, nel palazzo del vescovado, graziosa costruzione italiana, più recente, ma che ha il merito di intonarsi con questa magnifica chiesa.
Parenzo merita assolutamente due ore di visita. Vi si trovano molte rovine romane, ma sono in pessimo stato. Città vecchia, dalle vie strette, ma molto pulite, con dei palazzi meno rovinati (p.17) di quanto si possa supporre; qualche giardino ed un'aria di gaiezza che attrae.
La baia di cui Parenzo forma il bordo superiore è limitata a sud da una piccola isola, San Nicolò, sulla quale si erge un castello che fa, da lontano, un'impressione grandiosa, fiancheggiato com'è da un'alta torre quadrata, merlata. Sorge, tutto bianco, da un ammasso di vegetazione, con a lato le rovine grigie di una vecchia torre rotonda, resti di antiche fortificazioni veneziane. É il castello del marchese B. Polesini, deputato della regione del Reichsrath austriaco. Il signor marchese ci invita a sbarcare sulla sua isola che, in realtà, non corrisponde affatto a ciò che avevamo immaginato.
Ma la vista che si ha del mare, dall'alto, e che, con il tempo limpido, si estende al di sopra di Parenzo, su tutta la costa dell'Istria, è incomparabile.
Parenzo conta 4.500 abitanti e sembra improbabile che la città abbia ad espandersi.
Tra Pirano e Parenzo ha avuto luogo la famosa vittoria dei Veneziani sulle flotte unite di Federico Barbarossa e dei Genovesi. Questa vittoria valse ai Veneziani la supremazia sull'Adriatico, ed il papa Alessandro III, consegnando al doge Ziani l'anello simbolico gli disse: "Ricevete questo anello come un segno dell'impero del mare; voi ed i vostri successori sposatelo tutti gli anni, affinchè i posteri sappiano che il mare vi appartiene di diritto per la vittoria e deve essere sottomesso alla vostra repubblica come la sposa lo è allo sposo".
Ma viene la notte ed io vorrei trovare immagini nuove, per descrivere ancora la magia dei crepuscoli dell'Adriatico; ogni giorno cresce (p. 18) l’impressione della veglia; ogni giorno il quadro cambia ed assume aspetti inattesi. Un grande silenzio sembra avviluppare il mare e le città sembrano addormentarsi in un nimbo d'oro che si oscura lentamente e quando, più tardi, si è fatta notte, sotto la luce delle stelle, esse sembrano cullate dal mare, nel loro sonno tranquillo. Ma questi sono spettacoli che non si dovrebbero contemplare da soli; la solitudine s'impregna di tristezza, e l'irrealizzabile vi prende una forma la cui scomparsa rende più penoso il risveglio.
29 agosto, 30 gradi - Un'ultima visita a Parenzo; pranzo a bordo con il marchese Polesini che ci accompagna fino a Pola. Partenza all'una. Alle due arriviamo a Rovigno. La punta della penisola dove sorge la città è occupata dalla chiesa, davanti alla quale si trova il cimitero, terrazzato, il cui alto muro di cinta ha l'aspetto d’ una fortezza ed è lambito dal mare. La città multicolore, con una manifattura di tabacco ed una fabbrica di sardine di Nantes, è più graziosa a vedersi da lontano che da vicino. Vi si entra attraverso un'antica porta, ornata dal leone di San Marco, ma non offre niente di notevole, fatta eccezione per qualche casa con terrazza superiore, in forma di chiostro. Del resto città mal tenuta e priva di interesse, anche dal punto di vista storico, poichè non possiede altri fasti che l'esser stata bruciata dai Genovesi.
Dunque, Rovigno non ispira che il vivo desiderio di andarsene. In viaggio per Pola. Passiamo davanti alle isole Brioni, che difendono l'entrata della baia, sul cui fondo (p. 19) si trova Pola. Queste isole, ricoperte da enormi fortificazioni che gli Austriaci hanno costruito quando hanno lasciato Venezia, sono di una tale insalubrità che non vi si possono tenere delle truppe per più di un mese. Esse ospitano delle cave di pietra, celebri un tempo, e dalle quali si trassero i materiali di un gran numero di palazzi veneziani. Nel 1379 i Genovesi vi sconfissero i Veneziani.
Ma ecco Pola, l'antica colonia romana, sul fondo della baia, con due porti, il porto commerciale a sinistra, il porto di guerra a destra. Gettiamo l'ancora nel mezzo della baia, dove ci è consentito, con uno speciale permesso, poi andiamo sulla terraferma. Città triste, polverosa, il porto di guerra più importante dell'Austria; dovunque dei marinai, degli ufficiali di marina, una popolazione pallida, piuttosto gracile; la sola figura di donna che merita di essere citata è quella dell'incaricata delle poste, e ciò nonostante questa sfigurerebbe a Parigi. Visitiamo il tempio di Augusto, con un portico a sei colonne corinzie, la Porta Aurea, il palazzo comunale, piuttosto curiosi (p. 20) e costruiti nel mezzo di un antico tempio romano la cui parte posteriore è estremamente ben conservata. Ma ciò che è veramente imponente è l’ arena, costruita, sembra, verso il II secolo. Ho misurato una lunghezza di 235 passi e contato 72 arcate che sono sovrapposte su tre file. L'esterno è assai ben conservato, ma l'interno è stato rovinato dai Veneziani che vi hanno prelevato una gran quantità di blocchi di pietra. Nel mezzo, un'immenso scavo che serviva alle naumachie con i resti delle condotte attraverso le quali venivano alimentati i bacini.
Vedendo questo, torna alle labbra il luogo comune: "la Maestà del popolo romano". Ma resto per molto tempo a sognare davanti a questa gloria svanita testimoniata ancora dalla grandezza di queste rovine... Niente dura dunque, e i basamenti più formidabili si sgretolano e (p. 21) tutto questo è morto definitivamente, come tutto muore; ma si dovrebbe morire anche quando se ne va il fine che ci si era posti nella vita, e queste pietre almeno non hanno la coscienza della loro rovina e non soffrono per l'abbandono!
Abbiamo a cena il comandante B..., un vecchio lupo di mare ritiratosi dal servizio, segretario dello Yacht Club di Pola, Ci racconta la battaglia di Lissa alla quale ha assistito. Il luogotenente Minutello riuscì a strappare la bandiera del "Re d'Italia", che fu affondato dall' "Arciduca Massimiliano", poichè i due vascelli erano così vicini che i cannonieri non potevano più caricare i loro pezzi. Ma un colpo di fucile gli attraversò la mano e Minutello, oggi ammiraglio, è il solo ufficiale austriaco che ha il diritto, per licenza speciale, di tirare di sciabola con la mano sinistra.
Constato, nel corso delle conversazioni, che abbiamo avuto con diversi altri ufficiali, che la marina austriaca non ha grande stima per la sua collega italiana. Questa triplice alleanza non è neppure un matrimonio d'interesse, perchè la Francia sembra più simpatica agli Austriaci dei loro alleati. Ho sentito queste parole dalla bocca di un ufficiale di marina: "Quando incontriamo una squadra francese, fraternizziamo; con le squadre tedesche ci si limita alle visite di cortesia, perchè il Prussiano o è rozzo e protettivo, o s'installa in casa nostra e vi resta finché c'è del vino e del cognac".
30 agosto - Andiamo a render visita ad alcuni (p. 22) ufficiali di marina a bordo dell' "Arciduca Massimiliano". Questo vecchio veterano di Lissa, dipinto di grigio, serve da scuola pratica di marina. Il comandante di questa scuola era anche uno dei combattenti di Lissa. Ci mostra la cabina dell'ammiraglio Tegethof, alla quale non è stato cambiato nulla, e dove si notano due enormi fori fatti dai proiettili italiani. Nell'interponte, una decina di cannoni di modelli diversi che servono ad istruire gli allievi.
Sono tutti là, stanno eseguendo l'esercizio, che interrompono per formare la "siepe"6 al nostro passaggio.
Il comandante ci mostra il luogo dove un enorme obice italiano distrusse tre postazioni di cannone ed uccise diciassette uomini. Visita molto interessante dove vengono richiamati tanti vecchi ricordi.
A pranzo il comandante in questione, il capitano X... che comanda una corvetta del porto, e M.B...L'ammiraglio H..., l'uomo del futuro della marina austriaca, viene a bordo a visitare lo yacht.
Conversazione tra le più interessanti che avvalora tutte le mie impressioni di ieri. Certo, queste persone sono molto più uomini di mare di tutti gli ufficiali italiani che abbiamo visto a Venezia. Tutti s'annoiano fermi a Pola che è ancora preferibile alla Dalmazia, questa Caienna dell'Austria, come la chiamano.
Il tempo ha rinfrescato: un vento violento soffia a terra; la rada è agitata, noi partiamo alle cinque per Venezia, fine del viaggio. Ah! che bel tramonto! É stupido parlarne ogni giorno, ma non si può fare altrimenti. Questa sera, con un mare agitato, il grosso globo rosso sprofondava lentamente (p. 23) senza raggi: "testa di re rapato che sta per ritirarsi in convento", ad ogni istante oscurato dai marosi; quando fu scomparsa a metà, questa mezza sfera faceva l'effetto di un ombrello rosso, di un rosso sanguinante, tenuto sopra le spalle da una donna a passeggio, invisibile, all'estremo limite dell'orizzonte...


1A bordo della "Namouna", yacht di proprietà di James Gordon Bennett al quale è dedicata la relazione. Estratto dalle “Mémoires de l’Acedémie de Dijon”, IV serie, V (1896), pp. 1-23
2Lancia a vapore; in inglese nel testo
3v. nota 2
4 Panigai
5battello; in inglese nel testo

6Formazione di parata (mil.)

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