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sabato 10 marzo 2018

Elizabeth Hawley e l'alpinismo himalayano

Everest, Lhotse, Nuptse, Icefalls, ghiacciao Khumbu

Alla fine di gennaio di quest'anno si è spenta all'ospedale di Kathmandu, città in cui viveva da molti anni, Elizabeth Hawley. Aveva 95 anni e non aveva lasciato il Nepal dagli anni Sessanta, quando vi era arrivata per la prima volta, assolutamente digiuna di alpinismo. Nata a Chicago, dopo la laurea aveva iniziato la carriera di giornalista, ma si occupava per lo più di politica. Nel 1963 seguì, per conto dell'agenzia Reuters, la spedizione alpinistica statunitense all'Everest, che era stato salito per la prima volta dieci anni prima da Edmund Hillary e Tenzing Norgay, e, da allora, non fece più ritorno negli Stati Uniti e si fermò a Kathmandu, documentando con straordinaria competenza e precisione tutte, ma proprio tutte, le successive spedizioni alpinistiche sui monti himalayani. 


George Mallory
(Tentativo alla vetta dell'Everest 1924)
Andrew Irvine
(Tentativo alla vetta dell'Everest 1924)
In breve tempo divenne un'autorità in materia, riconosciuta da tutti gli alpinisti, che lei contattava al loro arrivo nel paese per chiedere i dettagli della spedizione di cui facevano parte, e risentiva poi al termine della stessa, controllando le informazioni che le fornivano. Quando la Hawley riconosceva l'avvenuto raggiungimento della vetta, non c'erano più dubbi in merito, poiché lei sola era in grado di verificare, mediante i suoi contatti con gli sherpa, le foto delle singole vette in suo possesso, ed i particolari delle scalate, che non aveva compiuto personalmente, ma che conosceva a menadito grazie alle molte volte che gliele avevano descritte, la validità dell'impresa. 

Il "contestato", aggiunto dalla Hawley alla relazione di un alpinista, di fatto, toglieva credibilità alla prestazione. Inoltre venivano annotati l'uso di ossigeno, che sminuiva l'importanza della salita, gli incidenti occorsi ed eventualmente le persone decedute, cosa purtroppo non rara. Insomma, un elenco completo e minuzioso, preziosissimo in campo alpinistico, e che forse al di fuori di questo mondo è difficile comprendere. Ma, se l'etica vorrebbe che si fosse sempre sinceri nel riportare i risultati delle proprie salite, anche quando non vi siano testimoni ad avvalorarli, spesso le cose non vanno in questo modo, ed è pertanto evidente che una verifica risulta assai utile, tanto più che sulle montagne himalayane si è andati, e si va, anche in cerca di record: il primo uomo a salire tutti i 14 ottomila senza ossigeno fu Messner, seguito dopo dodici anni dal francese Loretan e poi dal basco Oiarzabal, la prima donna a completarli tutti fu la coreana Oh Eun Sun, con una cima contestata e qualche salita con l'ossigeno, poi la basca Edurne Pasaban, che aveva usato due volte l'osssigeno, e Gerlinde Kaltenbrunner, la prima senza ossigeno, e recentemente Romano Benet e Nives Meroi sono stati la prima coppia a salirli tutti senza ossigeno ed in stile alpino. Talvolta questa ricerca di record ha assunto aspetti preoccupanti ed è andata assai al di là dello spirito alpinistico, soprattutto quando è stata accompagnata dall'ingombrante "aiuto" degli sponsor. Ma alla Hawley questi aspetti piacevano poco o nulla, e continuava ad affermare che l'alpinista migliore che avesse conosciuto era Reinhold Messner, il quale la ricambiava di sincera ammirazione. 

Vie di salita all'Everest
Si dice che una sola volta si sbagliò, quando credette a Tomo Cesen, alpinista sloveno che sostenne di aver scalato in solitaria la parete sud del Lhotse, nel 1990, scalata poi messa in dubbio dal mondo alpinistico intero. Una piccola disattenzione, forse, quella delle Hawley, in una lunga e appassionata attività al servizio dell'alpinismo autentico.  


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