Orso bruno |
In
un tempo ormai piuttosto lontano, compimmo un giro in auto nella
Turchia occidentale. Per noi era la prima volta, e non sarebbe stata
l'unica, in quel paese meraviglioso. L'auto era una vecchia Polo
scassata che non sarebbe sopravvissuta di molto a quel viaggio così
duro, ma che ci aveva portati fedelmente per strade sterrate o
pessimamente asfaltate dalla Grecia, ad Istanbul, al cuore della
Cappadocia e poi lungo la splendida costa, di nuovo in Grecia.
Avevamo visto paesaggi stupendi ed opere d'arte d'incomparabile
bellezza, avevamo dormito nei campeggi, mangiato nelle trattorie più
semplici e goduto della calda ospitalità del popolo turco.
Quel
giorno, come tutti quelli che l'avevano preceduto, era stato ricco di
sorprese. Avevamo visitato il teatro di Pergamo, dalla cavea tanto
profonda e dalle gradinate così ripide da aver timore di rotolare
giù, che ci aveva regalato l'emozione di trovarci in un luogo così
ricco di storia e così integro da offrirci il brivido inconsueto
dell'immedesimazione, trasportati in un mondo parallelo ed uguale,
molto lontano nel tempo, spettatori di una commedia antica, avente il
mare come sfondo. Ancora scossi da quell'esperienza incredibile, ci
eravamo fermati a pranzo in una pizzeria, in una piccola località
fuori mano, dove i turisti stranieri non capitavano mai e dove
nessuno parlava nessun'altra lingua all'infuori del turco.
Fortunatamente la gestualità mediterranea che ci accomuna e la
possibilità di vedere la cucina, ci avevano consentito di assaggiare
diversi tipi di pizza turca, che differisce di molto da quella
italiana, sia nell'impasto, che nella farcitura, che non prevede
formaggio filante, ma carni e verdure, il cui sugo è trattenuto dai
bordi rialzati della base. Alla fine del pasto i proprietari avevano
offerto, soltanto a me, della frutta, un gesto gentile, che equivale
al dono di un fiore, e all'uscita, ci avevano cosparso le mani di
profumo di limone, usanza allora assai comune, in tutti i ristoranti,
e negli anni successivi mantenuta soltanto nelle trattorie più
semplici.
Illustrazione di una novella russa |
Risaliti
in macchina ci eravamo diretti verso una delle mete più desiderate:
Troia. Lungo la strada una corriera ci precedeva, lenta, e non
riuscivamo a superarla senza rischiare la vita, lungo un percorso
stretto e pieno di curve. Alla fine s'era fermata, ma altre auto che
ci venivano incontro ci avevano costretti a fermarci a nostra volta,
rimandando il momento del sospirato sorpasso. Aspettavamo quindi un
po' annoiati che scendessero tutti i passeggeri quando, per ultimi,
vedemmo scendere un uomo e poi...un orso! La corriera ripartì ed i
due, l'uomo e l'orso, salutarono i passeggeri, il primo con la mano,
il secondo sollevandosi sulle zampe posteriori ed alzando una delle
anteriori. Ovviamente rimanemmo esterrefatti! Ci trovavamo di fronte
ad uno degli ultimi domatori di orsi che giravano il paese
intrattenendo la gente dei villaggi con dei piccoli spettacoli
improvvisati. Sul momento prevalse lo stupore, poiché l'idea di
portare un orso in corriera era già di per sé bizzarra e
straordinaria ma, qualche tempo dopo, ormai rientrati in Italia,
lessi di questa antica tradizione, comune anche nell'area balcanica,
dov'era praticata per lo più da domatori di origine rom, ed in
Russia, esauritasi in quegli anni, sia per la proibizione legata alla
potenziale pericolosità degli animali, sia per la difesa degli
stessi.
Su
quella strada per Troia eravamo stati testimoni di un'usanza antica
ed ormai al tramonto. Gli spettacoli con gli orsi, si tenevano per lo
più nelle piazze dei paesi, spesso coincidevano con i giorni di
mercato e seguivano schemi precisi, conosciuti e riconoscibili dal
pubblico. Un'arte tramandata di padre in figlio, non priva di rischi,
che richiedeva abilità ed una straordinaria empatia tra l'uomo e
l'animale, tanto da far pensare al primo che fosse cosa normale far
salire il suo amico e collaboratore a quattro zampe su un bus di
linea sulla strada per Troia.
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