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lunedì 19 marzo 2018

Pensieri d'autore. Il pranzo di Gogol


Georg Flegel. Natura morta con dolciumi
Nikolaj Gogol, nel suo romanzo Le anime morte, ritorna, più di una volta, sulla tavola imbandita, e descrive con dovizia di particolari tanto i cibi che vi vengono serviti quanto le bevande, che prevalgono decisamente nel brano che segue. Lui stesso buongustaio, pur soffrendo di problemi allo stomaco, ci riporta ai pranzi tipici della Russia del suo tempo, o meglio, di un certo ambiente sociale di allora, rivelandoci i segreti della cucina e delle cantine, che accoglievano vini raffinati, talvolta, come viene descritto qui, adulterati dagli stessi commercianti, che si approfittavano così di coloro, e non erano i più, che potevano permettersi la spesa elevata di una buona bottiglia di vino francese. 


Nikolaj Gogol
Dopo aver fatto uno spuntino con il filetto di storione, sedettero a tavola che eran quasi le cinque. Il pranzo, come si vede, non rappresentava per Nozdrëv la cosa più importante della vita; le portate non erano indimenticabili: qualcosa era troppo cotto, qualcosa non era cotto. Si vedeva che il cuoco era guidato più che altro da una qualche forma di ispirazione e prendeva la prima cosa che gli capitava sotto mano: c'era del pepe, spargeva del pepe, capitava del cavolo, lui buttava dentro il cavolo, metteva giù del latte, del prosciutto, delle noci, in una parola, ficca dentro come viene, basta che sia caldo, un qualche sapore poi vedrai che viene fuori. Però Nozdrëv faceva attenzione al vino: non avevano ancora servito la zuppa, che aveva già versato agli ospiti un grande bicchiere di porto e un altro di haute sauterne, dal momento che nei capoluoghi di governatorato e nelle città vicine non si trova il sauterne e basta. Poi Nozdrëv ordino di portare una bottiglia di madera che di migliore non ne beveva il feldmaresciallo in persona. Il madera, veramente, bruciava perfino in bocca, dal momento che i mercanti, conoscendo il gusto dei possidenti, amanti del buon madera, ci aggiungevano senza misericordia del rum, e delle volte ci versavano dentro anche la vodka imperiale, confidando negli stomaci russi che sopportano tutto. Poi Nozdrëv ordinò ancora di portare un'altra bottiglia speciale, la quale, parole sue, era sia borgognon che champagnon allo stesso tempo. Ne versò con molta diligenza nei due bicchieri, a destra e a sinistra, al cognato e a Čičikov; Čičikov notò, però, come di sfuggita, che a se stesso non se n'era versato tanto. Questo lo fece stare di guardia, e appena Nozdrëv in qualche modo si perse dietro un discorso o versò del vino al cognato, rovesciò subito il suo bicchiere nel piatto. Dopo poco tempo venne portato in tavola un liquore di erbe selvatiche che aveva, secondo Nozdrëv, proprio il sapore della panna, ma nel quale, meraviglia, si sentiva la vodka non raffinata con tutta la sua forza. Poi bevvero un qualche balsamo, che aveva un nome tale che era difficile anche ricordarselo, e lo stesso padrone di casa la volta dopo chiamò con un altro nome.”


(da Nikolaj Gogol, Le anime morte, Milano, Feltrinelli, 2009, p. 77)

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