Tramonto a Palmira (foto Carlo Nicotra) |
Nel 2003, in un tempo in cui la guerra era ancora lontana, ma in cui già si sapeva, sapevano, che un giorno il paese si sarebbe svegliato sotto le bombe, andammo a Palmira. Man mano che la strada nel deserto si avvicinava alla mitica città carovaniera, il sogno, coltivato da sempre, andava materializzandosi.
Avevamo prenotato due notti all'hotel Zenobia, vergognosamente ma magnificamente costruito tra le rovine dell'antica città, con vista sulla mitica strada colonnata. Si trattava di un albergo eretto in periodo coloniale, che conservava tutto il fascino dell'epoca, dall'insegna liberty, alle stanze, le cui finestre lasciavano passare l'aria fredda della notte nel deserto e la polvere, ma anche l'aria pura che si trova solo in un ambiente lontano da qualsiasi fonte di inquinamento.
Arrivammo in taxi, provenienti dal Libano, dopo un viaggio lungo e faticoso, e l'hotel ci sembrò il massimo del comfort, anche se un po' tutto lasciava a desiderare. Lì, per lo meno, non si fermavano i bus carichi di turisti, dato che le stanze, distribuite su un solo piano, erano poche. Il silenzio, la pace e la vista delle rovine facevano di questo posto una meta irrinunciabile per chi, come noi, viaggiava in modo indipendente e conosceva gli alberghi per mezzo dell'infallibile passaparola.
Naturalmente ci precipitammo subito a percorrere l'agognata strada colonnata, che poi avremmo percorso più e più volte, nei due giorni di permanenza, benché fosse ormai tardi ed il sole stesse calando, ma, appunto per questo, godemmo di un tramonto indimenticabile, soli, tra le rovine.
Tornati all'albergo, cenammo sulla terrazza circondata da siepi di gelsomino, ed ordinammo dei börek al formaggio, piatto tipico ed assai diffuso in tutto il Medio Oriente, di cui parlerò nell'apposita sezione dedicata a "Cibo e storia", dato che la ricetta è antichissima. Il cameriere, un ragazzo magrissimo, ci guardò esterrefatto quando ne chiedemmo tre a testa, "Tre?" disse, come se avessimo chiesto qualcosa di veramente esagerato. In realtà, digiuni dal mattino, e dopo una giornata impegnativa, il piatto fu appena sufficiente. Si beveva tè, in quanto non venivano servite bevande alcoliche, ma ormai, dopo diversi giorni nel paese ed in Libano, ci eravamo abituati e, dopo alcuni tentativi fallimentari di sostituire la birra con una strana bevanda analcolica, chiamata birra, ma addizionata di succo di lampone, e dopo aver provato anche il succo gassato di kiwi, avevamo optato per il tradizionale tè speziato, decisamente migliore.
Nel frattempo il cielo era diventato scuro ed era apparsa una quantità indicibile di stelle. L'aria era profumata dall'odore dolce dei datteri, appena colti nella vicina oasi, messi ad essiccare e venduti dale numerose bancarelle subito fuori dal sito archeologico. Rimanemmo ancora a lungo a chiacchierare su quella terrazza, della quale conserviamo un ricordo indelebile, come di tutto il nostro viaggio in un paese meraviglioso, in un lontano autunno sereno.
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